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Nascere bambine

Nascere bambine in alcuni paesi del mondo significa letteralmente "rischiare la vita". Si stima, infatti, che almeno 100 milioni di bambine "manchino all’appello" in Asia meridionale, Cina, Medio Oriente e Nord Africa dato che ci sono molte meno femmine di quante dovrebbero esserci in base all’andamento demografico. Questo perché la discriminazione nei confronti delle bambine si traduce, nei primi anni di vita, in meno cibo e meno cure mediche e a volte nell’eliminazione fisica.
13 novembre 2006
Amnesty International (Sezione Italiana)

Aborto selettivo/Infanticidio

In Cina per migliaia di anni è stato praticato l’infanticidio selettivo: nelle campagne le donne usavano partorire con un secchio di acqua vicino al letto, per affogare il neonato nel caso fosse stato femmina. Questo perché nella tradizione contadina solo i figli maschi garantivano la vecchiaia dei genitori e la continuità della loro memoria nel culto degli antenati. Nelle famiglie povere, perciò, era consuetudine sacrificare le bambine, in attesa del figlio maschio. Oggi il fenomeno dell’annegamento nel secchio è molto ridotto, tuttavia la politica demografica che consente un solo figlio per coppia, fa si che per potersi garantire un figlio maschio si ricorra sempre più all’aborto selettivo, dopo l’amniocentesi. Un’indagine ufficiale ha stabilito che il 12% delle gravidanze di feti di sesso femminile termina con un aborto. In India, in alcuni stati sono stati addirittura proibiti i test per determinare il sesso del nascituro per arginare il fenomeno dell’aborto clandestino (su 8.000 aborti effettuati a Bombay, 7.999 erano di feti di sesso femminile). Nelle campagne è tuttora diffuso l’infanticidio.

Meno cibo, meno cure

In India nel 1991 vi erano 929 femmine su 1000 maschi. Le ragioni non dipendono solo da un minor numero di nascita, ma anche da una elevata mortalità delle femmine nella fascia tra i 0 e i 5 anni. Si calcola che dei 12 milioni di femmine che nascono all’anno 25% (un quarto) non raggiunga i 15 anni. Tra 1 e 4 anni la mortalità passa, infatti, da 109 bambine morte su 100 bambini a 300 su 100. Tutto ciò perché alle figlie sono dati meno cibo, meno cure mediche e assistenza, dato che per la cultura tradizionale le femmine sono solo un peso. Esse, infatti, devono essere "mantenute" per poi diventare una "proprietà" della famiglia del marito. Inoltre, non solo esse non portano reddito alla famiglia, ma il pagamento di una dote spesso onerosa, può ridurre in rovina la famiglia. Secondo uno studio dell’Unicef, riferito all’India, solo il 30% delle neonate viene allattato al seno, contro il 51% dei maschi e in caso di malattia solo il 63% delle bambine malate viene portato dal medico contro l’80% dei maschi. In Pakistan il 71% dei bambini ricoverati in ospedale sono maschi. Ad Haiti, su 1000 bambini tra i 2 ed i 5 anni muoino 61 femmine e 48 maschi, in Costa Rica 8 femmine e 5 maschi.

E’ più alta anche la percentuale delle bambine malnutrite, poiché ricevono meno cibo dei coetanei maschi. La malnutrizione ha effetti sulla salute perché rende le bambine più deboli e suscettibili di malattie.

