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Come è possibile scaricare 90 mila tonnellate di rifiuti tossico-nocivi in mare senza che nessuno lanci l'allarme?

Disastro ambientale a Taranto: si indaghi sulle complicità

Attorno alla città una lobby della morte ha in questi anni lavorato nell’ombra. Altrimenti non riusciremmo a spiegarci i silenzi, le complicità, le connivenze, le rinunce, le disattenzioni da una parte e la solitudine della magistratura dall’altra. Una incrostazione di malafede e affari ha tentato di rendere questa comunità muta, sorda, cieca e rassegnata. E priva di una rete globale di monitoraggio ambientale.
13 marzo 2006

Già il 17 novembre 2004 si aveva sentore che una grossa inchiesta, partita dalla provincia di Chieti, potesse approdare a Taranto.
Veleni


Infatti allora la magistratura aveva predisposto perquisizioni presso diverse aziende, fra cui Hidrochemical Service, con sedi a Taranto e a Lanciano (Chieti).

Sul sito web di tale azienda si può leggere: “La Hidrochemical Service opera da numerosi anni nel campo dei servizi integrati per l'ambiente e svolge le proprie attività nel settore del Risanamento Ambientale, con applicazioni di metodologie e tecnologie avanzate per la bonifica di impianti industriali dismessi e di aree inquinate, e per la decontaminazione di strutture industriali e civili contaminate da amianto. Studi preliminari sulle attività da svolgere sono eseguiti per il recupero e il riutilizzo dei materiali inquinanti, mediante opportuni trattamenti; la salvaguardia e la difesa dell'ambiente circostante; la sicurezza degli operatori”.

E, sempre frugando su Internet, si viene a conoscenza che la Hidrochemical Service esibiva la certificazione di qualità RINA (Registro Italiano Navale).

Adesso giunge notizia che enormi quantità di rifiuti - provenienti da Lombardia, Veneto, Toscana, Marche, Abruzzo, Molise e Sicilia venivano trasferiti alla Hidrochemical Service di Taranto.
La magistratura avrebbe acquisito elementi per sostenere che non veniva effettuato alcun trattamento sostanziale e quindi i rifiuti, sottoposti a procedure blande che non depuravano i reflui, finivano nel mare antistante il golfo di Taranto attraverso una condotta sottomarina a circa trecento metri dalla costa.

Secondo l’accusa a Taranto giungevano reflui di lavorazioni industriali contenenti metalli pesanti e idrocarburi, altamente tossico-nocivi, accompagnati da documenti attestanti avvenuti trattamenti mai effettuati.

Mentre sono in corso le indagini per accertare che livello di contaminazione tali sversamenti abbiano provocato, non possiamo tacere le nostre preoccupazioni.

Infatti il volume di questo traffico è imponente: circa 90mila tonnellate di rifiuti. Il nostro mare ha subito un bombardamento massivo di veleni. C’è da chiedersi come sia potuto avvenire tutto questo. La spiegazione è purtroppo semplice: a Taranto i politici di turno hanno proposto di tutto e di più tranne un serio e capillare controllo ambientale. Manca una banca dati pubblica su tutti i settori dell’inquinamento, attesa dai cittadini e richiesta dalle associazioni ambientaliste ma mai realizzata. L’informazione in campo ambientale è stata per molto tempo mantenuta quasi segreta.
La magistratura deve intervenire a posteriori per fare quelle indagini che preventivamente altri avrebbero dovuto svolgere. A Taranto si sta verificando uno scandalo ambientale dopo l’altro senza che vi sia una barriera morale e politica che tuteli la città. Una incrostazione di malafede e affari ha tentato di rendere questa comunità muta, sorda, cieca e rassegnata. A Taranto il ceto politico sembra pronto ad accettare il rigassificatore rifiutato a Brindisi sia dal centrodestra sia dal centrosinistra; con la differenza che a Taranto viene paradossalmemte approvato con l’applauso del centrodestra e del centrosinistra e con la recente benedizione di D’Alema.

Non è casuale che a Taranto vengano accantonate le preoccupazioni che privilegiano la sicurezza dei cittadini. Attorno alla città una lobby della morte ha in questi anni lavorato nell’ombra. Altrimenti non riusciremmo a spiegarci i silenzi, le complicità, le connivenze, le rinunce, le disattenzioni da una parte e la solitudine della magistratura dall’altra.

Taranto è il ventre molle su cui poter infierire e per tale motivo è stata scelta per smaltire ben 90 mila tonnellate di rifiuti che hanno ferito prima il nostro mare e quindi la nostra coscienza.

Occorre che la città esprima una politica all’altezza delle proprie legittime speranze. E intanto la magistratura faccia piena luce sulla rete di complicità che ha potuto consentire un simile disastro ambientale.

Salvatore De Rosa

Alessandro Marescotti - PeaceLink

Giovanni Matichecchia - Taranto Sociale

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