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Piccolo dossier sulla fecondazione medicalmente assistita

Riflessioni morali e sociali implicate nella pratica della fecondazione assistita

Ragionamenti a monte del referendum e della legge sulla fecondazione assistita, come pratica, prima che come problema giuridico, raccolte in unico piccolo dossier il 12 giugno 2005
12 giugno 2005

I - 1° maggio 2005
Referendum sugli embrioni (lettera ad amici)

Cari tutti,
Sto pensando e leggendo sul referendum, per orientarmi. Per ora (posso cambiare decisione: solo gli dei e i folli non cambiano mai idea, dice Aristotele) ritengo che è sbagliato il sì come il no.
Il sì non abolisce la legge, ma la allarga. Il no conferma la legge com'è.
Fino a ieri intendevo votare un sì e consegnare in bianco gli altri. Ora sto pensando di astenermi, non certo perché lo dice Ruini, ma perché lo dico io.
E' sbagliato il sì come il no, perché qui c'è un eccesso di tecnopotere sulla vita umana.
Non vale il paragone con chi (era Pio IX?) condannava i vaccini. Io non posso accettare che si fabbrichino degli embrioni umani a mucchietti, per poi usarne alcuni, scegliendo e gettando, come in cucina o in officina.
Mi spieghi chi sa di scienza, anche se la scienza non è l'ultimo criterio: anche Mengele - caso estremo - era uno scienziato, ma gli mancava dell'altro; anche gli scienziati che fecero l'atomica erano scienziati, ma qualcuno si rifiutò, qualcuno si pentì terribilmente, e tutti gli altri violarono il principio di precauzione.
Mi spieghi chi sa di scienza: un embrione è forse uguale all'altro come due gocce d'acqua, fungibili e intercambiabili?
Oppure ogni embrione ha un suo "dna", che sarà, se si sviluppa e nasce, la caratteristica unica in tutto l'universo umano, di quella persona?
Se ha il suo dna unico (come a questo momento mi pare, tanto è vero che si distingue embrione sano, embrione non sano), allora ha un carattere individuale unico; è un soggetto umano iniziato. Non è una cellula della madre, o del padre, ma un terzo essere. Non è un numero, ma un unico.
Non si può fabbricarlo per usarlo. Non si può sopprimerlo perché non serve.
La tecnobiologia che prevede di fabbricare e sopprimere embrioni - se le cose stanno così - è inaccettabile in radice.
Il sì e il no al referendum non c'entra più nulla. Non mi va questa legge, non perché sia troppo stretta, o clericale, o contro le donne, ma perché è questa legge, più stretta o più larga.
Nelle grandi questioni controverse, noi agiamo in condizioni di ignoranza. E' d'obbligo il principio di precauzione: non fare azioni dagli effetti irreversibili. Questa è l'etica saggia per il mondo in cui cresce la potenza tecnologica e cresce la nostra ignoranza.
Come dice bene la Levi Montalcini: "non si può fare tutto quello che si può fare". Nei due significati del verbo potere, che nella lingua italiana non sono distinti: potere fisicamente e potere moralmente.
Per fare un trapianto di fegato o di cuore, si può anche rapire un bel bambino, macellarlo e vendere l'organo sano e fresco. C'è chi lo fa, lo sappiamo. Si può, ma non si può.
La ricerca scientifica è un valore. Non è il valore massimo.
Desiderare un figlio, se non viene naturalmente, è un desiderio bello. Volerlo fabbricare a tutti i costi dal proprio corpo, per saperlo "mio", manipolando e selezionando embrioni in modi moralmente dubbi, è assai meno bello che adottare uno dei milioni di bambini a cui le guerre e le economie di rapina hanno tolto i genitori.
Ciao!
Enrico (domenica 1° maggio 2005)
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II – 14 e 16 maggio 2005
Perplessità sul referendum sulla fecondazione assistita
(pubblicato su Adista, 4 giugno 2005)

Ripresento alcune domande morali, non religiose, sulla sostanza che conta, più che sulla legge:

