Palestina

Una replica in Palestina della guerra contro il Libano?

6 novembre 2006
Hasan Abu Nimah e Ali Abunimah
Tradotto da per PeaceLink
Fonte: The Electronic Intifada

Ci sono segnali inquietanti secondo cui il piano meditato da tempo per rovesciare il governo di Autorita’ Palestinese guidato da Hamas, eletto democraticamente, starebbe per entrare nella sua fase piu’ pericolosa: un golpe politico, col sostegno delle milizie locali e con aiuti stranieri e regionali. Questo potrebbe innescare una seria violenza interna alla Palestina. Con l’Iraq che da’ un terribili avvertimento su come un’occupazione straniera possa alimentare spargimento di sangue civile, bisogna fare di tutto per smascherare e ostacolare questa pericolosa cospirazione.
Il capo dell’intelligence dell’Autorita’ Palestinese, e guida delle milizia di Fatah, Tawfik Tirawi, l’8 ottobre ha detto in un’intervista al Sunday Times: “Siamo gia’ all’inizio di una guerra civile, non ci sono dubbi. (Hamas) sta accumulando armi e una guerra civile vera e propria può scoppiare in ogni momento”. Il giornale citava fonti palestinesi secondo cui il presidente dell’Autorita’ Palestinese Mahmoud Abbas “ha fatto sapere a Stati Uniti, Giordania ed Egitto che si sta preparando a prendere provvedimenti contro Hamas”. E, affermando che Hamas “si sta preparando ad una guerra contro di noi”, Tirawi “prevede che la violenza iniziera’ a Gaza e si espandera’ alla Cisgiordania.” I leader di Hamas, incluso il Primo Ministro Ismail Haniyeh, hanno assicurato energicamente che non permetteranno mai una guerra civile, nonostante una milizia affiliata a Fatah abbia recentemente rilasciato una dichiarazione in cui si minaccia esplicitamente di ucciderli.
Ricordiamo che nelle elezioni per il consiglio legislativo dello scorso gennaio il Movimento di Resistenza Islamica, Hamas, ha sonoramente sconfitto Fatah, la fazione nominalmente nazionalista e secolare fondata da Yaser Arafat che ha dominato il movimento palestinese istituzionalizzato fin dagli Anni ’60. Fatah, ora guidata dal presidente dell’Autorita’ Palestinese Mahmoud Abbas, e’ stata ampiamente bocciata per la sua corruzione e per la cattiva amministrazionie dell’Autorita’ Palestinese, fondata nel 1994 in seguito agli Accordi di Oslo.
Una settimana dopo che piu’ di una dozzina di Palestinesi sono stati uccisi in combattimenti tra seguaci di Hamas e Fatah, gli ultimi commenti di Tirawi potrebbere essere considerati le fondamenta per un confronto su larga scala e premeditato.
Una “fonte di primo grado della sicurezza” di Fatah, probabilmente lo stesso Tirawi, aveva gia’ detto allo stesso giornalista del Sunday Times lo scorso maggio che “la guerra civile e’ inevitabile” e che “il tempo sta per scadere per Hamas”. Aveva avvisato che “sceglieremo il momento e il luogo adatti per lo scontro militare. Ma dopo non restera’ piu’ nulla dell’esercito di Hamas”.
Quel momento si sta avvicinando? I sostenitori di Abbas che si trovano fuori del Paese lo stanno incoraggiando a sfidare Hamas. Gli avvertimenti di Tirawi sono seguiti alla visita del Segretario di Stato USA Condoleeza Rice alla regione, visita che ha incluso anche un caldo abbraccio in pubblico ad Abbas. Il 5 ottobre la Reuters ha riferito che le milizie fedeli ad Abbas stanno ricevendo armi ed addestramento dagli Stati Uniti. “Allargare le dimensioni della guardia presidenziale”, la milizia personale di Abbas, “fino al 70%, secondo il piano statunitense”, si afferma nell’articolo, “e’ divenuta una parte centrale della politica Americana da quando (Hamas) ha sconfitto il partito di Abbas, Fatah, alle elezioni ed e’ salito al governo”. Questo apparente incoraggiamento a ricorrere alle armi quando l’uso del voto non ha prodotto gli effetti desiderati e’ una diretta contraddizione dei piu’ semplici principi di democrazia, al di la’ della sua assoluta immoralita’. Questo suona gia’ abbastanza male, ma sembra anche una replica della strategia adottata in Libano, dove le potenze occidentali sembravano pensare che Israele, in quanto Stato cliente locale, potessere essere usato per sferrare un colpo letale agli Hezbollah. I risultati umani e politici di quell’avventura, la distruzione sistematica del Libano da parte di Israele di quest’estate, parlano da soli. Questa volta, Abbas e le sue forze sarebbero il cliente locale degli Stati Uniti, e Hamas ricoprirebbero il ruolo degli Hezbollah.
Il solo risultato di un tale confronto sara’ un’altra orgia di violenza sanguinaria E quasi certamente il sostegno ad Hamas ne uscirebbe rafforzato, ma tra il popolo palestinese ci sarebbero solo sconfitti.
