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La Banca mondiale vuole azzerare il sindacato

Nella speciale classifica del “Doing business” premiati i paesi dove non c’è alcuna forma legale di tutela del lavoro
17 settembre 2006
Silvana Cappuccio
Fonte: Liberazione (http://www.liberazione.it)

Lo scrittore e giornalista uruguaiano Eduardo Galeano afferma che la gran parte dei crimini più atroci e dei pregiudizi peggiori commessi su questo pianeta sono perpetrati per il tramite di quegli organismi (Fmi, Banca mondiale, Wto) che si definiscono internazionali. Le loro vittime sono i «dispersi»: non coloro che si sono smarriti nella notte e nella nebbia dell’orrore delle dittature militari, ma i «dispersi della democrazia».
Può sembrare una visione estrema. Nel dibattito in corso sulla riforma di queste organizzazioni, dopo violente critiche provenienti da tutti gli angoli del pianeta sul loro funzionamento e la loro gestione, si colgono nelle prese di posizione e nei comportamenti odierni talvolta dei segnali che aprirebbero delle controtendenze e delle speranze su una loro possibile democratizzazione. Ma ancora, purtroppo, seppure a fronte di un vocabolario ripulito, rinnovato e spesso illuminato, persiste in realtà una pratica scoraggiante di "fondamentalismo del mercato", per rifarsi ad un'espressione coniata da Joseph Stiglitz, premio Nobel per l’economia ed ex- direttore della Banca Mondiale.

La Cisl internazionale (Confederazione Internazionale dei Sindacati Liberi) ha duramente attaccato la Banca Mondiale per il suo ultimo rapporto annuale, l'edizione 2007 di Doing Business, dall’eloquente titolo "Le riforme fanno la differenza", in cui non solo la Banca raccomanda ai Governi di ridurre al minimo le norme sul mercato del lavoro, ma li incoraggia persino a emulare i paesi che non fanno parte dell’Organizzazione Internazionale del Lavoro (Oil), dove non esiste alcuna forma legale di tutela del lavoro. Doing Business è il best seller della Banca mondiale, uno dei rapporti più letti e diffusi tra quelli che sforna l'istituto presieduto da Paul Wolfowitz. Dunque uno degli strumenti che influenzano maggiormente le politiche economiche e sociali di quegli stati che più dipendono dai cordoni finanziari del Fondo monetario internazionale - organismo gemello della Bm.

Il Rapporto (alla sua quarta edizione annuale) è stato realizzato esaminando le economie di 175 paesi e se ne evince che nel 2006 sono state adottate 213 riforme, in 112 paesi, affinché le imprese si adeguassero ai requisiti legali e amministrativi in meno tempo, con meno costi e più agevolmente.

A leggerlo sembrerebbe incredibile, ma è vero: nella classifica, redatta dal dipartimento per lo sviluppo del settore privato della Banca, le Isole Marshall occupano il primo posto per la migliore performance, che consiste nel non avere norme di lavoro! Gli autori specificano che la postazione in vetta alla classifica è stata conquistata perché, in quel contesto, i lavoratori possono lavorare senza limiti di ore al giorno e per sette giorni alla settimana, non godono di ferie e non è richiesto alcun preavviso per licenziarli. Il messaggio non potrebbe essere più semplice: quanto meno i lavoratori sono protetti, tanto il paese è migliore. Di conseguenza e coerentemente con questa premessa, vengono retrocessi quei paesi dove le imprese non possono licenziare "liberamente", senza condizioni, i lavoratori, "dispersi della democrazia".

Guy Ryder, segretario generale della Cisl, ha subito rilevato e sottolineato la stridente contraddizione tra quanto la Banca Mondiale afferma per bocca del suo presidente Paul Wolfowitz, che in più occasioni ha ribadito l’importanza del legame e della coerenza tra le norme fondamentali del lavoro e gli obiettivi di sviluppo della Banca. Una delle sue divisioni, la Società Finanziaria Internazionale, prevede persino che non possono essere concessi dei prestiti a coloro che non rispettano gli standard fondamentali. A parte quanto è contenuto in altre pubblicazioni dello stesso istituto, come il World Development Report 2006: Equity and Development, in cui si afferma e ribadisce l’irrinunciabile necessità di una regolamentazione del lavoro. «La Banca Mondiale deve dirlo chiaramente: se ritiene che le norme fondamentali del lavoro dell’Oil siano favorevoli allo sviluppo, è inammissibile che la stessa Banca operi un voltafaccia e indichi ad esempio dei paesi che non aderiscono all’Oil e non rispettano le norme fondamentali del lavoro, premiandoli come i migliori. La Banca dovrebbe ritirare il mandato sulla normativa del mercato del lavoro a chi è incaricato di redigere Doing Business e smettere di utilizzare questo rapporto come base di proposta per avanzare delle riforme sul lavoro», ha dichiarato Ryder.

La Cisl ha sottolineato che già in passato questa stessa pubblicazione è stata utilizzata nei documenti strategici di diversi paesi dalle istituzioni finanziarie internazionali per spingere i governi a ridurre la tutela legale dei lavoratori, considerata un impedimento agli investimenti. Già la prima edizione, nel 2003, suggeriva ai singoli paesi di imitare «l’esperienza di deregolamentazione» di diversi paesi in via di sviluppo, che avevano intrapreso la via di «una generale riforma per ridurre le norme sul lavoro».

In una dettagliata analisi recentemente preparata, i sindacati elencano una serie di macroscopici esempi in Bolivia, Colombia, Ecuador, Lituania, Nepal, Romania e Sudafrica, dove le ricette della Banca si sono puntualmente accompagnate a disastrosi risultati per le loro società.

La riforma delle istituzioni internazionali non dovrebbe allora iniziare proprio da questi organismi che agiscono contro le più elementari regole democratiche? Viene spontaneo chiedersi se la lotta alla povertà e per lo sviluppo economico, che è un obiettivo primario della Banca Mondiale, si traduca in lotta ai poveri e per la crescita del mercato.

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