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La Pace passa attraverso la Vita

Genitore: colui che dà la vita a un proprio simile

Genitore non è solo colui che dà la vita, ma colui che - riconoscendo nell'altro un proprio simile - gli consente la vita
25 agosto 2005
Paola Maccioni


I vostri figli non sono vostri figli. Sono i figli e le figlie della sete che la Vita ha di se stessa. Essi vengono attraverso di voi, ma non da voi, e benché vivano con voi non vi appartengono. Potete donare loro amore ma non i vostri pensieri: essi hanno i loro pensieri. Potete offrire rifugio ai loro corpi ma non alle loro anime: esse abitano la casa del domani,che non vi sarà concesso di visitare neppure in sogno. Potete tentare di essere simili a loro, ma non farli simili a voi: la vita procede e non s’attarda sul passato, voi siete gli archi da cui i figli, come frecce vive, sono scoccate in avanti.
L’Arciere vede il bersaglio sul sentiero dell’infinito e vi tende con forza affinché le sue frecce vadano rapide e lontane. Affidatevi con gioia alla mano dell’Arciere; poiché come ama il volo della freccia così ama la fermezza dell’arco.

Da Il Profeta di Kahlil Gilbran.

il sorriso di un bimbo

Mi piace fotografare gli occhi e i sorrisi. Molte volte sono obbligata dai bambini o dalla gente, senza differenza di età e di sesso, a fotografare. Molte volte non vorrei fotografare le pose o qualcosa che non corrisponde al mio desiderio. Spesso lascio la macchina fotografica o la videocamera e gioco, mentre manine di ogni tonalità di bruno cercano di afferrare le macchine che porto al collo, molto più interessanti di ogni girotondo o canzonetta... È la parte del mio lavoro che amo di più, ma molte volte il giocare è un bisogno solo mio. Molte volte dimentico che la parte più bella di quando ero bambina, non era tanto il gioco attivo, quanto l’osservare gli adulti, i loro gesti, i movimenti, il parlare, il modo di rapportarsi con i loro pari. Tutto quell’osservare diventava poi il mio gioco. Molto più gratificante di qualsiasi canzonetta o girotondo o gioco di società che gli adulti mi proponevano per soddisfare il loro bisogno! È così in ogni parte del mondo, il gioco diventa tale, se e solo, si è soddisfatta la necessità primaria: la curiosità.

il gioco con la trottola di legno

Tra i sorrisi, molte volte, non posso fare a meno d’inquadrare la miseria e allora chi guarda la foto sente chiudersi il cuore, i meccanismi atavici di difesa si attivano: la prole va difesa per perpetuare la specie. Anche se non è sangue del nostro sangue, qualunque bambino in condizioni che escono dai nostri standard mentali di dignità, provoca queste reazioni : "Com’è possibile sorridere e vivere, in quelle condizioni?"

Non in tutti i Paesi che ho visitato la scuola è obbligatoria e gratuita, almeno per i primi dodici anni.
Soprattutto nei villaggi lontani dai centri abitati c’è un’altissima percentuale di assenza. Le immagini dei bambini che percorrono a piedi anche venti trenta chilometri al giorno sono legate a un problema ancora più grave: nei loro villaggi, probabilmente non c’è da lavorare per loro e la scuola offre il nutrimento al corpo, oltre che alla mente.

la macchina fotografica e la videocamera sono più interessanti di qualsiasi gioco.