1. Posso fidarmi, in generale, delle tecnoscienze oggi spesso tracotanti, condizionate e dirette più dal profitto del capitale che dall’interesse umanitario, che spesso guastano la natura invece di perfezionarla (producono armi distruttive di massa anzitutto a favore del privilegio dei ricchi, seminano pericolose scorie millenarie nella vita dei posteri, sequestrano il cibo dei poveri imponendo sementi sterili da comperare ogni anno, compromettono l’equilibrio dell’ambiente vitale), più di quanto mi possa fidare della natura stessa, la quale, nonostante tutto, al contrario di ieri, oggi pare meno pericolosa dell’intervento dell’uomo?
Sono perplesso e inclino a pensare di non potere fidarmi, in generale, delle tecnoscienze.

2. Posso fidarmi di una scienza oggi tanto celebrata, quasi fosse il massimo dei saperi, ma fortemente inquinata dai poteri economici, i quali, col dare-negare finanziamenti e istituzioni, indirizzano a forza sia la ricerca sia l’applicazione, nelle direzioni in cui pensano di trarre profitto, anche a scapito di inviolabili diritti umani di persone e popoli, e a danno della natura, mentre negano l’appoggio a direzioni di ricerca e applicazione medica, sanitaria, ecologica, cooperativa, alimentare, pacifica, solo perché possono trarne minore profitto? Posso fidarmi abbastanza di una ricerca scientifica che non ha tutto il diritto, l’importanza e l’utilità che le spetterebbe e avrebbe se il capitale fosse al suo servizio, invece di servirsene? Posso fidarmi di una scienza che, di fatto, non è puramente scientifica, ma, nelle condizioni attuali di abbondante ignoranza e imprevedibilità degli effetti, può anche essere criminale, perché manca spesso di quella cautela scientifica che impone di evitare effetti forse irreversibili?
Posso fidarmi molto poco, e piuttosto diffidare e stare in guardia.

3. Posso fidarmi di una scienza e tecnica medica e farmaceutica che ha mille meriti, ma è orientata in generale a stra-curare i ricchi e i loro desideri (fino a raddrizzare i nasi, gonfiare i seni, e far crescere i capelli ai calvi) tras-curando i poveri nei loro bisogni vitali primari e nella difesa dalle più semplici malattie, lasciati soffrire e morire perché non pagano?
Sono perplesso e inclino a dire che non stimo giusto l’orientamento complessivo di questa medicina e dell’industria farmaceutica.

4. Posso fidarmi di politiche e legislazioni che, mentre omettono largamente la costruzione della giustizia e della pace e restano disponibili alla guerra e all’ingiustizia mondiale, pur di acquistare il favore popolare amano andare incontro ad ogni desiderio, quelli legittimi (come avere un figlio), ma anche i più futili, come se fossero dei diritti, con conseguente crescente giuridicizzazione dei rapporti umani? E distribuiscono circenses ai frivoli più che panem ai deboli? E favoriscono i beni privati e individuali più dei beni comuni, necessari ai poveri? E privilegiano le possibilità dei ricchi più dei bisogni dei poveri?
Sono molto perplesso e mi fido molto poco.

5. Posso fidarmi dell’ethos dominante nella società, specialmente nelle espressioni più influenti (spettacoli, persone in vista, modelli compiacenti), che orienta la ricerca e la politica, ethos caratterizzato dal liberismo etico individualista, insofferente del limite dettato dal diritto di chi ha meno e può meno, insensibile al principio che non è giusto per me quel che non è giusto per tutti (o che almeno non cerchiamo di ottenere per tutti), e sordo, se non contrario, al principio per cui la giustizia è misura della libertà, e non viceversa?
No, non mi fido di questo ethos, causa profonda di ingiustizie.

6. Posso fidarmi di una probabilità morale, in campi delicati come il rispetto della vita umana, per cui pensiamo di non colpirne il diritto intervenendo su di essa dopo averne stabilito con sicurezza forse eccessiva il momento iniziale e finale? Posso pensare che quella probabilità sia una certezza morale? Posso fidarmi di scelte, in questo campo inviolabile, dettate dall’audacia operativa, dalla passione del successo, e anche da interessi demagogici ed economici, più che da cura umana e da cautela scientifica?
Sono molto, molto perplesso.

