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De Marzo si rivolge al procuratore Sebastio

Diossina all'ILVA: Altre perplessità

23 giugno 2007

. Altri dubbi sulla attendibilità del monitoraggio sulle diossine prodotte dall’Ilva. Questa volta non sono le associazioni ambientaliste a parlare, ma un ex italsiderino: l’ingegner Biagio De Marzo, consigliere dell’Ordine degli Ingegneri e di Federmanager.De Marzo spiega le sue ragioni in una lettera aperta indirizzata al procuratore aggiunto Franco Sebastio ed al professor Giorgio Assennato, direttore dell’Arpa, l’agenzia che coordina la campagna di monitoraggio.

«Le maggiori perplessità — scrive de Marzo — derivano dalla “miracolosa limpidezza” delle emissioni dal grande camino dell’impianto di agglomerazione nel periodo delle verifiche e delle misurazioni. Condivido tali perplessità. Dal 1971 al 1991 sono stato un italsiderino , in varie posizioni. A Taranto ho avuto per anni la responsabilità della manutenzione anche degli impianti di agglomerazione. I miei ricordi riguardano, però, l’impiantistica mentre la “diossina come sottoprodotto dell’agglomerato”, è tema di “processo” e di “esercizio degli impianti”. Se ne occupavano altri colleghi, oggi anch’essi ex dirigenti Italsider/Ilva, in pensione senza essere stati “epurati” da Riva. Sono colleghi esperti e seri che potrebbero dare un proficuo contributo di conoscenza e competenza ai tecnici dell’Arpa, sempre che Riva capisca che impedire l’ingresso in stabilimento a chiunque sia stato dipendente del siderurgico, in qualunque momento, non è proprio un segnale di trasparenza ed apertura al territorio».

«All’epoca dell’incidente di Seveso — racconta l’ingegnere — in Italsider furono verificati, con severità, ma con le conoscenze ed i mezzi di allora, tutti i punti del ciclo siderurgico dove potevano verificarsi le condizioni per la “produzione di diossina”. Furono individuati solo i trasformatori ad apirolio: per essi fu decisa la sostituzione graduale (che dopo 30 anni forse non è ancora ultimata). Con l’aggiunta di controlli ed accorgimenti particolari. Per questo io ed altri vecchi “agglomeratori” siamo rimasti sconcertati di fronte all’allarme diossina dell’agglomerato di Taranto, innescato dai dati autorevoli dell’Eper. Per di più, non si hanno informazioni sulle effettive modalità operative con cui sono state effettuate le rilevazioni di Cnr e Arpa. E’ fondamentale, invece, che l’argomento sia trattato con la massima trasparenza e rigore, senza lasciare il minimo dubbio. Mi permetto quindi di suggerire alcune verifiche immediate sia al dottor Franco Sebastio, da sempre acuto e coraggioso protagonista nelle vicende concernenti l’inquinamento (più di vent’anni fa, per primo, sottopose a processo il vertice aziendale della Nuova Italsider, l’ingegner Magliola ed il dottor Noce, con buona pace di Walter Scotti che frequentemente ci ricorda che l’inquinamento a Taranto non nasce con Riva), sia la professor Giorgio Assennato, attuale direttore generale dell’Arpa Puglia, ma, poco prima della nomina, testimone diretto del clima “sfuggente” riscontrato nel siderurgico, come ebbe raccontare lo stesso Procuratore Petrucci durante il convegno organizzato da Tarantoviva».

«I fumi dell’agglomerato — prosegue De Marzo — passano attraverso elettrofiltri e poi vengono cacciati in atmosfera attraverso il famigerato camino altro 220 metri, quello sulla strada per Statte. La funzione degli elettrofiltri è quella di depolverare i fumi. Ricordo, quasi 30 anni fa, che il pennacchio dell’agglomerato diventava molto visibile quando gli elettrofiltri non funzionavano bene per problemi di manutenzione o in occasione di discontinuità di processo o di esercizio. La manutenzione
degli elettrofiltri allora era molto pesante e costosissima».

«Se l’impianto è in marcia e produce agglomerato (cosa facilmente accertabile a vista durante la campagna di rilevazioni) — spiega ancora l’ex italsiderino — nelle quantità confrontabili documentalmente con altri periodi, dal camino escono per forza emissioni che possono essere poco visibili da lontano (ma non per questo prive di diossina) per particolare cura nella messa a punto del processo e per perfetto funzionamento degli elettrofiltri. Io propongo alla Procura e all’Arpa di farsi dire da Ilva come hanno provveduto alla manutenzione e pulizia degli elettrofiltri, dove hanno scaricato la polvere captata dagli elettrofiltri e con quali accorgimenti, poiché trattasi sicuramente di “rifiuti pericolosi”. Inoltre è relativamente facile far prelevare ed analizzare campioni di polvere captata negli elettrofiltri, con sopralluoghi improvvisi. Se nella polvere degli elettrofiltri si trovano tracce di diossina, è pressoché certe che la diossina è presente anche nelle emissioni al camino e allora va affrontato subito il problema della rilevazione quantitativa, da fare in continuo e non a spot programmati».

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