Gli Stati Uniti d'Europa (3a parte)

Gli Stati Uniti d'Europa, che sono il miglior scritto di Rossi sull'unità europea e costituisce un classico del pensiero federalista, vennero pubblicati nel giugno del 1944, con lo pseudonimo di Storno, dalla casa editrice "Nuove Edizioni Capolago", di Lugano: il primo di una collana di saggi a cura del MFE
8 aprile 2005
Ernesto Rossi
Fonte: radicali.it - 08 aprile 2005

5. L’EUROPA E IL PROBLEMA TEDESCO

La pace e la libertà non potranno essere veramente assicurate altro che nei limiti in cui si riuscirà ad estendere l’organizzazione federale. La nostra ultima meta deve quindi essere la federazione di tutti i popoli della terra, Ma una tale meta è ancora molto lontana. Troppo diverse sono ancora le varie civiltà, troppi popoli hanno ancora costituzioni incompatibili con un regime rappresentativo federale, perché una tale meta rientri nel campo dei possibili fini della guerra. Per ora ci dobbiamo contentare di avviarci verso di essa, formando un primo nucleo federale, e ponendo le condizioni che rendano possibile il suo ulteriore sviluppo.

L’organizzazione europea nel quadro dell’organizzazione mondiale

Molto facilmente, alla fine del presente conflitto, vedremo rinascere una nuova S.d.N., con carattere universale. Un tale organismo potrà dare un certo contributo alla conservazione della pace nel mondo se non gli verranno affidati dei compiti, quali erano quelli della defunta S.d.N., superiori ai compiti che possono essere assolti conservando l’assoluta sovranità degli stati, se cioè – rinunciando a stabilire disposizioni analoghe a quelle contenute nell’art.10 del vecchio “covenant” sulle garanzie territoriali, nell’articolo 16 sulle sanzioni, nell’articolo 19 sulla revisione dei trattati – ci si limiterà a creare u n organo di collegamento, per integrare il normale lavoro diplomatico delle diverse cancellerie e rendere più facile la collaborazione dei governi su alcuni argomenti di interesse comune.

Ma una tale lega servirà a ben poco se contemporaneamente non saranno eliminati i principali focolai dei futuri conflitti.

Fra questi focolai il più pericoloso è certamente l’Europa, che è stata, nello spazio di una sola generazione, l’epicentro e la causa di due guerre mondiali. L’anarchia internazionale ha ormai trasformato il nostro piccolo continente in un vero nido di vipere. La definizione delle nazionalità nelle zone a popolazione mista; la delimitazione di confini che consentano di conciliare esigenze tra loro inconciliabili – come sono quelle della unità dei gruppi nazionali, delle migliori difese strategiche naturali e della più economica utilizzazione delle risorse disponibili; lo sbocco al mare richiesto dai paesi situati nell’interno del continente; il regime degli stretti e dei fiumi che traversano il territorio di diversi stati; la integrazione dei sistemi economici nazionali con un sufficiente “spazio vitale”; la questione irlandese; la questione balcanica; l’antagonismo franco-tedesco e quello anglo-tedesco, son tutti problemi, nascenti dall’assoluta sovranità dei singoli stati, che richiedono in modo particolare la soluzione federalista, se si vuole garantire la libertà e la pace in Europa.

E se non c’è pace in Europa, non può esserci pace nel mondo.

Il blocco degli ottanta milioni di tedeschi

Fra tutti questi problemi, quello tedesco è il problema centrale. Ci conviene quindi ad esso dedicare maggiore attenzione.

Il blocco compatto di ottanta milioni di tedeschi, dotati di un’attrezzatura industriale potentissima, dominati da una classe composta da junker e da grandi baroni dell’industria con mentalità feudale, educati da più generazioni a dare il maggior rendimento nella loro qualità di soldati, animati da una mistica di superiorità razziale e da una forza di espansione insofferente di ogni limite, rappresentano un pericolo di asservimento e di morte per gli altri popoli europei. Alla fine della guerra tutti questi popoli, che hanno subito gli orrori della invasione, o ne hanno sentita incombente la minaccia, vorranno che il nuovo ordine metta la Germania in condizione di non poter più nuocere ai vicini.

Come sarà possibile conseguire questo scopo?