7. Non mi piace la pratica in questione, né come la regola questa legge, non mi piace allargare la legge, né confermarla, né l’astensione. Forse, forse, forse, lo dirò votando quattro schede bianche.

Enrico Peyretti, sabato 14 maggio 2005
(alcune piccole correzioni introdotte lunedì 16 maggio)

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III - 30 maggio 2005
Come mi oriento sui referendum

Dopo aver ascoltato e letto tutto quello che potevo (non ogni discorso ragionevole persuade sia la mente sia la coscienza), e a lungo riflettuto e ripensato, nei miei limiti, oggi, pur mantenendo il diritto-dovere di cambiare idea se vedo diversamente, sempre accettando correzioni convincenti, mi oriento in base a considerazioni del tipo di queste:
1. Il prevalente attuale ruolo sociale della scienza è di servire i poteri forti più dei diritti deboli. Stando così le cose, ho fondati sospetti sugli orientamenti e sviluppi futuri delle applicazioni delle scienze, che si possono vedere annunciati in certe scelte di oggi. Ovviamente, credo nella sincera buona fede e nell’impegno giusto per fini giusti di tanti singoli ricercatori e scienziati, e vedo tanti effetti benefici delle scienze.
2. Il rispetto della vita è il primo criterio morale. Lo intendo come Albert Schweitzer: Ehrfurcht vor dem Leben, cioè reverenza verso la vita. E non solo la vita umana. Ciò non significa un vitalismo fanatico: ci sono valori alti che valgono più della vita, purché liberamente data, nel rispetto di tutte le vite. Ma significa, per esempio, non fare mai soffrire gli animali, e non mangiare la loro carne, per le belle ragioni che dava Capitini negli anni ’30 contro il fascismo bellicoso (Elementi di un’esperienza religiosa, Cappelli 1990, ristampa anastatica dell’edizione 1947, con ampia prefazione di Norberto Bobbio; p. 74 e contesto). Non si tratta di un tabù, ma di una scelta liberante.
3. Buon criterio politico, per la qualità della vita sociale, è l’etica della solidarietà, opposta e alternativa alla cultura “radicale”, che ispira tanto ethos dominante, per la quale ogni desiderio individuale è diritto. Merita leggere Armido Rizzi, L’erba voglio, Ed. Cittadella, Assisi. Le relazioni sociali trasformate in scontro di diritti assoluti, spesso opposti e incomponibili, smarriscono la dimensione della libertà, del dono, anche dell’amore senza calcolo, e si induriscono terribilmente. L’idea che l’uomo può fare ciò che vuole se riesce a farlo, non realizza ma disintegra la nostra umanità. Il primato del desiderio individuale (alcuni filosofi definirono anni fa l’essere umano come “macchina desiderante”) produce il primato della forza, dunque la violenza del privilegio e del lusso individuale, e la guerra di tutti contro tutti, a danno dei poveri e deboli. È assai preoccupante, segno pesante di carenza etico-culturale, che oggi la sinistra non si opponga a questa cultura radicale, che è radicalmente di destra.
4. La fecondità delle nostre vite personali non è soltanto nella generazione carnale, che è mistero bello e ricco, ma in tutte le forme di donatività, di impegno, di servizio agli altri. Un accanimento procreativo desta molto sospetto, e fa temere soprattutto per i figli nati così, perché rischiano molto di essere sentiti e trattati come prodotto, conquista, possesso, invece che dono, incontro, alterità libera (si legga di nuovo la famosa poesia di Gibran sui figli, che dice quanto di più vero sappiamo pensare sull’argomento).
5. Una legge civile, certamente, non ha da rispecchiare una o l’altra dottrina morale, ma può solo e deve riflettere l’ethos medio di una società. Ma non rispecchia neppure questo, se non si confronta e non aspira, per quanto possibile, alla giustizia, cioè alle più alte espressioni morali di tutta l’universale ricerca e tradizione umana, attinte da tutte le culture e spiritualità della storia viva dell’umanità.
6. È saggezza accettare i limiti umili, sebbene apribili, della nostra condizione naturale, piuttosto che abbandonarsi all’ebbrezza della tracotanza e della volontà di potenza. Oggi eccediamo e sbagliamo più in questa seconda direzione che non nella prima. Non è davvero vero che la natura è crudele, come si dice. Questa è una visione monoculare. La natura è ricca di messaggi e significati di vita. Se la nostra vita vale – e davvero vale - è dalla natura che ci viene data e alimentata. E se la natura fosse cieca e crudele, allora, saremmo autorizzati ad esserlo anche noi? Semmai il contrario: è compito umano aiutarla immettendovi mitezza, rispetto, amore, difesa di tutti gli esseri. E prima di tutto, custodirla e non distruggerla, come indica il saggio imperativo morale per il nostro tempo formulato da Hans Jonas: garantire la permanenza di un’autentica vita umana (Il principio responsabilità, Un’etica per la civiltà tecnologica, Einaudi, p. 16).
Per queste ragioni, e per le ragioni che si fanno sentire chiare e vere, anche se non trovano tutte le parole per dirsi, io penso ora – salvo ripensamenti – di scegliere tra queste possibilità:
1 - astenermi per rifiuto della logica binaria si/no su problemi così delicati e complessi (e non per l’ordine di Ruini), problemi da ponderare anche criticando l’ethos prevalente, e non da decidere con un plebiscito;
2 - votare schede bianche, per esprimere la partecipazione, contro il divieto e contro l’indifferenza, e per i motivi della scelta n. 1. Se il referendum fallirà, non contribuirò a farlo riuscire.
Non mi persuadono del tutto le motivazioni, anche le più serie e meglio esposte, per quattro o tre sì.
È certamente positivo il dibattito che il referendum ha provocato negli ambienti dove si vuole pensare più che obbedire a gerarchie o partiti. Questo dibattito deve continuare con serietà, ben al di là di questa occasione e di questa legge, sul rapporto tra le possibilità umane (materiali e morali) e la natura di cui vivono i nostri corpi, «carne in cui è spirito» (Malachia 2,15). Enrico Peyretti (30 maggio 2005)

