Mosca-Grozny: Neanche un bianco su questo treno
Francesca Sforza, ex corrispondente da Mosca per la Stampa, si avvicina al complesso conflitto russo-ceceno, in maniera competente ma al tempo stesso umana. Accanto alle analisi storico-politiche, ci presenta il racconto, la testimonianza semplice di chi, per capire, è “andato a ficcarcisi dentro” in maniera ostinata, forse sventata, con un viaggio sul treno Mosca-Grozny. Quello che stupisce però, è lo sguardo ironico, un modo di alleggerire la tragedia che hanno sia gran parte dei ceceni che molti di coloro che sono impegnati per la pace e i diritti umani di questo popolo, siano essi attivisti norvegesi, americani o russi, e che ritroviamo forse per la prima volta in un libro in italiano.
- E se andassimo a Grozny in treno?
- Ma come vuoi che ci facciano salire senza akkreditazia?
- Possiamo sempre provare, e se non ci fanno salire scriviamo un pezzo che dice «Non ci hanno fatto salire».
Con la stessa logica, se ci avessero fatto salire e poi ci avessero fatto scendere, avremmo potuto scrivere un pezzo: «Ci hanno fatto salire e poi ci hanno fatto scendere». Neanche per un minuto abbiamo pensato che sarebbe stato possibile arrivare fino a Grozny, e dunque del ritorno non ci siamo preoccupate, non quella sera.
Invece Francesca e la collega Lorraine di “Libération” a Grozny ci arriveranno, un po' per semplice fortuna, un po' grazie a provvidenziali incontri. Come quello con Andreij, uno dei poliziotti in servizio sul treno, che incarna la retorica russa dei rappresentanti dello Stato, assieme ad una certa ingenuità di un popolo che fatica a tentare di vedersi dall'esterno.
- Questo è valido per la Russia, il treno va in Cecenia – dice Andreij guardando i documenti.
- E da quando in qua la Cecenia non è più parte della Federazione Russa? - chiediamo facendo quelle che cascano dalle nuvole.
- Qui nessuno ha detto che la Cecenia non è Russia
[...]
- Beh, e che siete venute a fare?
- Un reportage dal titolo “La vita sul treno”.
- Mmhh, La vita sul treno – Andreij cerca la risposta nei meandri del suo labirinto – E come mai proprio su questo treno?
- Che cos'ha che non va questo treno? Forse non è un treno tranquillo?
- Questo è un treno tranquillissimo, è il treno più tranquillo di tutta la Russia – e fa un gesto con il braccio come per dire: «Ce n'è voluta per farli stare tranquilli, questi Ceceni, ma a forza di menar le mani ce l'abbiamo fatta».
Partendo dal racconto del viaggio sul Mosca-Grozny, luogo di incontri, di storie, di tensioni ci si avvicina di persona a “questa strana guerra, in cui si muore senza che nessuno, ormai, vinca o perda davvero”. Ma Francesca Sforza alla logica dei numeri, del conteggio delle vittime, preferisce testimoniare le storie delle persone, delle madri, dei ragazzi sbandati, e interrogandosi su cosa custodiscano dentro quegli occhi profondi le ragazze, con le quali non si può parlare: “Devono avere un marito, dei figli, o essere vedove per conquistare il diritto di parola”.
Dal libro emergono intensi ritratti di storie femminili di dolore, coraggio e speranza. Ma non manca l'analisi della figura del famigerato premier ceceno Kadyrov figlio, della ricostruzione di Grozny, della faccenda della “kompensazia” (i risarcimenti per gli edifici bombardati), insomma della “normalizzazione” imposta da Mosca che, in particolare negli ultimi due anni, ha assunto l'aspetto di una “cecenizzazione” per la quale ora il conflitto è sempre più interno alla società cecena.
Denuncia e dolore, tragedie e ironia nel raccontare la Cecenia e le sue ferite, ed in conclusione una analisi del rapporto dei russi con il Caucaso alla luce della tradizione letteraria russa.
Conciliando serietà, testimonianza drammatica e momenti di ironia, la giornalista della Stampa sembra avere uno sguardo sulle tragedie della repubblica caucasica molto simile a quello degli stessi ceceni, capaci di stemperare il dolore in un umorismo che a volte dall'esterno può lasciare esterrefatti, ma che nasce dall'istinto di sopravvivenza. Più dei russi, ceceni ed italiani sanno sorridere di sé stessi nonostante tutto. Ed è proprio vero: i ceceni adorano scherzare sul gemellaggio Italia-Cecenia e sentir parlare della mitica mafia italiana.
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