I reazionari sostengono che le potenze vincitrici dovrebbero imporre un Diktat molto più gravoso per la Germania del trattato di Versailles: disarmarla completamente e distruggere il suo potenziale industriale che potrebbe essere ancora diretto a scopi di guerra; costringerla a pagare in merci ed in lavoro forzato per tutti i danni da essa arrecati; spezzettarla in tante parti, di cui alcune dovrebbero essere incorporate negli stati vicini e le altre tenute sotto tutela dalle potenze della “Trinità”, che per mezzo di governanti di loro fiducia ne sorveglierebbero i bilanci, disintossicherebbero i giovani dall’educazione nazista, impedirebbero ogni tentativo di riarmo clandestino.

I reazionari vorrebbero insomma una pace quale l’avrebbe imposta Hitler se la Germania avesse vinto; solo rovesciando le parti.

Ma una tale pace poteva essere imposta durevolmente da Hitler, e non lo potrebbe dalle potenze della “Trinità”, appunto perché esse sono tre potenze e non una; non avendo gli stessi interessi in Europa, non è concepibile che possano per lungo tempo essere d’accordo in un’unica politica nei riguardi della Germania. Subito dopo l’altra guerra la Germania ottenne, in diverse importanti occasioni, l’appoggio dell’Inghilterra che, volendo continuare nella sua politica di “balance of power”, era preoccupata che la Francia non divenisse una potenza egemonica sul continente, e le consentì anche di riarmarsi perché sperava di adoprarla contro il “pericolo bolscevico”. Nel 1939 abbiamo poi visto la Russia accordarsi colla Germania per spartire la Polonia, ed occupare gli stati baltici. E’ prevedibile che di contrasti analoghi i tedeschi potrebbero valersi, qualunque fossero le condizioni imposte dal trattato di pace, per riacquistare in futuro tutto quello che avessero perso con la disfatta.

Inoltre né l’Inghilterra né gli Stati Uniti potrebbero esercitare a lungo il necessario controllo sulla Germania conservando i loro regimi democratici. Con libertà di stampa e libere elezioni, l’opinione pubblica non permetterebbe ai governanti inglesi e americani di trattare ottanta milioni di tedeschi come se fossero tutti dei criminali, e di mantenere per anni ed anni di seguito un esercito di occupazione in Germania. Specialmente le classi lavoratrici solidarizzerebbero, dopo poco, con gli operai “vittime del capitalismo”, non vorrebbero assumere la corresponsabilità di provvedimenti con i quali sarebbero affamati milioni di bambini, di vecchi, di donne, ed i loro compagni tedeschi verrebbero privati dei diritti politici, che con lunghe lotte essi hanno ottenuto, quale riconoscimento della loro stessa dignità di uomini. L’Inghilterra e gli Stati Uniti non potrebbero, insomma, continuare a lungo a tenere il piede sul collo della Germania che trasformandosi in stati autocratici, totalitari.

Conseguenze di una pace cartaginese

Quali, d’altronde, sarebbero le conseguenze economiche generali di una pace cartaginese?

Per distruggere il potenziale bellico della Germania occorrerebbe non solo distruggere l’industria degli armamenti, l’industria siderurgica e buona parte di quella meccanica e chimica, ma anche ridurre sostanzialmente l’industria elettrica, quella dei trasporti e molte altre industrie che sono delle prime complementari o sussidiarie. Già questa sarebbe una cosa assurda, pazzesca, dopo che la guerra ha ridotto in rovine tanta parte dell’attrezzatura industriale del nostro continente. Per non morire di fame, per riprendere al più presto la vita normale, non si può continuare nelle distruzioni anche nel tempo di pace, ma si deve utilizzare nel modo più razionale possibile, a beneficio di tutti, fin l’ultimo stabilimento, fin l’ultima macchina, fin l’ultimo operaio qualificato, che saranno ancora disponibili.

Pretendere dai tedeschi il complesso pagamento dei danni di guerra, indipendentemente dalla loro possibilità di pagamento, vorrebbe dire asservirli per sempre alle potenze vincitrici, rinunciare alla loro capacità inventiva ed organizzativa nel campo industriale e commerciale, aumentare enormemente la loro miseria. Ed ormai tutti ben conosciamo quale stretta solidarietà avvinca l’economia dei diversi paesi del nostro continente. La floridezza della Germania è condizione necessaria del benessere di tutta l’Europa, perché la Germania è il mercato più importante per la vendita e gli acquisti da parte degli altri paesi; chi vende ha interesse che il suo cliente sia ricco, e chi compra ha interesse che il suo fornitore sia attrezzato in modo da produrre al minimo costo.

