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I 4 processi del Capitano Ultimo

20 febbraio 2006

Il giallo che non è mai stato un giallo, una storia che nessuno ha voluto ascoltare, un epilogo pressoché scontato, che vede il capitano ultimo l'unica persona processata quattro volte per aver svolto il proprio lavoro nonostante abbiano fatto di tutto per impedirglielo.

Il primo processo: dall'arma dei carabinieri

Ultimo ha subìto il suo primo processo dalla sua famiglia, l'arma dei Carabinieri che ha servito con la massima professionalità, lealtà e a rischio della propria vita.

Subito dopo l'arresto di Riina il suo gruppo fu sciolto e furono abbassate le sue note caratteristiche da persona "eccellente" a "superiore alla media". Dopo una serie di richieste che Ultimo fatte all'arma per poter lavorare con il massimo rendimento, vedendo che l'unica cosa che otteneva era precariatà e mancanza di strutture e di personale, il "capitano" chiede un trasferimento ad un altro reparto. In risposta ad Ultimo, un comunicato all'ansa dell'ex comandante del Ros Sabato Palazzo, replica di aver dato la massima disponibilità a Sergio De Caprio. Il nome di Ultimo fino ad allora era sconosciuto per ovvi motivi di sicurezza.

A distanza di qualche anno, a seguito di un blitz anticamorra a Pozzuoli, Sabato Palazzo è chiamato a rispondere per reati quali corruzione, falso, favoreggiamento aggravato e abuso di ufficio.

Il secondo processo: giudiziario

Qui possiamo cominciare dalla fine: dopo un anno di processo e di tentativi di incriminare chi ha - di fatto - trovato e catturato il capo di Cosa Nostra, siamo tornati al punto di partenza. Il 19 febbraio 2005, esattamente un anno fa, i PM dichiararono "per noi sarebbe difficile andare a rappresentare un'accusa alla quale non crediamo".

I PM avevano chiesto già due volte l'archiviazione, il non luogo a procedere, perchè "il fatto non costituisce reato, o, in subordine, il proscioglimento", ma il Gip Vincenzina Massa, (che ha combattuto con le unghie e con i denti per farci assistere a questo penoso spettacolo da circo), espertissima di antimafia, evidentemente, impose ai pubblici ministeri l'incriminazione coatta con l'ipotesi di favoreggiamento aggravato nei confronti di Cosa Nostra, reato che non prevede prescrizione, stilando un rapporto in cui spiegava la assoluta necessità di incriminare i due ufficiali.

Nell'ordinanza di imputazione coatta il Gip fa riferimento al «verbale di sopralluogo» e alla «documentazione fotografica» che dimostrano l'esatto contrario di quel che sostiene nel provvedimento. In queste 35 pagine di motivazioni, la Gip si chiedeva che fine aveva fatto la cassaforte asportata dal muro, per esempio. Peccato però che la cassaforte non è mai stata asportata, nè tantomeno è stata trovata aperta dai carabinieri quando il 2 febbraio poterono finalmente eseguire la perquisizione. Fu usata infatti la fiamma ossidrica per aprire la cassaforte dal retro.

Oggi, a un anno dal processo, i PM devono aver dimenticato il motivo del processo, perchè il reato di cui vengono accusati gli imputati è quello di favoreggiamento a Cosa Nostra. Un solo reato, per cui però vengono fatte due richieste: una di assoluzione perchè il fatto non sussiste, e l'altra di prescrizione perchè il favoreggiamento potrebbe essere semplice, e non aggravato, citando anche la discussa legge cirielli in realtà inapplicabile per questo processo.

Una cosa ci sfugge: se, come dice Ingroia, "favoreggiamento nei confronti di Cosa Nostra non c'è stato" nei confronti di chi c'è stato? Addirittura il pm Prestipino apre la requisitoria con elogi nei confronti degli imputati: «Quello che oggi si conclude è un processo particolare, sia per i due imputati rappresentanti delle istituzioni, le cui qualità professionali non sono mai state messe in discussione, sia per le note vicende procedimentali che lo hanno caratterizzato».

