Introduzione all'Annuario
Quello appena trascorso sarebbe dovuto essere l’anno della pace; invece, da quando George Bush ha solennemente proclamato la fine della guerra in Iraq – il primo maggio 2003 – diverse migliaia sono stati i civili iracheni uccisi e più di mille i marine caduti in tempo di pace, senza contare i soldati degli altri contingenti – italiani compresi –, i tecnici e gli operatori al servizio delle forze di occupazione o delle multinazionali che stanno lentamente colonizzando il Paese e, da ultimo, anche i volontari e i pacifisti, rapiti e talvolta giustiziati dai gruppi armati.
Segno che la spirale guerra-terrorismo non fa che autoalimentarsi e autoriprodursi, in un gioco al massacro apparentemente senza senso e di cui si fatica a vedere la fine. “La follia di questa guerra ricade su tutti, compreso chi non l’ha voluta”, scrive Alessandro Portelli. “Quando civilmente bombardiamo le città e i villaggi, non ci chiediamo se le persone chirurgicamente ammazzate sono ‘fedelissimi di Saddam’ o dissidenti che avevano invocato l’invasione o gente che voleva solo starsene per i fatti suoi. Li abbiamo ammazzati perché stavano nel posto sbagliato. Ebbene, agli occhi accecati del terrorismo estremista, nel posto ‘sbagliato’ ci stiamo tutti; per questo è grande la responsabilità di chi fra noi se ne rende conto, e deve raddoppiare gli sforzi per non farci accecare a nostra volta, per continuare a distinguere”. (1)
Responsabile di questa sorta di accecamento collettivo è anche il sistema dell’informazione diventato negli ultimi anni – secondo le regole della cosiddetta information warfare – un’arma di guerra, un campo di battaglia e talvolta anche un obiettivo militare, quando ad essere colpiti sono i giornalisti o certi media. Un sistema che proprio sulla omologazione, sulla divisione manichea in ‘buoni e cattivi’, sulla indistinzione ha poggiato le sue basi, spesso avvalorando la sciagurata tesi dello “scontro di civiltà”.
Questo Annuario della pace – realizzato con poveri mezzi, la passione e la buona volontà di molti -, ormai giunto al quarto anno di vita, vuole essere un piccolo tentativo di informazione altra, che aiuti a distinguere e a vincere l’accecamento. La struttura, seppure aggiornata, rimane quella consueta: le cronologie che documentano 12 mesi di attività del movimento per la pace e i fatti salienti dell’anno appena trascorso; una serie di approfondimenti su particolari situazioni di guerra e di dopoguerra del nostro mondo (geografie); diversi contributi monografici sulle questioni dell’anno, con particolare riferimento – in consonanza con il Salone dell’editoria di pace – al tema degli armamenti; una riflessione sui fondamenti filosofici, antropologici, economici e giuridici della pace e della guerra; alcuni suggerimenti di strumenti di lavoro utili - dal cinema ai libri, alle riviste – per gli ‘operatori di pace’ e per tutti coloro che sono interessanti al tema pace-guerra.
Una nota per il lettore: gli articoli, focalizzati sul periodo giugno 2003-maggio 2004, sono stati redatti tutti entro l’estate 2004 e quindi, se ‘sforano’ di qualche settimana il tempo cronologico dell’Annuario, tuttavia non affrontano i più recenti avvenimenti.
A tutti i collaboratori, che hanno lavorato gratuitamente e con ‘spirito militante’, va un grazie vero e non di maniera. Così come ringraziamenti sentiti vanno a “Vasti” (la scuola di ricerca e critica delle antropologie fondata e diretta da Raniero La Valle) e ai Cinecircoli giovanili socioculturali (associazione legata ai salesiani che fa educazione e formazione con il cinema e il teatro), che hanno messo a disposizione preziosi materiali; ad Archivio Disarmo (ente da decenni impegnato nella ricerca su guerre e armamenti), al settimanale “Internazionale” e all’associazione PeaceLink, che hanno contribuito alla realizzazione di questo Annuario con i loro documentatissimi archivi.
La diversità di voci e il pluralismo di idee, non necessariamente fra loro sempre e completamente concordi, che trovano spazio nell’Annuario ne costituiscono la ricchezza. E sono un modo anche simbolico di opporsi alla logica della guerra e della violenza che della diversità e del pluralismo è l’assoluta negazione.
(1) Alessandro Portelli, Asimmetria di un omicidio, in “il manifesto”, 1 settembre 2004.
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