Non uccidete il Mar Piccolo con i dragaggi!
Il 12 dicembre p. v. scadranno i termini per la partecipazione al bando di gara finalizzato all’affidamento del servizio di messa in sicurezza di un’area del Mar Piccolo di Taranto. Espressioni come “messa in sicurezza”, “riqualificazione ambientale”, “recupero produttivo” vogliono suonare come il canto delle sirene di Ulisse, ma non ammaliano nessuno: di mero dragaggio, infatti, si tratta. Verranno “grattati” 280.000 mc di sedimenti accumulati negli anni davanti all’Arsenale Militare, su un’area di 170 Ha. E smaltiti: il materiale solido prenderà la strada della discarica e l’acqua... L’acqua tornerà in mare, ovvio.
Un’azione devastante per il Mar Piccolo, spacciata per “dovuta”, “imposta dalla legge”, ma al contrario scientemente “voluta”, in spregio alla volontà del Legislatore ed alla cultura millenaria della Città. In poche parole: sarà la morte della pesca e della mitilicoltura locali ed il completo degrado della “laguna eualina” sulle sponde della quale una colonia di esuli spartani principiò la storia di Taranto. L’ipocrita richiamo al D. M. 471/99, in base al quale si sarebbe caratterizzato il bacino e sarebbero state individuate “opportune” strategie per la sua “necessaria” bonifica, è paradossale: in passaggi inequivocabili, infatti, quel decreto, evitando rigide norme comportamentali od inappellabili ed ottuse prescrizioni (art. 5, punto 1; art. 10, punto 7; art. 10, punto 11), giunge ad ammonire circa il pericolo di aggiuntivo degrado dell’ambiente e del paesaggio (All. 3), che potrebbe conseguire l’avvio di improvvide operazioni di “risanamento”. Proprio quello che ci si appresta a fare: inquinare sostenendo di bonificare, in buona od in cattiva fede.
Il Mar Piccolo non gode di ottima salute, si dirà, ma quale valore terapeutico ha l’eutanasia? Peggio! La proclamata “messa in sicurezza” si configura, in questo caso, come l’iniezione letale praticata ad un imputato dichiarato colpevole sulla scorta di preconcetti ideologici, non di prove e neppure di indizi: semplicemente perché non sono stati sapientemente e coerentemente cercati.
La normativa vigente (per non parlare della Direttiva quadro sulle acque, che noi italiani non abbiamo ancora recepito) impone dei percorsi precisi, ben individuati, per giungere all’espressione di giudizi ponderati sulla qualità dei corpi idrici: suggerisce controlli sulla colonna d’acqua, sugli organismi viventi, vegetali ed animali, sugli animali concentratori, sui sedimenti, indicando come, dove e che cosa serve cercare; stabilisce parametri collegati alla specifica destinazione d’uso dei bacini al fine di garantire tutti gli usi legittimi (potabilità, vita dei pesci, molluschicoltura, balneazione, pesca) (D. Lgs. 152/99); chiarisce che tali controlli devono essere mirati a dare risposte univoche a quesiti su tossicità, persistenza e mobilità ambientale (D.M. 471/99, All. 1, punto 1).
Tali percorsi, nell’ansia di dragare per “mettere in sicurezza”, sono stati elegantemente bypassati. Neppure il protocollo di indagine elaborato dall’ICRAM è, alla fine, pienamente rispettato. L’approccio adottato è di tipo hard: come se l’ecosistema Mar Piccolo, con le sue complesse interazioni tra matrice solida, liquida e biotica, fosse un pezzo di terreno incolto, interno ad una desolata area industriale.
Non è stata rispettata la legge, non è stato seguito il protocollo di indagine, non si è tenuto conto degli usi specifici cui il bacino è destinato, non ci si è preoccupati di verificare con tutti i soggetti interessati, pubblici e privati, la eco- e la socio- compatibilità dell’operazione. Che cosa di buono potrebbe mai produrre tanta colpevole superficialità?
Confcooperative e Legacoop non hanno interesse a che si attivino, a vantaggio delle imprese alieutiche e mitilicole, “ammortizzatori sociali”, misure straordinarie di sostegno od altri interventi compensativi: vogliono, semplicemente, che il Mar Piccolo continui a vivere. Queste Associazioni chiedono che, abbandonate definitivamente le ipotizzate strategie di intervento, sciagurate giacché miopi ed ottuse, si avvii un processo virtuoso che, dando attuazione alla lettera ed allo spirito della normativa vigente, consenta di integrare, confrontandole, tutte le informazioni esistenti sullo stato di salute del bacino e di assumere le necessarie iniziative per la protezione dell’ambiente marino, la tutela della salute e la salvaguardia delle produzioni esistenti, a difesa dell’occupazione e delle secolari tradizioni colturali e culturali.
Il Mar Piccolo non abbisogna di interventi puntiformi, tanto più se non mirati: occorre piuttosto che si ponga mano ad un vasto ed organico programma di recupero, da concertare richiamando responsabilità politico-amministrative agevolmente individuabili e competenze che il territorio, con tanta generosità, dispensa.
Nessuno si sottragga ai suoi doveri!
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