Ed anche se le potenze vincitrici fossero in grado di imporre una pace cartaginese, e fossero disposte a sopportarne il costo, quanto veramente potrebbe durare una tale pace?

Fare del popolo tedesco un nuovo popolo maledetto, mantenerlo diviso, nella soggezione e nella miseria, vorrebbe dire porre una polveriera nel centro dell’Europa. Nessuno può ragionevolmente pensare che gli ottanta milioni di tedeschi – dopo le innumerevoli prove che hanno dato di solidarietà nazionale, con le tradizioni comuni di gloria militare lasciate dalle ultime guerre – si adatterebbero allo spezzettamento della Germania, accetterebbero di stare sotto la tutela degli stranieri e di lavorare senza speranza di redenzione a loro profitto. Qualsiasi propaganda indirizzata a fare abbandonare ai tedeschi le loro idee naziste e ad educarli alla democrazia, alla collaborazione pacifica con gli altri popoli, venendo dagli oppressori o da individui al loro servizio, darebbe risultati completamente opposti a quelli che ci si vorrebbe prefiggere. Ben presto si presenterebbe un nuovo Hilter che, levandosi contro le ingiustizie patite dal suo popolo, facendo appello ai sentimenti nazionalistici, promettendo resurrezione e vendetta, avrebbe ancora dietro di sé tutta la Germania, e di nuovo darebbe fuoco alle polveri.

Chi sostiene altrimenti, o è in malafede o dimostra di non aver capito niente della tragica esperienza degli ultimi trent’anni.

La Germania nella federazione europea

L’Europa ha bisogno della Germania. Gli ottanta milioni di tedeschi devono essere condotti a collaborare colle loro doti migliori alla vita degli altri popoli europei, se non si vuole che continuino a essere l’incubo pauroso, il cancro mortale della nostra civiltà.

Chi dubita che il popolo tedesco possa mai essere condotto a ciò, e sia destinato ad essere o il padrone o lo schiavo degli altri popoli europei, dimentica le decine e le centinaia di migliaia di tedeschi morti o languenti nelle prigioni e nei campi di concentramento od esuli nelle diverse parti del mondo, perché non hanno voluto accettare, neppure passivamente, la corresponsabilità della politica del Fuhrer, e non ricorda che lo stesso giudizio che oggi si dà del popolo tedesco era comunemente dato del popolo inglese durante la sua espansione imperialistica e del popolo francese dopo le guerre napoleoniche.

Tutti i criminali, a qualunque paese appartengano, dovranno essere severamente puniti. Ma il popolo tedesco deve essere messo in condizioni di poter riprendere il suo posto, a parità di diritti e di doveri, nel concerto dei popoli europei. E questo non è possibile se non comprendendo la Germania nella organizzazione federale degli Stati Uniti d’Europa. Solo una tale soluzione potrà ridurre al minimo l’opposizione tedesca ai provvedimenti transitori necessari per assicurare la vita delle istituzioni liberali in Germania: instaurazione al potere degli elementi sinceramente democratici, distruzione radicale del sistema feudale agrario e industriale, decentramento dell’amministrazione, educazione anti-nazista nelle scuole, ecc., perché saranno provvedimenti transitori, presi, non in odio al popolo tedesco, ma per metterlo in condizione di eguaglianza con gli altri popoli nell’organizzazione federale. Solo con la creazione degli Stati Uniti d’Europa si potrà disarmare per sempre la Germania, senza umiliarla e quindi senza esasperarne i sentimenti nazionalistici, perché contemporaneamente gli altri stati rinunceranno ai loro eserciti che verranno tutti sostituiti dalle forze armate federali. Solo l’organizzazione federale potrà dare la sicurezza collettiva senza distruggere il potenziale industriale tedesco, utilizzando a vantaggio di tutti le industrie pesanti, quelle chimiche e le altre grandi industrie della Germania, sotto un controllo che verrà esteso alle analoghe industrie degli altri paesi.

