Palestina

Il mondo non vede i Palestinesi

Mentre in tutto il globo l'informazione è concentrata sul fronte Israele/Libano, la tragedia quotidiana dei palestinesi si consuma. Nel silenzio e nell'indifferenza.
26 luglio 2006
Patrizia Viglino


C’è silenzio, ancora una volta silenzio sulla tragedia palestinese. Sul terreno una situazione di guerra estesa e protratta che colpisce la popolazione civile, mentre sui giornali l’attenzione si è concentrata su Haifa, sulla Galilea dove piovono razzi Hizbollah. Ma i razzi, le bombe, in Cisgiordania e a Gaza arrivano tutti i giorni e da anni. Quello che il mondo non vede sono le continue incursioni militari israeliane e lo stato di guerra permanente che Israele ha dichiarato ai palestinesi.
La cronaca ripete all’infinito la stessa spirale di distruzione e morte. Domenica scorsa si è conclusa una massiccia operazione militare a Nablus dove l’esercito israeliano ha ucciso 6 palestinesi e terrorizzato la cittadinanza. L’esercito di occupazione ha stretto d’assedio la città per poi far saltare in aria con l’esplosivo il quartier generale dell’Autorità Nazionale. Nell’onda d’urto è rimasto ucciso un infermiere di 40 anni che lavorava nell’ospedale cittadino di Rafidia. Circa 200 palestinesi sono stati arrestati, quasi tutti poliziotti delle forze preventive di sicurezza che si sono arresi, e sono stati poi condotti bendati in un campo di prigionia. Nella tre giorni di incursione la Croce Rossa Internazionale ha dovuto chiedere agli israeliani di liberare l’ingresso di una clinica medica appartenente alla Red Crescent palestinese. I militari avevano bloccato l’ingresso ai medici e ai pazienti, impedendo alle ambulanze di entrare e di uscire per i soccorsi. Israele è stato recentemente accolto con i suoi staff medici a far parte della Croce Rossa internazionale ma sembra non aver compreso i principi basilari della stessa, soprattutto in merito alla necessità di facilitare i soccorsi e i movimenti del personale medico. Intanto nella distruzione del Muqata di Nablus, poi spianato giorno e notte con i bulldozers, oltre alle perdite economiche sono andati distrutti gli uffici dove lavoravano circa 2000 impiegati. Per i 300.000 abitanti di Nablus sono andati perduti anche gli archivi con i certificati di nascita, i documenti identificavi, i passaporti. Un ufficiale delle forze di sicurezza di Nablus, Rafa’a Rawajba ha dichiarato che gli israeliani “hanno devastato la memoria della città” e che i computers contenenti tutte le informazioni si trovano ora sotto molte tonnellate di macerie. Durante l’operazione militare a Nablus iniziata il 18 Luglio sono stati presi di mira anche gli staff delle televisioni e i giornalisti.
La guerra contro il Libano ha portato ancora maggiori restrizioni alla libertà di movimento della popolazione palestinese rinchiusa nei territori occupati. Nel distretto di Nablus, sono state denunciate vessazioni e maltrattamenti su chi è costretto dal sistema di apartheid ad attraversare i check point per potersi spostare. Alcune testimonianze raccolte riferiscono di uomini costretti a spogliarsi e tenuti immobili per ore ai check point.
Intanto a Jenin tre palestinesi sono stati uccisi dall’esercito, tra cui un sedicenne. L’esercito ha a lungo impedito alle ambulanze di raccogliere i corpi. Nessuno degli uccisi faceva parte di gruppi di resistenza.
Ma la situazione più grave è certamente quella che si registra nella Striscia di Gaza.
L’esercito israeliano continua a operare incursioni armate e a bombardare la popolazione civile con l’artiglieria pesante e gli attacchi aerei. Le persone uccise nella maggioranza dei casi si trovavano nelle loro case. Ad essere colpita la popolazione civile nella sua interezza compresi bambini e anziani. Soltanto Lunedì sotto il fuoco dei carri armati israeliani a Beit Lahya, nel nord della Striscia, sono stati uccisi in due separati attacchi 7 palestinesi. Tra le vittime anche un bambino di 5 anni, Khitam al Tayer, rimasto ucciso dal fuoco diretto dei carri armati e una donna di 55 anni, uccisa insieme a suo nipote di 12 anni in un altro attacco.