Se Ultimo non ha favoreggiato Cosa Nostra e nel caso del Covo di Riina ci sono delle ombre, chi sono i responsabili? Nel diario degli appuntamenti del sostituto procuratore Aliquò si legge in data 27 gennaio che nel corso di una riunione con i vertici del Ros, seppur la procura sollecitasse l´effettuazione di una perquisizione nella villa di via Bernini, l´allora colonnello Mori "sembra non avere urgenza e dice che l´osservazione del complesso di via Bernini stava creando tensione e stress al personale operante, accennando alla sua sospensione".
Peccato però che quel giorno il colonnello Mori stava interrogando Vito Ciancimino nell'aula bunker di Rebibbia, in compagnia proprio della sua pubblica accusa Antonio Ingroia (che tra le altre cose aveva lodato la "scrupolosa e minuziosa cronaca del dottor Aliquò in presa diretta").
Diverse inesattezze sono riportate nel famoso e scrupoloso diario, compreso l'avvenuto arresto della Bagarella. Ma non era un errore di data. La famosa riunione con Mori non c'è mai stata, ed a documentare il tutto sono i registri con le autorizzazioni dell'arma sui vari spostamenti di tutti.

Aliquò ha quindi prodotto documenti falsi? Purtroppo per lui questa non è un'opinione, ma un fatto inconfutabile provabile dai verbali degli interrogatori con Ciancimino. E che sarebbe giusto approfondire.

La storia, quella vera, quella che nessuno ha potuto smontare per l'ovvietà dell'andamento logico dei fatti, e per i documenti presentati in questo processo, è che via Bernini, dopo l'arresto di Riina, doveva essere il punto di partenza di Ultimo per riuscire a catturare anche tutta l'imprenditoria che i fratelli Sansone stavano tenendo in piedi. Per continuare a tenere osservata via Bernini e a controllare le 8 utenze telefoniche riconducibili ai Sansone trovate in quel comprensorio, bisognava trovare un modo per depistare chi ci abitava dentro, per far credere che nessuno sapesse che quel covo era in una situazione di pericolo. Fu quindi deciso di fuorviare la stampa, di non dire che il covo di Riina era in via Bernini, e furono mandati inizialmente tutti i giornalisti altrove, mettendo così Ultimo e il suo gruppo in condizioni di poter fare i lavori di polizia giudiziaria per effettuare i dovuti accertamenti bancari, intercettazioni telefoniche, pedinamenti ecc. Malauguratamente all'interno dell'arma ci furono delle inopportune fughe di notizie che portarono giornalisti come Bolzoni e altri, a piantonare via Bernini, 54 per fare lo scoop, favoreggiando così Cosa Nostra. Chi viveva in quel comprensorio, ovviamente, avrà avuto modo di fiutare il pericolo vedendo giornalisti curiosi nei dintorni a fare domande su Riina, bruciando così tutta la copertura. (Interrogatorio del 2003 durante le indagini preliminari: "[...]il Maggiore RIPOLLINO aveva avvisato i giornalisti di quale era l'abitazione di RIINA, mentre in Procura era stato deciso di non rivelarlo, infatti era stata fatta l'attività su Fondo Gelsomino per non svelare che invece sapevamo dove stava RIINA e quindi una farsa totale, cioè se noi decidiamo di non dirlo, quello invece lo dice, mi dice che senso ha, comunque l'esigenza nostra era quella di sparire, lasciarli quanto più possibile tranquilli e di riprenderli nel momento in cui loro, che sicuramente si saranno verificati cinquantamila volte, si ritenevano tranquilli, riprendevano la loro normale attività di Cosa Nostra e noi allora saremmo dovuti essere lì e avremmo fatto la stessa attività che avevamo fatto sui GANCI. Questo è quello in cui credo e su questo mi ci sono giocato la mia vita, la mia professionalità".)

Un'altra domanda lecita è: se Ultimo non avesse insistito per tenere d'occhio via Bernini invece di Fondo Gelsomino, come richiesto dal procuratore aggiunto Aliquò e dal colonnello Cagnazzo, Riina sarebbe dietro le sbarre adesso?

Ci sono altri tasselli, oltre a tutto questo, meritevoli di attenzione. Un muratore, Angelo Parisi, ha raccontato che tra il 20 e il 22 gennaio gli venne confermato l'incarico dal padrone della casa di via Bernini, Giuseppe Montalbano, di svolgere di lavori di ristrutturazione «del bagno, coloritura, togliere carta da parati, eliminare umidità dalle pareti». Per fare ciò «spostammo i mobili che abbiamo coperto per non impolverarli», «lavorammo due o tre giorni», dopodiché «una mattina andammo in via Bernini 54 e trovammo un sacco di carabinieri». La perquisizione è del 2 febbraio. Tutto torna.

