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La mamma di una collega di lavoro del povero Domenico ha scritto una lettera al sindaco Stefàno

“Non voglio salutare mio figlio come se andasse in guerra”

Basta, d'ora in poi non potrò più tollerare di salutare mio figlio come se andasse in guerra, non voglio più che mio figlio rischi la vita per lavorare. Ma come fare, Sindaco?
2 agosto 2007

ILVA di Taranto Gentilissimo dott. Stefàno,
sono la madre di un ragazzo che lavora all’Ilva, nello stesso reparto di Domenico, il ragazzo deceduto in seguito al noto incidente. Lei, quando mio figlio era piccolo, più volte mi ha aiutato a guarirlo da piccoli malanni, ora, caro Sindaco, mi aiuti a curarlo da una malattia ben più grave: la disperazione di aver perso un caro amico, e soprattutto di averlo perso senza un motivo, senza risposte.

Una morte, come ce ne sono state tante altre, senza un significato, perché, passati gli squilli di tromba del momento, tutto ritornerà come prima. Tutto deve tornare come prima, nessuno può osare ribellarsi, nessuno può permettersi di rivendicare il proprio diritto ad un lavoro dignitoso, ad essere rispettato come persona. L’imperativo assoluto, all’Ilva di Taranto, è produrre il più possibile ed il più velocemente possibile.

La cultura che si cerca di imporre ai nostri ragazzi è che l’unico obbiettivo, è produrre tanto, tantissimo e velocemente. Ieri, quando mio figlio, verso le 14, mi ha salutato per montare di secondo turno, come ogni giorno, quando va via, sapendo le condizioni in cui è costretto a lavorare, l’ho salutato con una stretta al cuore, pregando in cuor mio che non gli accadesse niente. Quando poi, verso le 23, mi ha telefonato dicendomi di non aspettarlo perché sarebbe andato in ospedale a vedere come stava il suo amico, a seguito dell’ennesima tragedia, ho detto basta.

Basta, d’ora in poi non potrò più tollerare di salutare mio figlio come se andasse in guerra, non voglio più che mio figlio rischi la vita per lavorare. Ma come fare, Sindaco? Si unisca a noi e ci aiuti ad amplificare le nostre voci. Mio figlio, come tanti suoi colleghi di lavoro, sono sfiduciati, pensano che sia inutile anche tentare di parlare, perché le cose che hanno da dire sono note a tutti, e proprio quelli che dovrebbero ascoltare, non vogliono ascoltarle. Che risposta devo dare a mio figlio? Quale consiglio?

Al contrario di quanto gli ho consigliato circa 4 anni fa, quando lui mi pose di fronte al dilemma, o accetto il lavoro all’Ilva, o vado fuori a lavorare, oggi devo dirgli che preferisco saperlo lontano ma vivo! Pazienza, sarà uno dei tanti che faranno parte di quel numeroso esercito di ragazzi che lasciano la nostra splendida Taranto. Mi perdoni, caro Sindaco, per lo sfogo, ma sono troppo addolorata per questa morte, e non posso rimanere qui ferma a guardare, e ad aspettare che tocchi a me. Mi aiuti a rispondere a mio figlio, ed anche a quanti vogliono bene a Domenico e non sanno darsi pace per la sua perdita.

Con fiducia e stima
Lettera firmata

L'intervento del Comitato per Taranto
Il Comitato per Taranto si stringe attorno alla famiglia di Domenico Occhinegro, il giovane di 26 anni, operaio Ilva, deceduto per le ferite riportate in un incidente sul lavoro. Domenico è stato schiacciato da un tubo di tre tonnellate, in una fabbrica fra le più pericolose e inquinanti d'Italia. Come ambientalisti sentiamo il dovere di schierarci dalla parte dei lavoratori. Esprimiamo tutta la nostra solidarietà: la nosta lotta è la vostra. Occorre un'applicazione rigorosa della legge 626/94 per la sicurezza e per la tutela della salute sui luoghi di lavoro. Occorre un controllo sindacale più puntuale e più intransigente. Mai più morti per lavori pericolosi e per inquinamento. Mai più vittime sacrificate sull'altare del profitto.

Alessandro Marescotti
Antonietta Podda

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