L’incursione al campo profughi di al Maghazi si è conclusa con un bilancio di 16 morti e 119 feriti. Tra le vittime anche 5 bambini. L’esercito ha lasciato sul terreno molte case distrutte, insieme alla rete elettrica e a quella idrica danneggiate. Spianate con i bulldozer anche molte coltivazioni di ulivi.
Dall’inizio di Summer Rain a Gaza (28 Giugno), sono stati uccisi 115 palestinesi mentre, secondo un comunicato emesso dal Ministero della Sanità palestinese, tra gli uccisi si contano 39, tra operatori del soccorso medico, medici, autisti di ambulanza ed infermieri. Denunciati anche casi in cui i feriti sono stati prelevati dalle ambulanze.
L’organizzazione israeliana per i diritti umani B’tselem ha intanto redatto un rapporto sull’uso di scudi umani da parte dell’esercito israeliano, riferendosi a un caso specifico avvenuto a Beit Hanoun, durante una delle recenti incursioni militari. Il fatto è accaduto il 17 Luglio quando truppe israeliane hanno occupato un edificio cittadino facendosi scudo con 6 civili.
A Gaza i militari contattano direttamente sui cellulari i palestinesi intimandogli di prendere la famiglia e le loro cose e di andarsene, dando loro un preavviso di poche ore prima dei bombardamenti con gli F-16.
Questo quanto successo alla famiglia di Abu Abed al Mamlok, contattato per telefono da un ufficiale dell’intelligence israeliana che gli ha detto: “Siamo dell’IDF. Lasciate la casa, la distruggeremo in mezz’ora”.
Nonostante avesse pensato a uno scherzo, Abu Abed è uscito di casa quando l’edificio è stato bombardato dai caccia F-16. Poche ore prima, anche Sheik Mohammed Dib ha ricevuto una telefonata analoga e una voce all’altro capo del filo gli ha detto: “Prendi i tuoi bambini, le tue donne e i tuoi mobili se vuoi, bombarderemo la tua casa entro due ore”. Nei bombardamenti non sono state distrutte non solo le case dei militanti dell’intifadah ma anche quelle dei vicini. Analoghi episodi si sono registrati a Khan Younis e a Rafah. Intanto nella zona residenziale di Abraj al Nada a Beit Lahya già 400 famiglie hanno dovuto abbandonare le loro case per sfuggire ai bombardamenti. Se questa è una nuova politica, è una politica di vera e propria pulizia etnica con l’aggravante della punizione collettiva e del crimine di guerra.
La Croce Rossa, che inizialmente si diceva potesse essere coinvolta negli avvisi di allarme alla popolazione, ha negato di averli mai divulgati dicendo che “non può essere questo il ruolo della Croce Rossa” in tempo di guerra.
La paura che il ritiro da Gaza costituisse un pretesto per distogliere l’attenzione e preparare un attacco massiccio sulla popolazione civile si è ora concretizzata nel silenzio generale.
Le Nazioni Unite parlano di almeno 100 famiglie palestinesi rimaste senza casa nella Striscia di Gaza a causa dei bombardamenti e intanto continua a crescere l’allarme per l’uso di possibili armi chimiche sulla popolazione.
Il primo ministro palestinese Ismail Hanyeh ha dichiarato all’agenzia AP che gli Stati Uniti devono prendere moralmente posizioni dalla parte della popolazione palestinese, prendendosi le responsabilità che derivano da essere una super potenza mondiale. E infine ha aggiunto: “A Gaza si sta profilando una reale catastrofe umana”. Ma la Condi Rice, impegnata nel suo ultimo tour in Medio Oriente, ha rifiutato di incontrare Hanyeh, rispondendo così in modo tacito che gli Usa non prendono alcuna posizione quando si tratta della sofferenza dei palestinesi.

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