Per quanto riguarda invece l'altro giallo, quello della mancanza di osservazione con le telecamere in via Bernini, il punto è che il metodo che Ultimo ha usato (e sempre con successo) non è quello di tutti, e cioè per tenere sotto controllo un'abitazione, non solo non è necessario tenere puntate le telecamere 24 ore su 24, ma è un modo di fare vivamente sconsigliato. Un'attività consecutiva con il furgone per troppi giorni porta solo ad insospettire la "preda", quindi per tenere sotto controllo costante la zona, bisognava pedinare, fare richerche bancarie (infatti il 26 fu trasmessa alla procura tutta la situazione patrimoniale dei Sansone che era stata richiesta) ascoltare le telefonate, seguire, all'occasione usare le telecamere, ma non in maniera troppo presente e ossessiva, perchè se l'osservazione doveva essere costante nel tempo non potevano permettersi di farsi beccare in maniera idiota, magari montando un carrello elevatore sul palo della luce per montare una telecamera all'interno del comprensorio. Questo si, sarebbe stato deleterio, oltre che stupido. Ma queste cose non sono informazioni che si sanno adesso, perchè c'è il processo. Sono tutti fatti che in fase istruttoria hanno convinto i PM alla non colpevolezza dei due ufficiali. Gli stessi fatti, poi, che hanno convinto i PM delle loro colpevolezza, e poi ancora della loro innocenza e "indiscussa capacità".

Il fine di Ultimo insomma, non era la cattura di Riina e basta, ma seguire i Sansone, e ricostituiremo i circuiti politico imprenditoriali. Un'operazione questa che in Sicilia deve essere o bloccata. I metodi sono stati quelli che vediamo adesso. Teniamo anche conto che questo processo ha giovato a Cosa Nostra perchè adesso sanno come il gruppo di Ultimo opera (operava, è meglio), sanno anche i nomi e i cognomi di tutti gli appartenenti all'operazione dell'arresto di Riina.

Il terzo processo: da Cosa Nostra

"Numerosi collaboratori di giustizia dal 1993 al 1997 riferiscono dell'esistenza di un progetto "aperto" di Cosa Nostra (Bernardo Provenzano e eoluca Bagarella), finalizzato all'uccisione di Ultimo. Secondo Gioacchino La Barbera, Leoluca Bagarella avrebbe offerto ad un carabiniere (mai indentificato) un miliardo di lire per ottenere notizie utili all'individuazione dell'ufficiale (fonte: L'azione - tecniche di lotta anticrimine)".

Ora però, dalle ultime testimonianze dei pentiti, Ultimo non doveva essere ucciso, doveva essere solo sequestrato. Per fare una partitina a carte, magari. A tressette col morto, forse. Pare che ad ogni modo, a quanto risulta dai pentiti, l'ufficiale è stato individuato, e il progetto di "sequestro" fosse avallato anche dallo stesso Provenzano.

Brusca però di cose ne dice tante. Ha riferito che molti pensavano che Provenzano fosse un confidente dei Carabinieri. Ad ogni modo, chiedendo allo stesso Ultimo cosa pensasse delle esternazioni di Brusca su presunte collaborazioni di Provenzano, Ultimo risponde: "in Cosa Nostra non esiste il sospetto, se uno è sospettato di essere collaboratore, muore. Non si fa salotto, lì, quella è una guerra. Si ammazzano tra familiari consanguinei stretti, solo per il sospetto che ci sia collaborazione con i Carabinieri. Ad ogni modo, se Provenzano, il capo di Cosa Nostra, fosse un nostro collaboratore, non ci sarebbe neanche la lotta alla mafia, non ci sarebbe la mafia. Ma poi, come mai Provenzano collabora con i carabinieri e Brusca lo cattura la Polizia, Bagarella la Dia, ecc ecc?"

E come Brusca, Giusy Vitale è stata una delle protagoniste di questo spettacolo, di cui vorrò farmi restituire il biglietto, perchè è stato uno spettacolo niente affatto divertente, niente affatto giusto, a prescindere dalle decisioni del giudice.