6. L’UNITA’ EUROPEA

Non solo l’Europa è la parte più malata, quella che richiede un più urgente e radicale rimedio se si vuole stabilire la pace e la giustizia nel mondo. Essa è anche la parte che, per motivi economici e spirituali, si presenta come la più adatta ad essere subito riunita in una organizzazione federale.

La fisionomia economica dell’Europa

La contiguità territoriale di tutti i paesi del continente crea una interdipendenza tanto stretta tra i loro interessi che la divisione in 26 domini doganali, con 13 sistemi monetari, quale esisteva prima della guerra, era molto più anacronistica, assurda, di quel che era alla metà del secolo scorso, la suddivisione della Germania in 39 stati, e quella dell’Italia in 7 stati, ognuno con proprie dogane e propria moneta.

Quando, nel 1840, Sir Robert Peel si vide costretto, da una crisi ministeriale, a lasciare Roma, dove si trovava in vacanza, i suoi segretari gli indicarono l’itinerario più breve e i mezzi di comunicazione più rapidi. Constatarono allora che, per andare da Roma a Londra, egli avrebbe impiegato esattamente il medesimo tempo che era stato necessario a Giulio Cesare cinquant’anni prima della nascita di Gesù Cristo. Con il progresso della tecnica dei trasporti, le distanze si sono da allora ridotte in modo che un aviatore, attraversando il continente, quasi non fa in tempo ad accorgersi della divisione degli stati sui quali sorvola. Ma l’organizzazione internazionale resta in sostanza qual era quando ancora si viaggiava con la diligenza e non si conosceva né telegrafo, né radio.

Con l’unificazione dell’Europa si potrebbe dare la migliore soluzione tecnica al problema della produzione e della distribuzione internazionale dell’elettricità, utilizzando in pieno molte fonti di energia che oggi sono sprecate per la scarsità della domanda locale, e integrando i diversi sistemi di produzione elettrica in modo da compensare le deficienze stagionali in certe zone con le contemporanee eccedenze in altre zone.

L’unificazione dell’Europa renderebbe inoltre possibile collegare le grandi autostrade dei diversi paesi europei con delle dorsali che ne verrebbero a costituire il sistema nervoso: ad esempio, una trasversale transalpina, un’altra dai Balcani al Baltico, una longitudinale Parigi-Vienna-Atene ed un’altra Parigi-Berlino-Varsavia-Mosca, come proponeva il memorandum del B.I.T. nel 1931 sul problema della disoccupazione. Essa faciliterebbe anche il coordinamento delle vie navigabili che traversano parecchie nazioni, così com’era prospettato nel memoriale stesso: il collegamento del Reno col Rodano, del sistema della Germania del Nord con quello del Danubio, ecc.

Queste opere – e molte altre se ne potrebbero ricordare, importantissima, fra le quali il canale sotto la Manica – suggerite dalla tecnica moderna, che richiede di pianificare su una scala più vasta di quella consentita dal territorio delle unità statali per ottenere il maggior rendimento possibile delle risorse disponibili, sono state finora impedite dalla suddivisione del continente in tanti piccoli stati sovrani, gelosi e paurosi l’uno della potenza dell’altro.

Gli scambi commerciali dell’Europa

La contiguità territoriale, rendendo più convenienti gli scambi commerciali fra i paesi europei degli scambi fra gli stessi paesi e quelli situati fuori del continente, dà delle caratteristiche ancor più precise alla fisionomia economica dell’Europa.

Ad eccezione dell’Inghilterra, i paesi mandano in Europa la maggior parte delle loro esportazioni, e tutti – salvo l’Inghilterra e la Francia ricevono dagli altri paesi europei la maggior parte delle loro importazioni. Le eccezioni dell’Inghilterra e della Francia sono una conseguenza delle tariffe preferenziali, determinate dalla politica che esse fanno per mantenere più intimi collegamenti con le diverse parti dei loro imperi.

