L’Inghilterra e la Magna Charta Libertatum (1215)
Giovanni, per grazia di Dio re d’Inghilterra, signore d’Irlanda, duca di Normandia e di Aquitania e conte d’Angiò, agli arcivescovi, vescovi, abati, conti, baroni, giudici, funzionari della foresta, sceriffi, intendenti, servitori ed a tutti i suoi balivi [o bàiuli, pubblici ufficiali] e fedeli sudditi, salute.
Sappiate che noi, per timore di Dio e per la salvezza dell’anima nostra e di quella di tutti i nostri predecessori ed eredi, per l’onore di Dio ed il prestigio della santa Chiesa, e per la riforma del regno nostro, su consiglio dei nostri venerabili padri, Stefano arcivescovo di Canterbury, primate di tutta l’Inghilterra e cardinale della santa romana Chiesa [...] ed altri nostri fedeli sudditi:
[1] In primo luogo abbiamo concesso a Dio ed abbiamo confermato con questa nostra carta, per noi ed i nostri eredi in perpetuo, che la Chiesa inglese sia libera, ed abbia i suoi diritti integri e le sue libertà intatte. [...] Abbiamo anche concesso a tutti gli uomini liberi del nostro regno, per noi ed i nostri eredi per sempre, tutte le libertà sottoscritte, che essi ed i loro eredi ricevano e conservino, da noi e dai nostri eredi.
[...]
[9] Né noi né i nostri balivi ci impadroniremo di una terra o di una rendita qualsiasi in pagamento di un debito sino a che i beni mobili del debitore siano sufficienti a restituire il debito, né coloro che hanno prestato le garanzie per il debitore subiscano danno sino a quando lo stesso debitore sia capace di pagare il debito; e se il principale debitore non riesce a pagare il debito perché non ha nulla con cui pagarlo, i garanti rispondano per il debito, e se questi lo desiderano, ricevano le terre e le rendite del debitore sino a quando abbiano ricevuta soddisfazione per il debito pagato per suo conto, a meno che il principale debitore dimostri che ha soddisfatto i suoi obblighi verso i garanti.
[...]
[13] La città di Londra abbia tutte le antiche libertà e libere consuetudini sia per terra che sulle acque. Inoltre noi vogliamo e concediamo che tutte le altre città, borghi, ville e porti abbiano tutte le loro libertà e libere consuetudini.
[...]
[16] Nessuno sia costretto a rendere un servizio maggiore del dovuto per un feudo di cavaliere o per altro libero obbligo feudale.
[...]
[20] Un uomo libero non sia punito con una multa per una piccola colpa, se non secondo il grado della colpa, e per una grossa colpa sia multato secondo la sua gravità, rimanendo salvi i suoi mezzi di sussistenza; e similmente per i mercanti, salve le loro mercanzie, e nella stessa maniera un villano sia multato, salvi sempre i suoi strumenti di lavoro, se tutti questi ricorreranno alla nostra misericordia. E nessuna delle suddette multe sia imposta eccetto che per la testimonianza giurata di probi uomini del vicinato.
[21] Conti e baroni non siano multati se non dai loro pari e soltanto in proporzione alla natura del reato.
[22] Nessun religioso sia multato per i suoi benefici laici, fuorché nella maniera degli altri suddetti e senza riferimento alla misura del suo beneficio ecclesiastico.
[23] Né una comunità né un uomo singolo siano costretti a costruire ponti tra le sponde dei fiumi, eccettuati coloro che debbono farlo legalmente per antica consuetudine.
[...]
[30] Nessuno sceriffo nostro balivo o alcun altro prenda cavalli o carri di alcun uomo libero per lavori di trasporto senza il consenso di quell’uomo libero.
[31] Né noi né i nostri balivi prenderemo il legname di altri per i nostri castelli o altre nostre necessità senza il consenso del proprietario del bosco.
[32] Noi non terremo per piú di un anno ed un giorno le terre di coloro che sono stati imprigionati per fellonia [infedeltà verso il proprio signore], ed allora le terre saranno restituite ai signori dei feudi.
[...]
[39] Nessun uomo libero sia arrestato o imprigionato o multato o messo fuori legge o esiliato o danneggiato in alcun modo, né ci volgeremo o manderemo alcuno contro di lui, eccetto che per legale giudizio di suoi pari o secondo la legge del regno.
