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Dialogo

Sul male e sul bene

20 febbraio 2007

Dialogo - Male e bene
Seconda versione riveduta 10 febbraio

A – Tu che hai una fede, una speranza, tu che cerchi di essere buono anche coi cattivi, che ne dici del problema del male?
B – Dico che è im-menso, cioè senza misura. Non si riesce a padroneggiarlo, afferrarlo, gestirlo. Ci sfugge.
A – Ci sovrasta, dunque. Ci opprime, ci domina. Allora, come puoi credere nel bene, in Dio buono, garante del bene?
B – Potrei dirti che voglio credere in Dio per non “credere” solo nel male. Cioè, voglio fidarmi e affidarmi a Dio per non accettare che il male vinca. Per non dargliela vinta.
A – Ma ti pare che basti una tale scelta volontaristica, una scommessa pascaliana, del tipo: «Se Dio c’è – speriamo che ci sia! – mi tira fuori dal dominio del male»? Ti pare che risolva il problema?
B – No, forse no. Credo nel bene non solo alla cieca, come in una pura scommessa.
A – Cioè? Hai un argomento?
B – Non so se è un argomento. Certo non è una dimostrazione evidente, che non si possa non accettare. Ma neppure un semplice azzardo.
A – Allora?
B – Mi pare che il male non sarebbe un problema, almeno non sarebbe il problema che è, se non avessimo presente in noi il criterio del bene. Non striderebbe il male se non stridesse contro il bene. Non ci sarebbe la malattia se non ci fosse la salute, anche come salute perduta. Nessun corpo morto è malato, solo un corpo vivo soffre. Solo i viventi muoiono. È il bene che sente, misura e mostra il male. E viceversa: quasi quasi oserei dire che il male dimostra il bene. Non sarebbe male se non urtasse il bene.
A – È già stato detto: il male è soltanto carenza di bene. Dove non c’è il bene intero, c’è del male. Ma ti pare che il male sia solo questo?
B – No, riconosco che è di più. Non è solo bene assente, non è solo un vuoto. È qualcosa contro il bene. Non so cosa sia il male, ma, direi, non farebbe il male che fa se non ci fosse il bene colpito, offeso. Una scudisciata nell’aria, un fendente a vuoto, non ferisce nessuno. Non è solo carenza di bene, ma ferita del bene, è qualcosa che ferisce il bene. Hai ragione: c’è male non solo quando manca del bene, ma quando il bene è colpito, negato. Il male è male perché sfida e offende il bene. Non è vero dunque che il male evidenzia il bene? Non ti sembra? Nella vittima rifulge la verità offesa. Mi ricordo ora quel che diceva George Fox, il fondatore dei quaccheri: «La gloria di Dio risplende nel carcere».
A – Mah. Ci penso. Volendo, potremmo distinguere un male negativo, il non-bene, un ritardo nel realizzare ciò che è giusto, una perdita, qualcosa differente da un male positivo, attivo, un’aggressione, il male-male. La morte stessa può essere distinta così: la morte come esaurimento naturale, il morire, il limite di un bene, e la morte come distruzione volontaria della vita, l’uccidere.
B – Sì. Pensiamoci. Per conto mio, pensare il male-male mi porta a pensare il bene: non soltanto invocarlo, ma incontrarlo, mentre è negato. Si potrebbe anche dire: l’orrore del male ci spinge a soccorrere il bene (questa idea è chiara e operante nella grande Etty Hillesum). Si voleva un tempo dimostrare l’esistenza di Dio partendo dalla realtà buona e limitata, contingente. Si potrebbe tentare – se non dimostrare, indicare - anche a partire dalla realtà del male attivo. Non incombe in modo totale, non domina unico, il male. Un male tutto solo, che non rinvia al bene, sarebbe… nor-male. Esiste il criterio che lo giudica: il male non è la norma!
A – Non sarà la norma metafisica, forse, ma la norma statistica, sì! È tanto, ma tanto…
B – Certo. Può essere frequente, e tanto, ma non è la natura delle cose. Una metafisica del male è smentita dal dolore (fisico e morale) del male, dalla sua ripugnanza profonda. Anche chi se ne serve per il proprio vantaggio e dominio, non lo tollera su di sé. Si fa il male per sfuggire al male. Anche qui vedo un segno: il male stesso diventa un giudizio contro il male. Se questo spunto vale qualcosa, il male non è invincibile. Vedi che quando, nella storia, cresce la coscienza e l’esigenza del bene – per fare un paio di esempi: il rispetto della vita, contro la pena di morte, contro la sofferenza inflitta agli animali – allora, qualcosa che prima era “normale” viene scoperto come “male” non più sopportabile, ma da togliere. Esiste una inesauribile riserva di bene-anti-male, che lo stesso scatenarsi del male alimenta e ravviva. La nostra vera familiarità, sottostante a tutto, persino alle nostre complicità col male, è col bene, con la salute, con la pace, con la giustizia, non col male.
A – Allora, vuoi dire che tutto è bene, «tutto è grazia»?
B – Non intendo concludere così, troppo facilmente. Mi basta evitare la conclusione opposta, che tutto è male, che il male domina. Voglio tenere aperta la via. E. P.

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