Olmert e i nemici del popolo
Ehud Olmert il 12 Luglio del 2006 ha incontrato per la prima volta Noam Shalit, il padre del soldato Gilad catturato a Kerem Shalom lo scorso 25 Giugno e tenuto prigioniero da un gruppo militante palestinese nella Striscia di Gaza. Sedici giorni dopo la cattura di un soldato ebreo francese che serviva l’esercito israeliano, il primo ministro Olmert trova il tempo per un incontro con suo padre. Il quotidiano Ha’aretz dipinge l’incontro come “carico e pesante” sottolineando come l’atmosfera non fosse positiva.
Lo scontro tra i due, tra le posizioni di Olmert e l’invito di Noam Shalit a negoziare, è iniziato immediatamente dopo la cattura di Gilad. Il 9 Luglio, Efrat Roman scriveva su Y-net (l’edizione on line di Yedoth Aaronoth) “Israele ha fatto di tutto affinché Gilad Shalit rimanga prigioniero”, denunciando come il povero Noam Shalit fosse stato trattato sulla stampa israeliana e nei circoli più oltranzisti come “il nemico del popolo”. Non appena, da padre premuroso, si era pronunciato a favore dei negoziati per la liberazione del figlio, la sua voce è stata non solo oscurata ma ha subito anche pesanti attacchi personali che criticavano la sua “debolezza” e ricatti morali che gli facevano paventare lo
Di fronte agli appelli di Noam Shalit, il governo Olmert si è invece arroccato su di una posizione di intransigenza e la parola d’ordine a tutti i livelli è stata: no al negoziato. A questa decisione commenta Efrat Roman su Y-net: “Noam e Aviva Shalit sono i genitori di Gilad Shalit. Hanno la responsabilità di fare niente e tutto per determinare il suo rilascio. I governi, ad ogni modo, non si suppone debbano agire secondo l’istinto dei genitori, ma se stanno per muovere una battaglia politica sulle spalle del soldato rapito, alla fine non dovrebbero chiamarlo ‘the kid’, il bambino”, ironizzando su come era stato chiamato sulla stampa il giovane soldato. Ma del resto in tutte le guerre si è sempre mandata avanti la carne fresca.
Ma le accuse di Noam Shalit non si sono spente, così come le speranze di rivedere suo figlio che del resto si trova in buone condizioni, considerando che le uniche notizie certe riguardano il suo stato di salute e non lo stato dei negoziati. Come ha ripetuto il padre del soldato prigioniero: “Non credo che Gilad verrà rilasciato senza che venga pagato un prezzo…” ed esprimendo il suo desiderio di essere informato su come il governo intenda risolvere la crisi, ha aggiunto “Non so che cosa stanno aspettando. Devo credere che ci sia una sorta di canale segreto di cui non sappiamo nulla”.
Tuttavia, in beffa alle sue preoccupazioni, al momento dell’incontro con Olmert, altri due soldati israeliani sono stati fatti prigionieri nel sud del Libano dai militanti degli Hizbollah e il capo dello staff del primo ministro, Yoram Turbowics, che ne aveva avuto notizia pochi minuti dopo l’inizio del meeting, ha tenuto Noam Shalit all’oscuro di tutto. Evidentemente era un argomento che in quel momento il primo ministro non avrebbe voluto affrontare con un padre disperato per la sorte del figlio e la situazione che precipitava velocemente nel baratro.
Scrive ancora Roman nell’articolo citato: “Quelli interessati ai fatti sanno anche che non è stato solo il muro ma l’ordine di Hamas di fermare i lanci contro Israele che ha portato a una riduzione di questi attacchi. E mentre ripetiamo il nostro mantra, ancora e ancora, che non c’è nessuno con cui
Il 25 Giugno a Gaza si trovava Mahmoud Abbas giunto da Ramallah per discutere ancora con Haniyeh la piattaforma d’intesa basata sul documento di concordia nazionale conosciuto come “Il Documento dei Prigionieri”. Abbas aveva accettato gli emendamenti proposti da Hamas che con quel documento, già in base alla prima stesura proposta, si apprestava a entrare a far parte per la prima volta dell’OLP, grazie al suo mandato elettorale e con piena partecipazione ai negoziati all’interno dell’organizzazione per liberazione della Palestina per lo più guidata storicamente da al-Fatah. A quel punto anche il referendum sul “Documento dei Prigionieri” che rischiava di contrapporre Haniyeh a Abbas in modo pericoloso per la stabilità interna palestinese, non avrebbe avuto luogo ma avremmo avuto la costituzione di un governo palestinese forte che piano piano si sarebbe conquistato credibilità a livello locale e internazionale.
L’obiettivo del governo Olmert è ormai chiaro: distruggere l’ultima rappresentanza palestinese liberamente eletta, forte della complice cecità dell’Unione Europea e del convergere dei piani strategici israeliani con quelli statunitensi; aprire se possibile nuovi fronti per spostare l’attenzione dagli attacchi deliberati sulla popolazione di Gaza, senza curarsi troppo se qualcuno ci lascia le penne.
L’unica mano tesa invece nella direzione di Noam Shalit è stata proprio quella del primo ministro palestinese Ismail Haniyeh che ha insistito per una mediazione che possa portare alla liberazione del soldato e di una parte dei detenuti palestinesi. Adesso con l’apertura del fronte libanese e di un possibile fronte siriano l’intransigenza di Olmert rischia di precipitare il Medio Oriente nella catastrofe.
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