Palestina

«I raid, duplice crimine internazionale. L’Italia si emancipi dall’influenza Usa»

Intervista a Danilo Zolo, filosofo del diritto, sulla guerra al Libano
23 luglio 2006
Anubi D'Avossa Lussurgiu
Fonte: Liberazione (http://www.liberazione.it)

Danilo Zolo, da filosofo del diritto internazionale, come vedi la crisi in Medio Oriente? La segretaria di Stato Usa, Condoleezza Rice, venerdì ha argomentato che il «nuovo Medio Oriente» si rivela anche in questa «crescita di violenza»...
Non c’è dubbio che per intendere la decisione di Israele di replicare ad un atto di guerriglia con un’operazione militare offensiva, come l’ha precisamente definita e condannata Zapatero, occorre fare riferimento al contesto mediorientale più ampio. Senza usare, bada bene, il termine Grande Medio Oriente che è tipico del progetto d’egemonia statunitense e stabilisce un’area di influenza estesa da Afghanistan e Pakistan a Marocco e Mauritania dall’altro. Quello invece inteso propriamente come Medio Oriente, è un contesto in cui le grandi potenze occidentali, in primo luogo gli Usa ma anche l’Europa riunita, hanno operato sempre in una direzione gradita, se non suggerita dagli ultimi governi israeliani. E’ d’altronde impensabile che Olmert abbia deciso di dare il via ad una vera e propria guerra senza un implicito od esplicito consenso dell’Amministrazione Bush.

La scelta di guerra non alimenta proprio quella minaccia esistenziale che la leadership israeliana evoca per giustificarla?

Guarda, io penso che la retorica della solitudine e quindi della fragilità di Israele vada assolutamente contestata.

E con quali argomenti?

Perché Israele è la terza o quarta potenza nucleare del pianeta, dispone di sistemi d’arma altamente sofisticati, apparati d’intelligence formidabili e il sostegno della maggiore potenza mondiale, ossia gli Stati Uniti, senza contare che ad esso segue solitamente anche quello della stessa Unione europea.

Resta il fatto che questa escalation mina durevolmente le prospettive di convivenza tra Israele e arabi...

La mia opinione è che Israele non ha mai cercato delle soluzioni che portassero realmente ad una pace col mondo islamico e anzitutto coi vicini, per primi i palestinesi ma anche i paesi che ne ospitano i milioni di profughi, in particolare Libano e Siria. Ci sono due paesi confinanti coi quali dopo feroci scontri militari si è raggiunto un modus vivendi, Giordania ed Egitto, ossia i due paesi più controllati da Washington: il Cairo gode di appoggi finanziari Usa, oltre che militari, solo di poco inferiori a quelli goduti da Israele. Insomma: la tecnica di replicare ad offensive arabe con controffensive gravemente sproporzionate è un elemento persino distintivo dei rapporti internazionali di Israele.

Dicevi dell’Europa: come fa l’Ue a crescere accanto ad un focolaio permanente di instabilità e conflitto?

Non c’è dubbio che il problema mediorientale coinvolge l’intera regione mediterranea e anche l’Europa. Il governo Prodi ha tentato di rilanciare, a Bruxelles, il discorso d’una Europa capace di dialogo con l’altra sponda del Mediterraneo. Nel programma di collaborazione euromediterraneo c’è la presenza dell’Autorità palestinese e di Israele. Per questa via, forse, l’Europa potrebbe giocare un ruolo in Medio Oriente e trovare quell’autorevolezza internazionale che in qualche modo l’iniziativa mossa da D’Alema cerca di avviare. Ma per farlo occorre realizzare un paio di condizioni che non mi pare proprio di intravvedere.

Quali sarebbero?

La prima è una modificazione dell’approccio degli Usa, quello cioè di una superpotenza imperiale che decide le sorti del pianeta fuori dal diritto internazionale. La seconda è che l’Europa agisca in autonomia dal patto atlantico.

La Conferenza internazionale convocata a Roma per mercoledì prossimo, su iniziativa italiana e con forte presenza europea, può essere un’occasione per verificare tali condizioni?

La mia opinione è fortemente scettica nei confronti di questa iniziativa, che nasce dagli stretti rapporti di D’Alema con l’Amministrazione Usa e in particolare con Condoleezza Rice. E’ chiaro che, da parte del governo italiano, si tratta d’un tentativo di svolgere un qualche ruolo. Ma è altrettanto chiaro che una conferenza copresieduta da D’Alema e Rice è poco affidabile: perché non c’è dubbio che la segretaria di Stato ha già sposato la linea del governo israeliano, ossia che qualsiasi intervento Onu dovrà avvenire solo dopo l’intervento delle forze armate israeliane nel Sud Libano.

Ma, appunto, la Conferenza confronterà posizioni opposte sull’imposizione del cessate il fuoco: non vedi possibilità che gli europei, con l’Onu, forzino l’ostruzionismo Usa a copertura di Israele?

Anzitutto c’è il problema dell’inerzia delle Nazioni Unite. Non c’è dubbio che siamo in presenza d’una replica israeliana ad un atto di guerriglia, la quale ha tutti i connotati della guerra d’aggressione e cui è solo seguito il lancio di missili da parte di Hezbollah. Non è affatto guerra difensiva, sulla base dell’articolo 51 della Carta delle Nazioni Unite che autorizza lo Stato aggredito soltanto a difendersi in attesa dell’intervento del Consiglio di Sicurezza. Né si può in alcun modo imputare al governo libanese la responsabilità diretta dell’atto di guerriglia: casomai impotenza, inefficenza, ma nessuna complicità è emersa. Israele dunque non poteva assolutamente attaccare lo Stato libanese e compiere quella strage di vite umane e risorse che ha compiuto e che costituisce un doppio crimine internazionale, in quanto guerra d’aggressione e in quanto violazione dello ius in bello.