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IV - 2 giugno 2005
Ancora sulle biotecniche
(da una lettera)
Comunico a te e ad altri "amici di dialogo" qualche altra mia faticosa riflessione attuale.
Se lo sviluppo fisico-economico attuale è insostenibile dal pdv ambientale, mi sto domandando se sia sostenibile dal pdv fisico-biologico, psicologico, sociale e etico umano, l'attivismo e interventismo biotecnico in atto.
E' una domanda, non una conclusione. La mia è solo una paura del nuovo? una diffidenza ingiusta sulla scienza? o una saggia prudenza e prevenzione?
Non riesco tanto ad entrare nell'analisi della legge 40 e delle modifiche proposte (né l'una né le altre mi piacciono), perché non riesco a togliere la mia attenzione massima dal clima etico-culturale ad esse circostante:
- la volontà di potenza tecnologica: dagli ultratelefonini superflui in là, fatti con ciò che rubiamo a mano armata ai poveri, sta approssimandosi alla Wille zur Macht;
- la trasformazione, deformante i rapporti umani, del desiderio in diritto;
- il figlio come prodotto posseduto più che come dono ricevuto (così considero la vita, tanto nei suoi estremi del nostro esser nati e del nostro morire, come nel sole e nell'aria di ogni giorno, e ritengo la "vita nel dono" ricevuto-liberamente-dato infinitamente più viva che la vita nel prendere e nel fare tutto ciò che si vuole e si può);
- la natura vista come materiale informe, senza un suo senso, ma tutta manipolabile;
- la insufficiente considerazione del principio di precauzione, doveroso per evitare gli effetti irreversibili là dove agiamo in condizioni di relativamente ampia ignoranza;
- le chiaramente ventilate estensioni della biotecnica all'eugenetica (non dico quella nazista eliminatoria, ma quella programmatoria della confezione del figlio sul modello voluto, che sarebbe devastazione dell'umanesimo, della spiritualità, dell'alterità indominabile dell'altro), .
- le indubbie spesso nascoste interferenze di interessi e profitti economici voraci nell'orientare, con condizionamenti determinanti, le direzioni e i campi della ricerca scientifica pura - al di là della intelligenza e onesta volontà di tanti ricercatori - e poi delle sue applicazioni: in particolare soffro lo scandalo, e mi accuso moralmente di goderne i vantaggi, di una medicina e farmaceutica che "stra-cura" i ricchi e "tras-cura" i poveri, facendoli scientemente morire, anche per le più semplici malattie, perché non possono pagare! E' un dato infernale della nostra umanità che la scienza sia impegnata maggiormente a produrre armi per la morte che medicine per la vita.
E forse c'è altro ancora.
Enrico (2 giugno 2005)