Nel 1935 – l’anno più recente, relativamente meno influenzato da congiunture eccezionali (nell 1936 ci fu la guerra italo-etiopica; nel 1936-37 il 2boom”, nel 1937-38 l’accumulamento degli stocks in previsione della guerra) il commercio intraeuropeo (URSS esclusa) costituiva il 64 per cento del valore complessivo delle esportazioni e il 54 per cento del valore complessivo delle importazioni europee. Il commercio dell’Europa col resto del mondo rappresentava solo il 36 per cento delle esportazioni e il 46 per cento delle importazioni dei paesi europei. Poiché la popolazione dell’Europa (sempre URSS esclusa) è il 19 per cento della popolazione di tutto il mondo, queste cifre significano che, in media, un europeo acquistava dagli europei per un valore più che cinque volte superiore a quello degli acquisti che faceva dagli abitanti degli altri continenti, e vendeva agli europei delle altre nazioni per un valore quasi ventiquattro volte superiore a quello delle vendite che faceva agli abitanti degli altri continenti.

La pubblicazione della S.d.N. – Le commerce de l’Europe, Genève, 1941 – da cui abbiamo ripreso le cifre sopra riportate, fa anche osservare che esse subirebbero scarse modificazioni se si volesse tener conto della URSS, poiché il commercio di questo paese rappresentava, nel 1935, solo il 2 per cento delle importazioni ed il 3 per cento delle esportazioni complessive europee. E la variazione sarebbe nel senso di aumentare l’importanza del commercio intraeuropeo, in confronto al commercio dell’Europa col resto del mondo, dato che il commercio dell’URSS si svolgeva principalmente con l’Europa.

La solidarietà economica dei paesi del continente europeo, in conseguenza degli scambi commerciali, risulterebbe molto più evidente se si tenesse conto che circa la metà del traffico dell0’Europa con il resto del mondo riguardava i domini britannici, l’India, e i territori europei d’oltremare, per i quali vigevano, come abbiamo detto, delle tariffe preferenziali, le quali creavano una convenienza di traffici che altrimenti non ci sarebbe stata. In particolare l’Inghilterra, in conseguenza degli accordi di Ottawa, esportava verso l’Europa continentale meno di un terzo del valore delle sue complessive esportazioni e ne importava meno di un terzo del valore complessivo delle sue importazioni. Il suo commercio imperiale era del 7 per cento superiore al suo commercio europeo.

La fisionomia morale dell’Europa

Inoltre va rilevato che l’Europa ha già un’anima, ha già una sua unità spirituale. Ben ci se ne accorge quando si confronta la sua civiltà con le civiltà asiatiche, ed anche con quelle del Nuovo Mondo.

Questa unità spirituale nasce coll’impero romano, si nutre della cultura ellenica e del pensiero cristiano, sempre più si afferma e si consolida attraverso i grandi avvenimenti politici, che per secoli hanno contemporaneamente sommosso tutti i popoli del continente, ed attraverso le grandi correnti del pensiero che hanno dato alle diverse epoche un’unica fisionomia, un unico tono: il papato ed i movimenti monastici, le eresie, il feudalesimo, l’Impero, le crociate, i comuni, il Rinascimento, le università di studi, la Riforma e la Controriforma, l’assolutismo, l’illuminismo, la rivoluzione francese, il romanticismo, i moti per la formazione delle nazionalità, la rivoluzione industriale, il parlamentarismo, la democrazia, il socialismo, sono tutte esperienze vissute, sofferte insieme, dai popoli del nostro continente, esperienze che li hanno messi di fronte ai medesimi grandi problemi, e formano la trama sulle quali sono intessute le loro particolari storie nazionali.

Gli europei hanno ormai un certo loro modo di vivere, un certo loro modo di sentire e di impostare i problemi, un certo loro modo di concepire la vita della famiglia, ed i rapporti tra le diverse classi sociali. Nonostante i contrasti e le guerre, al di sopra delle frontiere, migliaia e migliaia di europei dei diversi paesi – che ben si può dire siano il sale delle loro terre – hanno la medesima Weltanschauung, parlano lo stesso linguaggio, si pongono i medesimi obiettivi, s’intendono fra loro meglio di quanto riescano a intendersi con i connazionali.