[40] A nessuno venderemo, a nessuno negheremo o ritarderemo il diritto e la giustizia.
[41] Tutti i mercanti siano salvi e sicuri nell’uscire dall’Inghilterra e nell’entrarvi, nel dimorarvi e nel viaggiare per essa, sia per terra che sulle acque, per comprare e per vendere liberi da ogni ingiusta tassa, secondo le antiche e giuste consuetudini, eccetto in tempo di guerra e se vengano da terra in guerra contro di noi. E se questi mercanti son trovati nelle nostre terre allo scoppio della guerra, essi siano arrestati e trattenuti senza danno alle loro persone o beni, sino a quando noi o il nostro primo giudice sappiamo come sono trattati i mercanti della nostra terra trovati nella terra in guerra con noi, e se i nostri sono sicuri colà, gli altri siano salvi nella nostra terra.
[...]
[52] Se qualcuno è stato da noi spossessato o privato senza legale giudizio dei suoi pari di terre, castelli, libertà o suoi diritti, glieli restituiremo immediatamente; e se qualche disaccordo sorge su questo punto, che sia risolto dal giudizio dei venticinque baroni indicati piú oltre nella clausola sulla sicurezza della pace [come è spiegata nel 61].
[...]
[61] Poiché inoltre abbiamo concesso tutte le cose suddette per Dio, per la riforma del regno nostro e la migliore risoluzione della discordia che è sorta tra noi ed i nostri baroni, e poiché desideriamo che essi godano queste cose integralmente e stabilmente, diamo e concediamo loro la seguente sicurezza: cioè, che i baroni eleggano quei venticinque baroni del regno che essi desiderano, i quali con tutte le loro forze debbono osservare, mantenere e far osservare la pace e le libertà che abbiamo concesso e confermato loro con questa nostra carta, cosí che, se noi o il nostro giudice o i nostri balivi o uno qualsiasi dei nostri funzionari commettiamo mancanza contro chiunque in qualunque maniera, o trasgrediamo uno qualsiasi degli articoli di pace o di sicurezza, e l’offesa è denunciata a quattro dei suddetti venticinque baroni, quei quattro baroni vengano da noi, o dal nostro giudice, se noi ci trovassimo fuori del regno, e la portino a nostra conoscenza e chiedano che noi la correggiamo senza indugio. E se noi, o il nostro giudice nel caso ci trovassimo fuori del regno, non correggessimo l’offesa entro quaranta giorni dal momento in cui è stata portata a conoscenza nostra o del nostro giudice se ci trovassimo fuori del regno, i suddetti quattro baroni riferiscano il caso ai rimanenti dei venticinque baroni, i quali tutti insieme alla comunità di tutto il regno, ci danneggeranno e molesteranno in ogni maniera che potranno, cioè impadronendosi di castelli, terre e proprietà, ed in altre maniere che potranno, restando salva la nostra persona e quelle della regina e dei nostri figli sino a che, a loro giudizio, sia stata corretta l’offesa, e quando sarà stata corretta essi ci obbediranno come facevano prima. E chiunque nel regno lo voglia può prestare giuramento di obbedire agli ordini dei suddetti venticinque baroni in esecuzione di tutte le cose suddette e di unirsi a loro per molestarci per quanto lo possa, e noi pubblicamente e liberamente permettiamo a chiunque lo desideri di prestare tale giuramento, e non proibiremo mai ad alcuno di prestarlo. [...]
[...]
[63] Per queste ragioni desideriamo e fermamente comandiamo che la Chiesa inglese sia libera e che gli uomini del nostro regno abbiano e conservino tutte le suddette libertà, diritti e concessioni, bene e pacificamente, liberamente e quietamente, pienamente e integralmente, per loro ed i loro eredi da noi e dai nostri eredi, in tutte le cose ed i luoghi per sempre, come è stato detto. Inoltre è stato giurato, sia da parte nostra che da parte dei baroni che tutte le cose suddette saranno osservate in buona fede e senza cattive intenzioni. Testimoni i suddetti e molti altri.
Dato per nostra mano nel prato chiamato Runnymede tra Windsor e Staines, il 15 giugno, nel diciassettesimo anno del nostro regno.
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