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    Il ministro Urso, dopo aver parlato del "forno a freddo" per l'ILVA, ha poi annunciato erroneamente la "piena decarbonizzazione": gas al posto del carbone. Però per la scienza la "decarbonizzazione" non è l'eliminazione del "carbone" ma del "carbonio", elemento presente anche nel metano.
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    I lavoratori dell'ILVA di Taranto sono ottomila e non diciottomila

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Il dollaro armato contro tutti

16 dicembre 2004
Manlio Dinucci
Fonte: Il Manifesto

Proprio mentre viene annunciato che la bilancia commerciale Usa ha battuto il record negativo di tutti i tempi con un deficit in ottobre di 55,5 miliardi di dollari, il Pentagono preannuncia che chiederà per la guerra in Iraq e Afghanistan più di quanto previsto: fino a 89 miliardi di dollari. Non è un controsenso. La ragione per cui gli Stati uniti aumentano la spesa militare, mentre aumenta il loro deficit complessivo nella bilancia dei pagamenti, si trova in un altro annuncio, dato dal Financial Times (6 dicembre): nei depositi bancari dei paesi dell'Opec la percentuale in dollari è scesa, dal 2001 a oggi, dal 75% al 61,5%. Il calo, documentato dalla Banca dei regolamenti internazionali, è dovuto al fatto che «le banche centrali mediorientali hanno spostato le loro riserve dal dollaro all'euro». In tal modo esse si preparano ad «abbandonare il dollaro quale moneta unica per il pagamento delle esportazioni petrolifere». Il dollaro rischia dunque di perdere lo scettro, mantenuto per 60 anni, di moneta dominante nelle riserve e negli scambi internazionali: dalla metà degli anni `70 a oggi, la percentuale in dollari nelle riserve mondiali è calata dall'80% al 65%. L'euro invece è in ascesa: essendo più richiesto, dagli inizi del 2002 ha avuto un apprezzamento del 35% sul dollaro. Nell'immediato, ciò reca maggiori vantaggi agli Stati uniti, in quanto rende più competivi i loro prodotti sui mercati internazionali e alleggerisce gli interessi sul loro debito estero. A più lungo termine, però, tale fatto prelude a una crisi di enormi proporzioni.

Facendo leva sul dollaro quale moneta internazionale dominante, gli Usa possono consumare più di quanto producano: importano merci per un valore superiore di oltre l'80% a quello delle merci che esportano. Possono allo stesso tempo permettersi una esposizione debitoria superiore a quella di qualsiasi altro paese: il loro debito nazionale (l'ammontare del denaro dovuto dal governo) ha superato i 7500 miliardi di dollari, il 70% del reddito nazionale lordo, e aumenta di 1,7 miliardi al giorno. Mentre negli anni `80 erano creditori netti sul piano internazionale, oggi gli Usa hanno un debito estero di 3.300 miliardi di dollari in continuo aumento.

Come possono gli Stati uniti permettersi di vivere al di sopra delle proprie possibilità? Come lo farebbe una persona se i suoi creditori accettassero di essere pagati con assegni senza mai portarli all'incasso. Gli «assegni» dello zio Sam sono gli 11.000 miliardi di dollari che hanno in mano i suoi creditori nel mondo, in gran parte sotto forma di titoli di stato e obbligazioni statunitensi. Se il dollaro continuerà a deprezzarsi, essendo meno richiesto sui mercati valutari internazionali, essi rischiano però di veder diminuire il valore reale dei loro titoli di credito in dollari. Per questo i paesi dell'Opec convertono una parte crescente delle loro riserve in euro e si preparano a vendere il loro petrolio non più solo in dollari ma anche in euro. Ma che cosa avverrà se, come prevedono alcuni esperti, il dollaro dovesse deprezzarsi di un altro 30%? I creditori si precipiterebbero a riscuotere i loro «assegni», provocando un crollo che coinvolgerebbe l'intero sistema finanziario internazionale.

Washington come cerca di evitare quella che sarebbe una catastrofe per l'economia statunitense, se il dollaro perdesse il ruolo di moneta dominante nelle riserve e negli scambi internazionali, soprattutto nel pagamento del'import petrolifero? Dimostrando a tutti, in primo luogo a chi investe in dollari, che gli Usa sono la «potenza globale», decisa a sostenere i propri interessi anche con la forza militare. Portando i rivali economici, soprattutto l'Unione europea, sul terreno in cui gli Usa dominano nettamente: quello militare. Assicurandosi, con la guerra, che nei paesi di importanza strategica (come l'Iraq) vi siano governi che fanno gli interessi Usa. A tal fine sono destinati i 460 miliardi di dollari spesi nel 2004 per la «difesa nazionale», cui si aggiungono altre voci militari che portano il totale a oltre 600 miliardi: un dollaro su quattro, nel bilancio federale, speso per la guerra a difesa dell'impero del dollaro.

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