Ci sono buone ragioni per temere che stia arrivando il momento in cui questa cospirazione ricorrera’ all’uso delle forze armate, perche’ la campagna per rovesciare Hamas si sta intensificando. Poche settimane dopo le elezioni di gennaio il New York Times ha riferito che ufficiali statunitensi ed israeliani si erano incontrati al “vertice” per tramare la caduta di Hamas “affamando” l’Autorita’ Palestinese. Si cominciò bloccando gli aiuti da Stati Uniti ed Unione Europea, chiaramente per costringere Hamas a “riconoscere Israele” e “abbandonare la violenza” (Al momento della sua elezione Hamas aveva sospeso unilateralmente gli attacchi ad Israele gia’ da un anno, e i suoi leader indicavano con forza la volonta’ di raggiungere un “accordo a lungo termine”). Israele ha aumentato gli attacchi militari a Gaza, uccidendo e storpiando migliaia di civili, e distruggendo infrastrutture civili, compresa l’unica centrale energetica. La maggior parte dei Palestinesi ha ora difficolta’ a nutrire le proprie famiglie. Israele ha rapito 8 ministri del governo di Hamas e un quarto dei membri eletti del consiglio legislativo, mentre i leader di Fatah continuano a mobilitare la gente contro Hamas, anche organizzando scioperi e proteste dei lealisti di Fatah tra gli impiegati dell’Autorita’ Palestinese, che sono stati privati del salario da quello stesso assedio internazionale a cui i leader di Fatah hanno ammiccato e che hanno addirittura incoraggiato.
Anche gli sforzi per superare l’impasse politico formando un “governo di unita’ nazionale” sono falliti perche’ gli sconfitti di Fatah alle elezioni, spalleggiati dalle potenze straniere, esigono che Hamas, che ha vinto le elezioni, abbandoni la sua politica e i suoi principi per abbracciare quelli del partito sconfitto. Ma niente di tutto ciò ha funzionato. A dispetto della punzione, i Palestinesi dei territori occupati non sono piu’ disposti del solito a sottomettersi alla tirannia di Israele: il 67% “crede che Hamas non dovrebbe riconoscere lo Stato di Israele allo scopo di soddisfare le richieste dei donatori internazionali”, anche se “il 63% sosterrebbe il riconoscimento palestinese di Israele in quanto stato del popolo ebraico dopo il raggiungimento di un accordo di pace e dopo che sia stato costituito uno stato palestinese”, ha rivelato in settembre un’indagine del Centro Palestinese per la Ricerca.
Mentre aumentano gli incidenti e le provocazioni da parte di seguaci di entrambe le fazioni, Abbas sta prendendo in considerazione altri mezzi coercitivi culminanti in un colpo di stato: destituire il governo di Hamas, formare un’amministrazione di “emergenza”, e scioglere il consiglio legislativo dominato da Hamas per aprire la strada a nuove elezioni generali che possono essere posticipate a tempo indeterminato, o almeno fino a quando si potra’ preparare una vittoria di Fatah.
Il pericolo che fronteggia i Palestinesi e’ acuto. Ma siamo franchi: non e’ una minaccia di guerra civile. Tra i milioni di Palestinesi qualunque, che siano vittime della brutale occupazione israeliana, che vivano come cittadini di seconda classe nello “stato ebraico”, o in esilio forzato, non esiste un disaccordo nemmeno lontanamente sufficiente per mettere fratello contro fratello e famiglia contro famiglia in una guerra civile. Al contrario, i Palestinesi sono uniti nella comprensione di ciò che li affligge: il colonialismo armato israeliano, spalleggiato e finanziato dalle potenze occidentali. Il pericolo consiste in un golpe armato per conto di queste potenze messo in atto da una piccola minoranza, ma che trascinerebbe altri Palestinesi in un combattimento fratricida le cui conseguenze sono terribili da contemplare.
Forse il piu’ grave errore di calcolo commesso da Hamas e’ quello di sottovalutare la determinazione con cui i risultati delle elezioni democratiche saranno minati e contrastati se non corrispondono agli interessi di Israele e delle altre potenze mondiali. La verita’ e’ che l’Autorita’ Palestinese non e’ e non e’ mai stata un governo per la gente palestinese. L’Autorita’ Palestinese e’ sostenuta dall’Occidente solo nella misura in cui serve direttamente ed esclusivamente i suoi interessi e quelli di Israele.
E’ stata pensata per proteggere l’occupazione israeliana dalle sue vittime; a nessuno sara’ permesso trasformarla in un corpo rappresentativo che combatte per i diritti e gli interessi della Palestina. Per evitare la trappola letale che si sta tessendo per lei e per il popolo palestinese, Hamas dovra’ tradire i propri ideali o andarsene.
Hamas ha fatto la cosa giusta abbandonando la campagna di attacchi suicidi contro i civili israeliani, osservando una tregua volontaria durevole e abbracciando la politica. Ora dovrebbe rinunciare allo sforzo di rimanere attaccata ai resti delle istituzioni impotenti e discreditate di Oslo. Piuttosto dovrebbe rivolgere la sua considerevole popolarita’, le sue capacita’ organizzative e la sua aumentata legittimita’ verso una campagna completa di resistenza civile, mobilitandosi insieme ad altri settori della societa’ civile palestinese e globale contro ogni aspetto del colonialismo e del razzismo israeliani. Questa e’ l’unica cosa che ancora non ha provato a fare, e costituisce la migliore speranza di trovare un modo per uscire dal tunnel.

Note: Hasan Abu Nimah e’ stato Ambasciatore della Giordania in numerosi Paesi dell’Unione Europea e alle Nazioni Unite a New York. Ali Abunimah e’ cofondatore di “The Electronic Intifada” e autore di “One Country, a Bold-Proposal to End the Israeli-Palestinian Impasse" (Metropolitan Books,2006)

link originale: http://electronicintifada.net/v2/article5838.shtml



Traduzione di Martina Perazza per www.peacelink.it
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