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V - 5 giugno 2005
Lettera a l’Unità, il manifesto, Liberazione sui referendum
(Pubblicata su l’Unità 6-6, Liberazione 7-6)

Caro Direttore,
in politica sono decisamente a sinistra, sono di fede cristiana, di formazione cattolica, devo criticare spesso gli indirizzi ecclesiastici, come questo per l'astensione nei referendum, perché ha sopravanzato la riflessione. Però sono dispiaciuto nel constatare, anche in buona parte sui giornali di sinistra, un semplicismo schematico, di schieramento, su questa scelta che è difficile inquadrare nella logica binaria sì/no; una scelta che non può essere sbrigativa e facile su temi di estrema delicatezza e importanza, data la relativa incertezza delle conoscenze scientifiche e delle prospettive curative, e l'alto rischio di speculazione economica. La sinistra non può essere cedevole verso la cultura radicale del desiderio assolutizzato, trasformato in diritto, che è cultura profondamente di destra, individualistica, e non può trascurare le priorità sociali, anche su scala mondiale. Vedo che le persone sensibili e riflessive si orientano in modo articolato tra tutte le scelte possibili in questi referendum, tenendo conto di tutti i valori in gioco, senza obbedire a nessun ordine di scuderia. Credo che la loro riflessione, purtroppo non generale, sarà il risultato più positivo di questa vicenda.
Enrico Peyretti, Torino