Ciò vale come critica alla definizione di «reazione non proporzionata» data da Annan e seguita dall’Ue?

Appunto: questa formula è adattiva e compromissoria. Si deve parlare di duplice crimine internazionale, in violazione della Carta e in spregio alle convenzioni di Ginevra.

Non c’è dunque nulla di efficace nelle iniziative concretamente intraprese in queste ore?

Certamente c’è il tentativo di un corridoio umanitario, ma non fermerà la guerra e non è un’iniziativa per fermarla. E infatti ci sarà altrettanto sicuramente l’offensiva di terra israeliana.

Un analista “liberal” come Timothy Garton Ash si è spinto a far risalire le cause della crisi attuale non alla supremazia Usa ma alla sua crisi e ad un «nuovo disordine multipolare mondiale»: che c’è di vero in questo approccio paradossale?

C’è intanto da ricordare ancora una volta che l’Onu e il diritto internazionale non operano perché bloccati da una superpotenza che si considera legibus soluta, cioè al di sopra d’ogni norma: posizione esplicita degli Usa, che sta alla base del comportamento sistematico di Israele come avamposto imperiale. Ci sono decine di risoluzioni del Consiglio di Sicurezza apertamente violate da Israele, senza tener conto del parere della Corte Internazionale di Giustizia sull’illegalità del Muro eretto nei Territori Occupati. Occorre però riconoscere che siamo in presenza di un assetto mondiale monocentrico ma imperfetto: assistiamo a grandi fenomeni di emersione di forti potenze regionali, già ben presenti nei timori inscritti nei documenti delle ultime Amministrazioni statunitensi. Quello principale è la formazione di un blocco Cina-India-Russia. Il perno è ovviamente la Cina, di gran lunga la potenza politica, economica e sempre più militare, maggiormente carica di futuro. L’India è prossima a superare anche sul piano demografico la Cina. E la Russia sta tentando di recuperare minimamente il ruolo smarrito di grande potenza. Poi non va dimenticato che c’è una crisi, ovviamente potenziale ma duratura, dell’egemonia Usa in America Latina. Sono sintomi che non devono autorizzarci a parlare, imprudentemente, di crisi o crollo della supremazia degli Stati Uniti: ma dell’emersione di attori internazionali capaci di limitarla.

La seconda Amministrazione di George W. Bush è parsa prenderne atto: si è parlato e si parla di un ritorno a spazi di gestione multilaterale. Tu come lo valuti?

C’è un tentativo, ad esempio, di coinvolgere pesantemente la Nato. E’ certo un sintomo di una crisi egemonica degli Usa, e la crisi della guerra in Iraq ne è la fonte. La Nato è sempre più sospinta in prima linea per surrogare insufficenze e difficoltà statunitensi. Questo vale in special modo in Afghanistan, e D’Alema è stato l’esponente del governo più fermo nel rifiutare qualsiasi proposta di uscita dell’Italia dalla guerra. Non parlerei di un’apertura al pluralismo da parte degli Usa, ma d’un tentativo di coinvolgimento dell’Europa nel sostenere l’urto della crisi delle loro scelte. La guerra nei Balcani del 1999 resta il prototipo di questa linea.

Se Onu e diritto internazionale sono ipotecati, come potrebbe l’Europa accedere ad un ruolo distinto dall’alleanza subalterna con gli Usa?

Potrebbe moltissimo. L’Europa è la seconda potenza economica mondiale, è probabile diventi rapidamente la prima, ha una tradizione culturale di altissimo livello, un patrimonio di intelligenze e conoscenze invidiabile e forse superiore agli Usa. Mancano due elementi rilevantissimi: il primo è un principio d’identità a livello di società civile europea, senza un popolo ed anzi senza i popoli europei, senza lingua comune, partiti comuni, sindacati realmente europei, soprattutto senza una fondazione culturale condivisa, problema in cui si situa il rapporto con il Mediterraneo. L’altro elemento è la totale assenza di una soggettività politica internazionale europea: per fare un esempio il rappresentante attuale è Solana, ex segretario generale della Nato, tipicamente fedele agli Usa. E la presenza del Regno Unito è un altro limite gravissimo. L’Italia è stato il secondo perno dell’asse di controllo di Bush: per questo è così importante quel mutamento che giustamente viene richiesto nella politica estera all’attuale governo.

... Ma?

Ma l’unico in Europa a raccogliere a pieno l’urgenza di una collocazione alternativa, finora, sembra essere stato Zapatero; contro il quale non a caso è stata scatenata la violenta campagna che ha preso a pretesto il gesto d’indossare un qufia, gesto peraltro altamente simbolico. Mi domando se il governo Prodi riuscirà in qualche modo ad avvicinare questo modello di relazioni con l’Europa.

Silvio Berlusconi ha preso la parola a Montecitorio per ricordare al governo che non potrà esimersi dal prendere posizione rispetto all’Iran, con cui in parte quella attuale è effettivamente una guerra indiretta. Il bivio, per l’Italia che è il primo partner commerciale di Teheran, prima o poi arriverà: che si fa?

L’Italia ha alcuni importantissimi potenziali alleati, che sono la Russia e la Cina. Paesi che sono altrettanto interessati ad avere buoni rapporti con l’Iran. E quel disegno che prima accennavo fra Mosca, Pechino e Dheli potrebbe essere molto importante anche per l’Italia. Questo forse Prodi l’ha capito, quando ha parlato del Mediterraneo come porta d’accesso in Occidente dei beni prodotti in Estremo Oriente. Una politica estera intelligente vorrebbe un’Italia anche più aperta a questo scenario del mondo futuro.

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