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Banca e Fmi: è crisi di sistema

Travolti dagli scandali saltano i vertici dei due organismo nati a Bretton Woods. E La crisi del Fondo monetario e della Banca mondiale coinvolge anche il Wto. Emerge l'inadeguatezza rispetto alla globalizzazione in atto
6 luglio 2007
Antonio Tricarico
Fonte: Il Manifesto (http://www.ilmanifesto.it)

In sole sei settimane la più grave crisi che ha colpito la Banca mondiale in 60 e passa anni di vita ha portato alle dimissioni del suo più controverso presidente, Paul Wolfowitz. Quando la tempesta sembrava finita, improvvise sono arrivate venerdì scorso le dimissioni del direttore del Fondo monetario internazionale, lo spagnolo Rodrigo de Rato, anche questa volta per motivi personali. Ma dietro gli scandali di promozioni non dovute e viaggi di lusso con i soldi delle istituzioni per le compagne dei «capi», emerge in maniera lampante una crisi sistemica degli enti che sono stati esecutori primari della globalizzazione neoliberista negli anni '80 e '90. Va aggiunto che i negoziati del Doha Round nell'ambito dell'Organizzazione mondiale del commercio (WTO) sono naufragati in maniera oramai quasi definitiva, e che il presidente Bush non ha più il mandato negoziale dal Congresso Usa per siglare nuovi accordi di liberalizzazioni.
In dieci anni il mondo si è rovesciato. L'inizio della fine della triade che ha governato il pianeta - appunto Banca, Fondo e Wto - è senza dubbio da ricondursi alle crisi finanziarie nel Sud-Est asiatico, avviatesi esattamente nel luglio di dieci anni fa con l'esplosione di una bolla del mercato immobiliare in Thailandia. Il default nel 2001 dell'Argentina, paese modello per l'Fmi, è stato il colpo di grazia. Per ritrovare legittimità il Fondo si è tuffato nel business dello sviluppo, iniziando a prestare anche nel lungo termine ai paesi più poveri. Ma tutto ciò è servito a poco, tranne che a procurare più danni all'Africa.
Con una contingenza macroeconomica favorevole a livello globale ed il prezzo del petrolio alto a vantaggio dei paesi produttori, negli ultimi tre anni è iniziata la grande fuga dal Fondo. Prima è stato il turno dei paesi asiatici che hanno ripagato tutti i debiti e si sono affrancati dalle condizioni economiche onerose loro imposte, quindi di quelli latino-americani, al punto che il Venezuela sta considerando di abbandonare la membership dell'istituzione, dopo che è emerso palesemente come il Fmi abbia truccato al ribasso le sue stime sulla crescita economica di quei paesi che applicano politiche economiche non ortodosse - come l'Argentina negli ultimi anni. Nel continente a piccoli passi si inizia a definire come dovrà funzionare nell'area del Mercosur la nuova Banca del Sud. Un'istituzione che darà pari diritto di voto ai suoi membri, a differenza delle istituzioni di Bretton Woods (BM e FMI).
In Asia, dove la Cina non ascolta l'insistente richiesta del Fondo di rivalutare la propria moneta, già da tempo si ragione su nuovi assetti futuri. La conferenza di Chang Mai e l'accordo di Kyoto di fatto destinano una quota significativa delle riserve accumulate dalle economie emergenti a coprire eventuali difficoltà finanziarie future dei paesi della regione. Va aggiunto che di recente anche Vladimir Putin, infastidito per i consigli del Fmi su come spendere gli extra-profitti petroliferi russi, ha dichiarato che il Fondo, così come la Wto, dovrà avere un ruolo minore nella nuova architettura economica globale.
Sul fronte della Banca mondiale, le tensioni vanno ben oltre le forzature neo-con operate da Wolfowitz nei due anni spesi a gestire le politiche dell'istituzione. Il ruolo della Cina come principale donatore in Africa ed il peso degli aiuti europei progressivamente in conflitto con l'operato della Banca, rendono necessaria una revisione strategica dell'intera struttura della finanza per lo sviluppo. La nomina affrettata di Robert Zoellick, il neo-con dal volto gentile, che dietro le quinte ha sistematicamente ricattato i paesi poveri per estorcere pesanti concessioni nei negoziati della Wto, è stata un'enorme occasione persa.
Un coro unanime di voci, dall'economista Joseph Stiglitz al segretario generale dell'Onu Ban Ki-Moon, dal ministro sudafricano Trevor Manuel all'intera società civile globale, aveva chiesto di porre fine alla tradizione che un americano guidasse la Banca ed un europeo il Fondo, per procedere invece ad una scelta trasparente e basata sul merito. Per ridare credibilità alla più grande istituzione di sviluppo al mondo a Zoellick non basterà una maggiore diplomazia nel relazionarsi con il suo staff. Il nuovo presidente dovrà a breve convincere gli stati donatori ad aumentare i propri contributi. I poco lungimiranti paesi europei alla fine lo faranno, ma vorranno ancora una volta mantenere il controllo del vertice del Fondo, togliendo così ancora più legittimità a questa istituzione in crisi. Se anche Robert Rubin, ministro del Tesoro Usa dell'era Clinton, artefice primario di questo modello di globalizzazione oggi in crisi, ammette che «il sistema di Bretton Woods è ormai fuori moda perché queste istituzioni non sono cambiate nel tempo e devono essere ripensate e ristrutturate», vuol dire che il mondo finalmente sta davvero mutando.

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