Rilevazioni dati diossina: "Un muro di gomma"
E’ come andare a sbattere contro un muro di gomma, che respinge tutto, su cui ogni cosa rimbalza lasciando tracce appena percettibili. Più il colpo è duro, ben assestato, maggiore è la capacità respingente di chi lo riceve. La battaglia di Taranto per ottenere (guai a parlare di chiusura!!!) un’industria eco-compatibile si può riassumere così. Del resto, che forza può avere una città che non ha la possibilità difendersi nei processi per inquinamento e ottenere congrui risarcimenti a fronte dei danni che quotidianamente subìsce perchè chi la rappresentava nelle sedi ufficiali (Comune, Provincia, Regione, Sindacati, Associazioni di categoria) ha firmato un atto d’intesa che la priva di questo diritto? Ma non basta. L’ultima delle beffe è quella sulle emissioni di diossina. Come si ricorderà, fu il direttore dell’Arpa Assennato proprio dalle colonne del “Corriere” ad evidenziare la necessità di effettuare un monitoraggio mirato all’interno dell’Ilva così come stabilito nell’accordo siglato a ottobre a Palazzo di Città. Successivamente, Peacelink rese pubblici i dati attinti dal registro Ines da cui emergeva un preoccupante aumento delle emissioni di diossina proprio dallo stabilimento siderurgico di Taranto. Va detto che tale registro inserisce dati sulla base delle comunicazioni fornite dalle stesse aziende (in questo caso l’Ilva) e non attraverso verifica diretta.
A maggio l’Arpa annuncia di voler effettuare il monitoraggio nell’Ilva dall’undici al sedici giugno. Contestualmente circolano indiscrezioni secondo cui l’Ilva avrebbe intenzione di ridurre l’attività nel reparto di agglomerazione, che è poi il reparto responsabile delle emissioni. Una circostanza non confermata che getta comunque ombre su una verifica che deve essere effettuata quando l’attività dell’impianto è a pieno regime. Dopo aver ricevuto le assicurazioni dell’azienda, l’Arpa effettuta il monitoraggio.
Giovedì pomeriggio i dati vengono immessi in rete e chiunque può consultarli collegandosi al sito dell’Arpa. Per ora sono solo numeri, difficili da interpretare. In attesa che sia la stessa Agenzia regionale per la protezione ambientale a svelare il mistero che si cela dietro quelle cifre incomprensibili ai più, è ancora Peacelink a dare una prima lettura dei risultati. Secondo le valutazioni fatte dall’Associazione ecopacifista i livelli di diossina emessi dall’Ilva “sono pochissimi per la legge italiana (legge 152/06 con relativi allegati), sono invece molti per il decreto regionale del Friuli Venezia Giulia (che si basa sulla Decisione CEE/CEEA/CECA n. 259 19/2/2004).
Se a Taranto si applica la legge 152/06 - sottolinea ancora Peacelink- l’impianto di agglomerazione dell’Ilva è assolutamente a norma in quanto sono state rilevate (in giornate in cui era evidente l’effetto "Mulino Bianco") solo 277,1 nanogrammi a metro cubo di concentrazione totale di diossine ripetto ad un limite di legge di 10000 nanogrammi. In pratica l’Ilva supererebbe di poco il 2 % del limite previsto, senza neppure arrivare al 3%. Se invece il camino dell’impianto di agglomerazione dell’Ilva fosse in Friuli Venezia Giulia si applicherebbe una normativa regionale che recepisce i limiti europei (espressi non in "concentrazione totale" ma in "indice di tossicità equivalente"): il limite sarebbe 0,4 nanogrammi a metro cubo. In questo caso vi sarebbe un superamento di oltre 27 volte del limite previsto. "In caso di superamento del suddetto limite, l’impianto di sintetizzazione dell’agglomerato dovrà essere immediatamente fermato", recita il decreto della Regione Friuli Venezia Giulia.”.
Insomma, dalla Regione Friuli Venezia Giulia arriva una lezione di civiltà da cui la Regione Puglia dovrebbe prendere esempio. Ritenendo troppo alto il livello consentito dalla legge italiana e vivendo sulla propria pelle il problema della diossina (Trieste ha uno stabilimento siderurgico di dimensioni molto inferiori a quello di Taranto) questa Regione si è data un proprio regolamente uniformandosi alla normativa europea che abbassando la soglia di emissioni consentite salvaguarda maggiormente la popolazione. Ora che il “caso” è scoppiato anche a Taranto ci pare sia venuto il momento che chi rappresenta la città nelle sedi istituzionali si attivi da subito per intraprendere un’iniziativa analoga a quella adottata dalla Regione Friuli Venezia Giulia. Perchè i tarantini non debbano più essere condannati “per legge” a respirare diossina.
Luisa Campatelli
luisa.campatelli@corgiorno.
Allegati
Estratto dal corgiorno del 1 Luglio 2007
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