Palestina

Palestina: dove patria significa umiliazione

2 agosto 2005
Ushani Agalawatta


"Prima dell'Intifada del 2000 ero ottimista... ora non più. Tutti ci
sentiamo frustrati nella nostra piccola prigione", disse Sawsan Aishe
palestinese di 24 anni, laureata dell'Università An Najah di Naplusa,
Cisgiordania.

NAPLUSA - Cisgiordania, luglio (IPS).
Cisgiordania ha subito intensi attacchi delle forze d¹occupazione israeliane
a partire dal mese di settembre 2000, data nella quale ebbe inizio
l'intifada di Al Aqsa, così chiamata dal nome della moschea di Gerusalemme
orientale dove incominciò la violenza.

Molti palazzi storici sono in rovina e la popolazione è sconvolta dagli
attacchi che le forze israeliane sferrano nei centri urbani, alla ricerca di
estremisti islamici reali o immaginari.

In Cisgiordania (riva occidentale del fiume Giordano) vivono circa due
milioni di palestinesi; nella Striscia di Gaza (ad ovest di Israele) attorno
a un milione, e nella Gerusalemme orientale, quella rivendicata come la
capitale del futuro stato, 240.000.

Naplusa ha duecentoquaranta milioni di abitanti. Il flusso verso l'interno
e, in particolare, verso l'esterno della città sono rigorosamente
controllati dalle forze armate israeliane. La città è nota per possedere i
due posti di blocco più severi per il controllo della frontiera in
Cisgiordania: Huwwara e Bayt Eba.

Huwwara è stato lo scenario di moltissime umiliazioni per i palestinesi.
Centinaia di persone quotidianamente fanno le file, sotto il sole cocente
dell¹estate o in pieno inverno, con i documenti d'identità in mano,
nell¹attesa che i soldati israeliani armati di M16 gli consentano di passare
attraverso una porta girevole.

Queste misure restrittive e le incursioni notturne d¹Israele nella città e
nei villaggi dei dintorni, hanno danneggiato l'infrastruttura del luogo e lo
stato psicologico della popolazione.

Negli ultimi tempi sono aumentati gli attacchi dei coloni israeliani che
resistono alla loro evacuazione dalla striscia di Gaza e dal nord della
Cisgiordania. L'evacuazione, decisa unilateralmente dal primo ministro
israeliano Ariel Sharon, inizierà a metà agosto.

Khawla Isleem, madre di cinque bambini, sogna che i suoi figli "abbiamo una
vita migliore della sua". Islem è nata in Kuwait, ma ritornò con la sua
famiglia in Palestina per recuperare la propria identità e la sua terra nel
1967 (anno nel quale Israele occupò la Palestina e altri territori arabi)
"E' stato molto difficile, ma dovevamo tornare", dichiarò a IPS.

Secondo Isleem, la vita a Naplusa era migliore prima della seconda intifada.
"L'economia procedeva abbastanza bene e l'educazione aveva un buon livello,
e potevamo andare e tornare senza molti problemi... Ma il primo anno di
questa intifada (2000-2001) è stato terribile; non era vivere².

L'Ufficio Centrale di Statistiche della Palestina, ha rivelato che
l'introito di 65,2 per cento delle famiglie palestinesi è sceso durante
l'attuale intifada, e che 53,9 per cento dichiarò che hanno perso più della
metà dei loro introiti abituali.

La vita è particolarmente difficile per i giovani, che non hanno scelta.
Isleem ha due figlie laureate.

Dichiara che: "Molti dei nostri giovani sono ben preparati, ma non c'è
lavoro... Succede spesso che le giovani decidano di sposarsi dato che non
possono lavorare nel settore per il quale hanno studiato".

Aishe, quest'anno si è laureata ma lavora come volontaria in
un'organizzazione non governativa palestinese. Impartisce anche lezioni di
conversazione in inglese e d¹artigianato in un campo estivo locale.

Aishe aggiunge che "Trovare lavoro è molto difficile, non ci sono scelte.
Preferisco fare qualcosa almeno come volontaria".

La vita dei palestinesi è sempre instabile, ma il momento in cui ci si sente
più vulnerabili è durante la notte. Isleem dice: "E' quando le forze
israeliane entrano nella nostra città. Oggi può essere un giorno normale, ma
nessuno sa cosa avverrà durante la notte, e domani niente potrà essere lo
stesso".

Yusra Aqqad, di 19 anni, è cresciuto durante la prima intifada (1987-1993) e
da cinque anni convive con la seconda. Dichiara: "Da quando ero bambino ho
conosciuto i soldati israeliani, il rumore degli spari e le grida delle
madri che cercano i loro mariti e i loro figli".

Aishe ha ricordi simili: "Da bambina mi nascondevo dietro le tende di casa
mia quando sentivo che soldati o coloni israeliani erano entrati nel nostro
villaggio. Non dimenticherò mai la distruzione che abbiamo subito e che
continuiamo a subire. E' come un leone che divora una zebra".

E anche se oggi le sembra impossibile, non smette di sognare: "Voglio che i
miei figli possano vivere come gli altri bambini del modo".

Note: http://www.ipsnoticias.net/nota.asp?idnews=34568

traduzione di Alejandra Bariviera per www.peacelink.it
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