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VI – 8 giugno 2005 (da una lettera)
Sono disgustato dal brutto clima che si è creato. Gli uni danno agli altri degli assassini. Gli altri danno agli uni dei taleban-cattolici. In mezzo c'è la gente martellata sulla testa dagli argomenti piegati come tubi di piombo dalle due parti opposte, anzi spesso risolti in sberleffi volgari.
Intanto l'industria delle cliniche fa i suoi conti...
Mi piacciono (alcuni solo per questa volta) quelli che, sia di qua che di là, si ribellano agli ordini di scuderia.
Io a questo brutto gioco del bene-male, illuminismo-oscurantismo, buoni-cattivi, moderni-passatisti, furbi-scemi, scienza-papa, non ci gioco.
Al gioco di Fassino che fa il Pannella, e Ruini che fa l'Andreotti o il Richelieu, non ci gioco. E questo lo decido io, non altri.
Ai problemi seri ci penseremo quando sarà possibile.
Credo che nessuno dei tre risultati possibili sarà buono.
Ciao! Enrico
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VII - 10 giugno (risposta a lettera di G. C.)
Carissima G.,
è sempre triste per me dissentire, anche gentilmente, dagli amici. Ho letto tutto quello che potevo, ho ascoltato e pensato. Non sono, le mie, convinzioni armate e corazzate, ma persuasioni e perplessità sincere. Non credo di confondere etica e legge, né di separarle come se fossero senza contatti. Sento gli aspetti morali, certo, ma non religiosi bensì umanistici e sociali. Forse sbaglio, ma temo che, anche attraverso passi in sé innocenti e a fin di bene, le tecnologie sofisticate (dai supertelefonini al navigatore satellitare e via di superfluo in superfluo) ci stiano mangeggiando invece di lasciarsi maneggiare da noi. E' un vecchio tema serio (Panikkar, Jonas, Marco Revelli ...). Il rispetto e ascolto della donna è tema altrettanto grande ed essenziale, ma si incrocia con tutto questo. So che nessuna scelta e nessuna incertezza rispondono a tutto. Oltre quella pagina apparsa su Adista (una delle varie pagine proposte ai corrispondenti più abituali) perché l'ho allegata alla precisazione sulla scorrettezza delle comunità di base che hanno trasformato in sì quella dichiarazione di libertà di coscienza rispetto all'editto ruiniano, ho scritto anche una lettera all'Unità (uscita lunedì 6) e a Liberazione (martedì o mercoledì) (sul manifesto mi pare non uscita, ma non l'ho visto sempre) per deplorare il clima degenerato, da tutte le parti: i giornali di sinistra sbeffeggiano chi non è con loro. Brutto!
Sull'aborto (che è un omicidio) difendo la legge (oggi come allora), ma solo perché la donna in quella distretta è ingiudicabile, non perché sia autodeterminazione (non determina solo sé stessa!!), tanto meno un diritto.
Grazie del tuo testo, che entra nel lavorio mentale e interiore.
Comprendiamoci
Ciao!
Enrico
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(lettera di G. C.)
Carissimo Enrico,
sai che mi hai sorpreso con l'intervento su "adista"? mi sembra strano che anche tu confonda ciò che è proprio di una legge con ciò che spetta all'etica.
Che l'embrione sia vita è più o meno pacifico; che sia "persona" significa che è titolare di eredità, che se la madre fa sport può danneggiarlo e se ha bisogno di una chemioterapia il medico ha dei problemi. Questa legge malfatta prevede che non si congelino gli embrioni e che quelli che lo sono già non siano destinati alla scienza; ma chi volesse adottarli non potrebbe farlo perché sarebbe un caso di "eterologa"...
Per parlare davvero di etica e di scienza ci penseremo quando si creerà un'authority ad hoc (a prescindere che ci sono già le commissioni mediche, Toledo e il principio di precauzione). Questa legge non è neppure applicabile
Ciao, con amicizia
g.
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VIII - 10 giugno 2005 Risposta a Piero Fassino

Caro Piero Fassino,
ma non ci davamo del tu, fin da giovani, e poi quando eri segretario Pci a Torino?
E col tu mi salutasti (mi stupivo che ti ricordassi di me) ai funerali del caro Carpanini (che fu mio allievo al liceo Cavour).
Grazie della tua lettera. Conosco bene le tue argomentazioni. Non mi persuadono.
Le mie non sono convinzioni armate e corazzate, ma mille dubbi sulla sostanza della pratica della fecondazione extra-corporea e su tutti gli aspetti etici, psicologici, giuridici, sociali ed economici connessi. Ho scritto varie cose, ma non te le rifilo.
Sono anche disgustato dal tono della campagna, e anche dalla pesantezza del sarcasmo dell'Unità su cose delicate e fini come queste.
Vedi, se vuoi, la mia lettera uscita su l'Unità lunedì 6 giugno (per comodità te la copio qui sotto).
Ti auguro buon lavoro per sottrarre l'Italia al berlsuconismo. Prima necessità: allontanarsi il più possibile dalle concezioni antropologiche e politiche che quello rappresenta.
Un saluto amichevole
Enrico Peyretti

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IX - 11 giugno (da una lettera a N.)

Il tema è tale che non sta del tutto dentro le argomentazioni strettamente scientifiche dimostrative, ma le sorpassa sul piano dei valori.
E comunque, siamo classicamente di fronte a una questione controversa, che, tu l'hai sempre insegnato, esige la massima cautela e l'evitare conseguenze irreversibili e sviluppi incontrollabili, su cui si avventano interessi economici forti.

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