Istruzione

Le bambine che sopravvivono sono comunque destinate ad una vita di discrimininazioni. L’accesso all’istruzione, anche primaria, mostra in genere un divario tra maschi e femmine, che aumenta considerevolmente nell’istruzione secondaria e terziaria (università). Il divario nell’accesso all’istruzione primaria è consistente nell’Asia meridionale e in alcuni paesi africani. La differenza si attesta in genere sul 10-15%, ma può aumentare in alcuni casi. Ad esempio in Benin gli alunni maschi sono il 30% in più delle loro coetanee. In Asia meridionale la differenza è intorno al 29%. In Afganistan il regime dei Talebani ha vietato l’accesso alle scuole a bambine e ragazze. In questi paesi l’accesso all’istruzione è comunque basso per tutti e quindi è ancora più forte l’effetto della differenza di scolarizzazione tra i due sessi che determina una bassa alfabetizzazione femminile. Le cause della discriminazione sono molteplici, ma si basano tutte fondamentalmente sulla svalorizzazione e svalutazione del sesso femminile. Se i costi dell’istruzione sono gravosi per l’economia familiare, si privilegiano i figli maschi, destinati a portare reddito in famiglia. Infatti, non si concepisce che una donna possa lavorare al di fuori delle mura domestiche e che sia destinata ad altro che al matrimonio e a "produrre" di figli. Inoltre, le femmine possono essere costrette a rimanere a casa per aiutare la madre nei lavori domestici (cucinare, attingere acqua, raccogliere legna) o nei lavori agricoli o per prendersi cura dei fratelli più piccoli.
La mancata istruzione delle bambine è estremamente dannosa per i paesi sottosviluppati, dato che la donna è il fulcro dell’economia domestica. E’ dimostrato, infatti, che l’istruzione femminile influenza positivamente la crescita economica, con un maggior controllo sulla crescita demografica. Inoltre una donna istruita riesce a prendersi meglio cura dei propri figli, facendo diminuire la malnutrizione e l’incidenza delle malattie infantili.

Pratiche tradizionali

In alcuni paesi esistono pratiche tradizionali che riguardano diversi aspetti della vita femminile estremamente discriminatori nei confronti delle bambine o che si configurano come vere e proprie forme di schiavitù, come le mutilazioni genitali femminili, la prostituzione sacra o il matrimonio precoce forzato.

Prostituzione sacra. Nella regione meridionale del lago Volta, esistono le trokosi. Si tratta di donne, ma più spesso bambine di 4-5 anni che vengono portate ai santuari del dio Tro, una delle divinità del sistema religioso vudù, per espiare colpe commesse dalla famiglia, anche in un lontano passato: debiti, omicidi, furti ecc. Le trokosi passano tutta la loro vita nei santuari, a lavorare i campi dei sacerdoti del dio Tro e quando diventano più grandi ne diventano le concubine. La vita delle trokosi è un’esistenza di stenti: non possono cibarsi di quello che coltivano, vengono spesso picchiate e possono riconquistare la loro libertà solo in tarda età. Si conta che vi siano circa 10-12.000 trokosi in Ghana, ma ve ne sono anche in Togo e in Benin.

Una pratica analoga è la devadasi in India. Anche in questo caso le ragazze vengono dedicate alle divinità e coinvolte in matrimoni ritualistici con gli dei. Non di rado sono poi vendute per la prostituzione. In Nepal viene invece attuata la deukis. In questo caso per espiare le loro colpe, le famiglie ricche possono addirittura "comprare" ragazze povere da offrire al tempio. Queste ragazze diventano "mogli" delle divinità o essere avviate alla prostituzione. Secondo le Nazioni Unite nel 1992, vi erano circa 17.000 deukis in Nepal.

Matrimonio precoce e forzato. Alcune pratiche matrimoniali tradizionali comportano un "acquisto" della sposa, spesso troppo giovane per opporsi ad un matrimonio combinato, e la fanno diventare una proprietà della famiglia del marito. Questa rende possibile, che la ragazza, se vedova, venga ereditata, come qualsiasi altra proprietà ("levirato") da il più prossimo parente maschio e costretta ad un nuovo matrimonio.

La Legislazione Internazionale

" Ad ogni individuo spettano tutti i diritti e tutte le libertà […], senza distinzione alcuna, per ragioni di razza, colore, di sesso, di lingua, di religione, di opinione politica o di altro genere, di origine nazionale o sociale, di ricchezza, di nascita o di altra condizione" (art. 2.1 della Dichiarazione Universale dei Diritti Umani)

La legislazione internazionale vieta ogni forma di discriminazione contro donne e bambine. I principi sanciti dalla Dichiarazione Universale sono stati ripresi, infatti, da convenzioni e dichiarazioni internazionali tra cui la Convenzione sull’eliminazione della discriminazione nei confronti delle donne del 1979, la Piattaforma d’azione di Pechino, approvata dalla IV Conferenza dell’Onu sulle donne del 1995, le Azioni chiave per l’ulteriore applicazione del programma d’azione della conferenza internazionale su popolazione e sviluppo, della 21° Sessione Speciale dell’Assemblea dell’Onu tenutasi a New York il 1 luglio 1999 e il documento finale Donne 2000. Uguaglianza di genere, sviluppo e pace della 23° Sessione Speciale dell’Assemblea dell’Onu del 10 giugno 2000.

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