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Da una settimana la città pugliese è a secco. Inchiesta della Procura La denuncia del sindaco: Vogliono privatizzare l'Acquedotto

Taranto in fila davanti alle fontanelle: "È sabotaggio, marceremo su Bari"

13 luglio 2007
Lello Parise - Inviato di Repubblica

"Chiudi il rubinetto quando lavi i denti, consumi 30 litri!!!" È in piazza Ebalia, nel salotto buono della città, che si scopre l'esistenza di due tipi di acqua: quella da bere e quella da guardare, ma non toccare. Una colonna di "oro blu" si alza verso il cielo dalla Rosa dei Venti o il "fontanone", come lo conoscono tutti da queste parti. Fa da sfondo, irriverente quanto irritante con i tempi che corrono, al profilo di una delle otto autobotti destinate ad offrirla, l'acqua potabile, ai tarantini rimasti a secco. Tutti in fila armati di bottiglie o taniche di plastica, e con un diavolo per capello. "Dissestati, dopo il crac finanziario dell'amministrazione comunale, e adesso addirittura assetati" sibila a denti stretti, con al seguito un paio di bidoni da dieci litri, Francesco Bolognini. Quelli che gli stanno accanto sudati e assonnati, non aprono bocca: si limitano a fare di sì con la testa.

La metropoli dei Due Mari, secondo capoluogo pugliese per numero di abitanti, ha i nervi a fior di pelle. Da una settimana questo è il "fronte caldo" dell'emergenza idrica in Puglia. Tanto che il sindaco Ippazio Ezio Stefàno, eletto appena un paio di mesi fa, si spinge a dire che c'è "la possibilità che vi siano azioni di sabotaggio e magari lobby in azione che vogliano rilanciare in modo strumentale il problema della privatizzazione dell'Acquedotto pugliese".

Nei quartieri del centro come il Borgo, o in quelli della periferia, a San Vito ma pure nel rione Italia, aprire i rubinetti è come giocare con la ruota della fortuna: "Esce o non esce?". Questa dell'acqua che non c'è, è la prima grana del nuovo sindaco. In mattinata telefona ai tecnici di Aqp, la società incaricata di gestire la distribuzione da un capo all'altro del tacco d'Italia, che gli rispondono un po' trafelati e un po' seccati: "Abbiamo fatto tutto quello che dovevamo fare". A quel punto Stefàno, uomo mite, perde le staffe: "Vorrà dire che se l'acqua non ritornerà immediatamente a scorrere regolarmente, io carico la gente sui pullman e la porto a protestare davanti alla sede di Aqp". Aspettando che si materializzi, già la ribattezzano la marcia su Bari.

Nel frattempo il primo cittadino, un medico, decide di chiudere alcuni uffici comunali: "Rischiavamo grattacapi seri di tipo igienico-sanitario". Ieri non c'era acqua neppure a palazzo di giustizia, dove il procuratore Aldo Petrucci apre un'inchiesta a proposito di questa "situazione vergognosa". Affida le indagini alla Digos, si procede per ora "contro ignoti" sulla base del reato che punisce l'interruzione di un servizio pubblico. Ma, avverte il capo dei requirenti, "a brevissimo" dovrebbero scattare gli avvisi di garanzia. Petrucci vuole capire chi avrebbe potuto evitare l'esplosione della crisi idrica. Quello che invece proprio non capisce è il perché solo nella capitale dell'acciaio rispetto al resto della regione si debba andare avanti come in un paese dell'Africa nera.

Taranto provincia d'Africa è appunto, la battuta tra l'indispettito e il rassegnato che circola con più insistenza ormai da 168 ore, tante quante sono quelle della siccità. Va per le spicce Luciano Mineo, diessino, vicepresidente del consiglio regionale: "Soltanto in questi giorni si stanno attivando i pozzi artesiani, per prelevare dalla falda l'acqua che manca, con colpevole ritardo da parte di Aqp". Che ecumenico, fa sapere: "Previsto per oggi un ulteriore miglioramento". Vietato sbagliare.

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