In Tamil Nadu le scuole pubbliche, così come da noi, hanno dei problemi organizzativi derivanti dalle scarse risorse economiche e ambientali e dal fatto che il mestiere dell’insegnante è, decisamente, sottopagato e quindi poco ambito. La scuola è obbligatoria fino al conseguimento del diploma e girando per le strade del Paese al mattino alle otto si vedono decine e decine di bambini e ragazzi che salgono sugli autobus, sui treni, sui minicab o sulle biciclette in tre o quattro alla volta. Perfettamente pettinati, con i capelli oliati, maschi e femmine, queste con le trecce legate da nastri colorati e gelsomini tra i capelli, sembrano farfalle che si recano alla festa delle fate. È un’aria assolutamente giocosa, profumata e colorata che copre con il suo velo la triste realtà della scuola pubblica. Le divise e i nastri indicano la fortuna di poter frequentare un istituto privato: cristiano, musulmano, induista. Questi istituti accettano, comunque, i ragazzi più meritevoli anche se poverissimi. Tutti indistintamente. Sono istituti che si sostengono mediante donazioni o adozioni a distanza. Nelle scuole , oltre a studiare, si mangia e si fanno i compiti. La giornata scolastica inizia alle nove del mattino e finisce alle diciassette. Le scuole più ricche per il pranzo offrono riso dai chicchi lunghi e masala saporiti, le più povere solo riso tondo e pepper water. Sono i ragazzi che si prendono cura delle parti comuni degli edifici, spazzano i cortili e curano i giardini, come ricreazione. Alle diciotto, seduti a gambe incrociate per terra nei cortili, o assiepati nelle scuole coraniche, riprendono a studiare fino alle venti, qualche volta fino alle ventuno. Un giorno di festa alla settimana: domenica o venerdì. Non c’è molto tempo per il gioco.

il pranzo

I veri problemi nascono alla fine del ciclo scolastico. Le opportunità di lavoro più ambite sono quelle offerte dalle multinazionali dell’informatica che, pur non offrendo impieghi a tempo indeterminato, offrono stipendi ben superiori alla media nazionale. Non tutti i giovani possono frequentare le università che sono private in stragrande maggioranza. I lavori artigianali sono trasmessi di padre in figlio e non esistono scuole professionali che preparino al lavoro. Paradossalmente, non sono i bambini che hanno bisogno di essere aiutati. Sono i ragazzi e le ragazze, dai diciassette anni in su. Sono i giovani della fascia d’età dimenticata a ogni latitudine. È un problema che ho vissuto dall’ Africa alla Bosnia, passando per l’Italia. È un fenomeno naturale: tutti i cuccioli animali ispirano tenerezza per poter sopravvivere. Anche i cuccioli d’uomo. Chi non si commuove davanti a un bambino? Il giovane adolescente deve arrangiarsi, così come i giovani leoni che sono allontanati dal branco… dopo lo tsunami le organizzazioni sociali hanno aperto, nei villaggi, scuole di sartoria per le donne e scuole per conducenti di autovetture, compresi i mini cab, i pericolosissimi taxi a tre ruote, molto simili alla nostra Ape, che si trovano ovunque.

Più aumenta la mia conoscenza e il mio amore per quei luoghi, più mi rendo conto che la situazione non è facile: il desiderio delle cose e del benessere occidentale cresce lentamente, ma, comunque, non di pari passo con la consapevolezza che non potrà essere esaudito da una società praticamente immobile.

i gelsomini tra i capelli sono simbolo di bellezza e femminilità. Anche quando non si hanno i soldi per comprarli freschi tutti i giorni.

Al ritorno da ogni viaggio, incontro tante persone che, vedendo gli occhi e i volti sorridenti dalle foto, mi chiedono come possono aiutare, si propongono per l’adozione a distanza. In genere glisso sulla risposta. I sentimenti d’amore sono indubitabili, sono le modalità d’aiuto che mi lasciano perplessa.
Ecco perchè ho iniziato citando Gilbran. È difficile essere genitori dei propri figli, riconoscerli come persone autonome nella loro crescita psicofisica. Tutelare il loro interessi e riconoscere i loro bisogni, soprattutto quando non collimano con i nostri sogni e i nostri desideri per il loro futuro. Adottare un bambino o un ragazzo a distanza è ancora più difficile. Pensiamo di poter dare un presente come quello che viviamo. Un futuro che ci eterni anche in altre parti del mondo. Così, con il passare del tempo, non ci accontentiamo più di una foto all’anno, di due letterine che molte volte sembrano scritte in serie. Iniziano i dubbi e i sospetti, indotti dalla nostra cultura, per cui solo il nostro modo di spendere il denaro è giusto. Solo il nostro stile di vita, solo i nostri bisogni, che non siamo più in grado di riconoscere come indotti dai media, sono degni di essere soddisfatti. Una signora è rimasta perplessa quando ha saputo che parte dei soldi che aveva inviato per la sua figlia adottiva erano stati usati in un modo, per così dire, improprio. Con vera felicità e ringraziamenti sinceri, la suora dell’istituto in cui Jennifer Chandra è ospitata, ha scritto per comunicare che, non appena ricevuto il bonifico, ha acquistato gli orecchini, i bracciali e la collanina d’oro. E un nuovo churidar, l’abito molto usato dalle giovani, con tunica e pantaloni. Nell’immaginario della buona signora quei soldi dovevano servire a nutrire un povero corpicino, una piccola mente. A cercare di sollevare da una miseria atavica, magari, la famiglia originaria.
Ma povera, laggiù, è chi non può permettersi un monile d’oro. Chi non può indossare una abito che tutti indossano. Chi tiene i fiori di gelsomino fra i capelli per più di due giorni.

