"Io sono nessuno", un libro per racconta la storia di Annalena Tonelli
Ho conosciuto Annalena nel febbraio ’94, durante la guerra in Somalia, in una delle missioni di pace organizzate dalla mia comunità; un incontro che non dimenticherò mai. L’ho incontrata a Merka, a 100 chilometri da Mogadiscio. Ma ormai i signori della guerra erano arrivati anche lì ed era iniziata la guerra tra fazioni avverse.
Ricordo la forza interiore che emanava dalla sua persona minuta, i suoi occhi azzurri trasparenti e mai fermi.
Attorno alla sua casa, in vari cortili, aveva raccolto centinaia di malati di tubercolosi; a poche centinaia di metri, aveva aperto scuole dove raccoglieva circa 700 bambini. Un’opera enorme, sproporzionata per una donna sola, con poche persone a fianco, ma com’è stato sottolineato anche nel libro, chi ama sul serio, non conosce limite,
non conosce misura: l’amore, se è amore, è sempre esagerato.
E così era per Annalena. Era una delle rare presenze cristiane in quel Paese interamente islamizzato; ma la sua presenza non era mai una provocazione; era lì per la gente che aveva bisogno, era lì per un’esigenza d’amore.
Si donava interamente ai poveri, senza paura e senza sosta, eppure sempre guardandosi le spalle, sempre attenta ai passi da fare, alle parole da dire, sempre sul filo del rasoio. Facevano di tutto per ostacolarla, scoraggiarla. Ricordo di averla trovata con un occhio pesto: era stata presa a pugni dal commerciante che le vendeva le derrate alimentari, per aver protestato dello spropositato aumento dei prezzi.
Sapevano che Annalena per i suoi malati non si tirava indietro e le aumentavano i prezzi continuamente.
I suoi racconti erano impressionanti. Davanti alla porta di quella cittadella fortificata che era l’ospedale di Merka, ogni mattino le facevano trovare i cadaveri di uomini uccisi nelle scorribande notturne perché li seppellisse…
Dall’ospedale ci portò a visitare alcune delle sue scuole. Lungo la strada molti ci guardavano e indicandola la deridevano… Lei ci diceva di non farci caso, che era sempre così. Era lì non per il successo personale, ma in nome di Cristo, per dare sollievo ai più poveri.
Nel libro è riportato questo suo pensiero: “Non è il luogo che conta ma il nostro continuo modificarci per diventare più buoni, più giusti e non violenti… in tutti i sensi più belli nel pensiero, nella parola, nell’azione”.
Non si sognava mai di parlare del suo Dio, eppure l'accusavano continuamente di fare proselitismo, non con le parole, ma con l'amore che aveva per i più deboli. «E’ così che parli del tuo Dio» le dicevano – ed era la verità.
Di fronte alle minacce, Annalena rimaneva ferma, irremovibile, come il Cristo di fronte ai suoi avversari: «Che male ti ho fatto perché tu mi colpisca?». Al termine di quella giornata le avevo chiesto: ”Come si resiste m una situazione così tesa?». La risposta era stata un movimento quasi impercettibile della labbra: « In questa solitudine si può resistere solo se ci si sente fortemente abitati».
Non portava segni religiosi, nella sua casa, mi disse, prima aveva una cappella ma gliel’avevano saccheggiata…
Le era rimasta la Bibbia, ma gliel’avevano rubata… Ma il segreto della sua forza era essere abitata da Dio, essere casa di Dio. Il segreto della sua forza era la preghiera, la contemplazione della Presenza di Dio.
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