Questi fattori economici e spirituali costituiscono il cemento che renderebbe salfa fin dall’inizio la unità federale dell’Europa, E’ per questo che essa ci appare, oltre che più rispondente ai bisogni dell’ora, storicamente più realizzabile e vitale – una volta che fosse realizzata – di altre costruzioni politiche federali concepite per unire alcuni popoli di altri continenti: anche dell’unione dei popoli del Commonwealth britannico, sostenuta da L. Curtis – l’ascoltato consigliere del governo inglese per la costituzione del Sud Africa dopo la guerra anglo-boera – e dell’unione degli americani degli Stati Uniti con gli inglesi ed i popoli abitanti i paesi europei della costa atlantica, patrocinata da Clarence Streit, il giornalista americano che con il libro Union Now inizò nel 1938 il movimento della “Federal Union” in America.

Le guerre fra popoli europei appaiono ormai a tutti gli uomini di pensiero come guerre civili. Sono guerre tra fratelli nemici: fratelli che coltivano lo stesso campo, e che finora si sono odiati, dilaniati fra loro perché la casa in cui abitavano impediva una pacifica convivenza. Alla fine della guerra la casa sarà quasi completamente crollata. Dobbiamo proporci di ricostruirla in modo che tutti possano avere il campo – la nostra vecchia Europa – possa essere coltivato con maggiore frutto, a beneficio nostro e a beneficio di tutta l’umanità.

GLI STATI UNITI D’EUROPA

Non è possibile determinare fin d’ora i limiti territoriali degli Stati Uniti d’Europa che dovrebbero essere creati alla conclusione della pace. Ma sembra che il minimo necessario per cominciare, sia costituito da un nucleo di paesi che comprenda almeno le quattro grandi potenze dell’Europa occidentale: Inghilterra, Francia, Germania e Italia.

La posizione dell’Inghilterra

Senza l’Inghilterra, gli altri paesi non consentirebbero di associarsi con vincoli federali alla Germania, perché solo l’Inghilterra potrebbe essere un sufficiente contrappeso al blocco degli ottanta milioni di tedeschi. E questo non tanto per la sua forza demografica ed economica, quanto per l’educazione politica che il popolo inglese si è formata con l’esperienza di autogoverno. Senza una sua diretta partecipazione, ben difficilmente la federazione europea riuscirebbe a superare le difficoltà, specialmente gravi nel primo periodo, col metodo democratico, necessaria garanzia di tutte le libertà.

Il progetto che Sir Walter Layton, l’eminente economista inglese ha esposto il 3 marzo 1944 all’Università di Oxford, di una organizzazione federale degli stati europei all’infuori dell’Inghilterra e dell’URSS, sotto l’egida di queste due grandi potenze e degli Stati Uniti, che insieme dovrebbero garantire il rispetto dell’ordine e della legge sul continente, oltre ad essere inattuabile perché richiederebbe una permanente, inconcepibile comunanza negli interessi delle maggior potenze vincitrici, ripugnerebbe alla nostra coscienza di uomini liberi, perché significherebbe sottoporre ad una specie di protettorato di una nuova Santa Alleanza i paesi compresi nella federazione.

Noi pensiamo che l’Inghilterra debba far parte della futura federazione europea ed assumere perciò, alla fine della guerra, quale grande potenza vincitrice, una funzione di guida e di direzione, analoga a quella che ebbe il Piemonte nella formazione dell’unità italiana.

Questa soluzione presenta evidentemente dei pericoli. L’organizzazione federale potrebbe divenire uno strumento nelle mani dei reazionari britannici per anglicizzare a loro vantaggio il continente. Nostro compito, il compito di noi uomini di tendenze progressiste dei paesi europei fuori dell’Inghilterra, è analogo a quello che seppero così bene assolvere Manin, Minghetti, Settembrini, De Sanctis, Crispi e gli altri patrioti liberali dei diversi stati in cui era divisa l’Italia. Con la loro intelligente collaborazione con gli elementi progressisti piemontesi, con il loro continuo controllo, essi impedirono alla monarchia sabauda di piemontesizzare l’Italia e riuscirono a italianizzare il Piemonte. Similmente noi dovremmo impedire agli imperialisti britannici di anglicizzare l’Europa, ed arrivare invece, colla nostra intelligente attività, all’europeizzazione dell’Inghilterra.

Il Commonwealth britannico

La prospettiva di una federazione europea, cui partecipi l’Inghilterra, fa nascere diversi problemi. Per i limiti che ci siamo imposti nel presente opuscolo – che vuole essere solo un’introduzione allo studio dell’argomento – ci contenteremo di accennare a quelli che ci sembrano i più importanti. Avvertiamo però che si entra qui in un campo molto incerto, in cui le soluzioni proposte sono necessariamente assai opinabili, anche tenendo fede all’idea centrale dell’Unione federale europea.