i ragazzi si sono messi in posa esibendo il loro desiderio di pace: la colomba abbraccia il mondo con le ali e la bandiera indiana sembra abbracciarlo.

I poveri ci sono, esistono, sono quelli che chiedono l’elemosina nelle stazioni, nei luoghi pubblici, sui treni. Ma, esattamente come da noi, sono malvisti. Anche laggiù si sono scoperti dei poveri ricchi! Qualsiasi tempio, cristiano o induista o musulmano, offre i pasti ogni giorno. E sono molte le organizzazioni che cercano d’intervenire perché la vita sia più vivibile. Più vivibile secondo il loro canone, anche lì. Lungo il fiume che scorre a Chennai, nel centro della città che conta più di tremilioni e mezzo d’abitanti, ci sono le tane, perché qualsiasi altra definizione non renderebbe l’idea, di un’intera società che vive, cresce, si riproduce e muore sotto gli occhi dei pochi che osano passare di là. Polizia compresa. Il governo è intervenuto più e più volte, sono state assegnate delle abitazioni, offerta la possibilità, ai bambini, di essere accolti negli istituti… sono passata a testa bassa e velocemente tra di loro. Mi sono rifiutata d’immortalare una miseria morale che è solo colpa di chi la vuole vivere. Non voglio perpetuare nelle immagini un mio simile che vive come i cani che stanno poco più avanti e che , sono certa, avrebbero gradito una carezza.
Non si muore di fame in Tamil Nadu. Si muore di emarginazione. Si muore per soprannumero. Si muore per mancanza di alternative.

Essere genitore a distanza è dare gratuitamente, come gratuitamente dovremo dare ai nostri figli, qui. Troppe volte ho sentito discorsi del tipo: "io non faccio l’elemosina a quello lì o a quella lì, perché si compra le sigarette. O perché li usa in modo diverso da quello per cui io li do."
È la parte più difficile dell’amore: donare per pareggiare il diritto dell’altro di scegliere la propria vita.

Chi sceglie di adottare un bambino o un ragazzo, deve essere consapevole che Chandra o Tamendi o Maniandan saranno aiutati a sentirsi perfettamente uguali ai loro coetanei più fortunati. Integrati nella loro cultura che, così come la nostra, è fatta anche di apparenza che si vive come sinonimo di uguaglianza sociale. Deve essere consapevole che non potrà tirare fuori dal portafoglio, davanti ai conoscenti, con malcelata umiltà, una foto stropicciata da mostrare: "questo è il ragazzo che ho adottato". Sarà genitore vero: sarà arco di una freccia lontana che continuerà il suo percorso portandosi dietro un amore gratuito. Seguirà da lontano questo figlio o questa figlia che potrebbe non conoscere mai. Da cui riceverà una lettera con un grazie a Natale e una foto a giugno, con i risultati dell’anno scolastico. È un impegno adottare un figlio a distanza. Non si può abdicare dall’essere genitore perché il nostro amore, preferisco chiamare così la piccola offerta annua, crea aspettative importanti, speranze.

Essere genitore è dare la vita. Essere genitore è permettere la vita. Non essere un semplice, per quanto importante, elemosiniere. Essere genitore è il primo passo verso la tolleranza e l’accettazione del diverso. È il primo passo verso un mondo di pace, perché nessuno dimentica il bene che riceve e la propria esperienza di figlio diventa fiducia e storia bella da raccontare domani ai propri figli.

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