Il quarto processo: mediatico

"I carabinieri del Ros che arrestarono Totò Riina abbandonarono la postazione nascondendo al procuratore Caselli che se n´erano andati, che avevano lasciato libera una squadretta di mafiosi di infilarsi là dentro e svuotare il covo del boss dei boss. Questa è una vicenda molto italiana, Leonardo Sciascia l´avrebbe chiamata una "storia semplice". Questo è un pezzo di articolo di Bolzoni preso da antimafiaduemila. Ma dove le abbiamo sentite queste parole? Ah, si, da Ingroia, nella requisitoria. (La mancata perquisizione del covo del boss mafioso Toto' Riina subito dopo il suo arresto e la cessazione dell'attivita' di osservazione decisi dal Ros senza avvertire la Procura ''altro non e' che 'Una storia semplice''). Si farà forse preparare i testi da Bolzoni? Scherzi a parte, Bolzoni non ha fatto altro che parlare di Ultimo come "l'uomo famoso grazie alla fiction", l'uomo che senza una soffiata non avrebbe mai preso Riina, affermando il falso con la storia dei mafiosetti entrati a svaligiare casa, ha solo buttato fango, mettendo a caratteri cubitali le colpe additate ai due ufficiali, perchè "così dicono i pentiti". Questo perchè? Perchè ha scritto un libro che avalla la tesi della trattativa tra Stato e Mafia. Su queste dichiarazioni non ha mai voluto rilasciare nessuna fonte avvalendosi della facoltà di non rispondere tutelata dal segreto professionale. Un po' come se si dicesse che Ferrara è un pedofilo senza poter mai provare nulla. Intanto il dubbio rimane, il libro vende, guadagna, ma la persona rimane infangata agli occhi di chi non ha fonti alternative ai giornali "enbedded", gli autorizzati a parlare di questi argomeni. Durante le udienze, tra bolzoni e Lodato c'era la gara tra i "non so, non ricordo". Addirittura Bolzoni non ha potuto confermare quanto scritto in un suo libro perchè non l'aveva riletto!!! (leggi verbale)

Il processo mediatico non finisce con i giornali "Repubblica" o "L'unità", che titola l'articolo della requisitoria "Mori salvato dalla Cirielli" sapendo benissimo che la Cirielli non è neanche applicabile nè a questo processo nè per questo tipo di reato.

Il processo mediatico va oltre.

Il giorno che è iniziato il processo, anticipando il palinsesto di una settimana, viene mandato in onda il film "L'uomo sbagliato", la storia di Daniele Barillà, condannato per errore giudiziario in una operazione portata avanti con l'aiuto dello stesso capitano Ultimo. Una cosa strana è che il regista del film è lo stesso che ha diretto la fiction "Ultimo", la prima serie, poi scalcato da Michele Soavi. Dopo essere stato scalzato da un altro regista, stranamente, fa un film che narra le gesta sbagliate del capitano di cui ha raccontato l'arresto di Riina.

Rivalsa?

Non si sa. Una cosa che si dovrebbe sapere, però è che l'avvocato del Barillà martire assolto in appello, è stato denunciato dalla procura della repubblica per aver prodotto documenti falsi per tutelare e "aggiustare" la situazione del suo assistito. E che l'appello è stato vinto perchè il quantitativo di cocaina di cui fu trovato in possesso, non era di 50 kg ma di qualcosa in meno.

On line da oggi la denuncia della procura da domani la sentenza di condanna in primo grado. Se vuole dire la sua gli diamo anche spazio per parlare. Ci faremo spiegare che lavoro faceva, quanto tempo sono andate avanti le indagini, quali erano le persone che frequentava. Magari potrà smentire che la sua cricca era fatta di assassini, spacciatori, ecc ecc.

Girava voce che anche su Giusy Vitale stanno preparando un film (non sappiamo quanto sia vera la notizia, l'abbiamo scoperta con una notifica di google. Il giorno in cui il Newsweek parlava della Vitale come l'aspirante boss di Cosa Nostra che ambirebbe alla Cupola, su repubblica on line si leggeva la notizia che la storia della pentita sarà un film).

Il crimine che è stato compiuto dali animatori della campagna stampa che ha prodotto questo processo è stato quindi, ed è tuttora, quello di legittimare l'associazione mafiosa Cosa Nostra e le sue opinioni.

Note: Clicca qui per scaricare alcuni mp3 delle udienze e i documenti riguardanti Barillà

Clicca qua per vedere le foto del giallo del Covo

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