In primo luogo – ci si osserva – cosa ne sarebbe del Commonwealth britannico? Potrebbe l’Inghilterra consentire alla sua dissoluzione?

Ma la partecipazione dell’Inghilterra agli Stati Uniti d’Europa non significherebbe necessariamente la dissoluzione del Commonwealth. E’ ciò che pur riconoscono eminenti costituzionalisti, che hanno studiato a fondo la questione. Invero gli inglesi sono straordinari nel trovare delle formule giuridiche che sembrano assurde dal punto di vista dell’astratta teoria del diritto e che pur funzionano egregiamente come compromessi dettati dallo stato di cose esistente. Non abbiamo anche ultimamente visto il Canadà entrare nell’Unione Panamericana, della cui difesa sono responsabili gli Stati Uniti, senza per questo rinunciare al vincolo che lo lega alla Corona britannica?

In tutti i modi l’atteggiamento dei vari domini nei riguardi di una federazione europea sarebbe determinato da interessi molto diversi.

Il Canadà è già nell’orbita degli Stati Uniti d’America, tanto che potrebbe preferire l’unificazione con loro piuttosto che unirsi ad una federazione europea.

L’Australia e la Nuova Zelanda, invece, nonostante la lontananza, dipendono talmente, per la loro prosperità, dall’Inghilterra e dall’Europa, che potrebbero essere più facilmente indotte a divenire membri della federazione. Ed a ciò sarebbero spinte anche da ragioni militari, per la difesa contro il “pericolo giallo”.

Col trasferimento delle colonie dell’Inghilterra e della Francia alla federazione, la maggior parte del continente africano verrebbe da essa amministrata. Ciò renderebbe più probabile l’adesione del Sud Africa, che potrebbe anche essere indotto ad aderire dalle medesime ragioni di difesa che varrebbero per l’Australia e la Nuova Zelanda.

D’altronde, se pure i domini non volessero divenire membri della federazione, a conti fatti, gli inglesi avrebbero certamente ancora convenienza a favorirne la creazione e ad aderirvi, specialmente se avessero ben chiaro che senza una partecipazione del loro paese non sarebbe possibile creare alcuna unità federale in Europa, e che l’alternativa a tale unità sarebbe la continuazione del caos sul continente fino alla sua unificazione sotto l’egemonia dello stato militarmente più forte.

L’importanza di un mercato europeo unificato per l’Inghilterra non sarebbe neppure da mettere in confronto con l’importanza dei mercati dei domini. Va inoltre considerato che gli inglesi, negli stessi domini, anzi in tutto l’Impero, sono relativamente pochi. Se si tolgono i cinque milioni e un quarto del Canadà, che già gravitano verso gli Stati Uniti, ci sono solo sei milioni e tre quarti di inglesi nell’Australia, un milione nel Sud Africa, un quarto di milione in India, ed un altro quarto nei possessi coloniali. Anche se l’Inghilterra fosse sicura della loro collaborazione, non potrebbe contare su una forza sufficiente per garantire la sicurezza dell’Impero quando l’Europa si fosse unificata in forma imperiale militarista. Questa guerra l’ha ben dimostrato. Ed ha dimostrato anche, con l’atteggiamento dell’Irlanda, e con l’importanza assunta nel Sud Africa dell’opposizione alla politica interventista, che il Commonwealth non corrisponde ad una solidarietà sufficiente tra le diverse parti per consentire di farvi affidamento in ogni occasione.

Quanto all’India, essa è sulla strada di ottenere la sua completa indipendenza, Per la sua situazione geografica, per l’immenso numero dei suoi abitanti e l’enorme estensione del suo territorio, per la sua diversa civiltà, non potrebbe certamente essere subito unita ad una federazione di popoli europei. Suo compito sarà di organizzare in forma federale i numerosi popoli che la compongono, arrivando alla completa autonomia, contemporaneamente alla formazione degli Stati Uniti d’Europa.

Note: 1a parte :
http://italy.peacelink.org/europace/articles/art_10470.html
2a parte
http://italy.peacelink.org/europace/articles/art_10471.html

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