DEBITO ESTERO

Debito inesigibile

Scrivi Tsunami e leggi solidarietà. Buono. Meglio se si leggesse giustizia. Anzi remissione di un debito statale molto spesso generato da regimi e comunque pagato dai poveri.
Nicoletta Dentico

Maremoto in Asia. “Quando la gente del villaggio ha cominciato a urlare che stava arrivando un’onda gigante ho capito che prima di tutto dovevo pensare a correre e mettere in salvo la mia famiglia”, racconta dall’India Lakshimanan, 38 anni, gestore di un piccolo negozio di tè a Ksimedu, una comunità di pescatori di circa 2000 famiglie a Chennai, nel sud dell’India. Ha afferrato subito Manju, la figlia dodicenne, correndo fuori sulla strada, ma non ce l’ha fatta a salvare la moglie, spazzata via – come il negozio di famiglia, le barche dei pescatori e le case del villaggio – dalla forza distruttrice di un’onda alta più di sei metri. “Tutti hanno perso tutto”, aggiunge con sconfinata tristezza, mentre osserva il nulla che gli si apre intorno.
Solo una storia. Una piccola scheggia di tragedia vissuta tra centinaia di migliaia, nelle zone travolte e spazzate via dal maremoto asiatico di fine 2004. Ma il racconto assomiglia drammaticamente a tutti gli altri, nelle sue buie pieghe di desolazione, di morte e distruzione. Nella acuminata solitudine di chi resta.

Generosità versus debito
La comunità internazionale sta rispondendo alla straordinaria portata dell’emergenza che ha colpito le popolazioni del sudest asiatico, con uno slancio di solidarietà senza precedenti. Il compito adesso è di far contare questa generosità in modo sostenibile. Gli aiuti – 5 miliardi di euro promessi finora, 1000 euro a testa per i 5 milioni di sopravvissuti che necessitano assistenza – devono fare un lungo viaggio, fra lentezze burocratiche e giochi di potere. Le sfide sono immani.
Al centro del dibattito sugli aiuti alle aree colpite è piombata la questione del debito estero dei Paesi colpiti dallo Tsunami: il ministro inglese Gordon Brown (la Gran Bretagna è presidente di turno del G8 quest’anno) si è preso la

I numeri del debito nei paesi<br> colpiti dallo Tsunami
Secondo i dati più recenti della Banca Mondiale,
il totale del debito estero per Paese ammonta a:

Indonesia : 132,2 miliardi di dollari
India : 104 miliardi di dollari
Tailandia : 59,2 miliardi di dollari
Malesia : 48,6 miliardi di dollari
Sri Lanka : 9,6 miliardi di dollari
Maldive : 270 milioni di dollari
Somalia : 2,7 miliardi di dollari
Seychelles : 560 milioni di dollari

Fonte: World Development Movement
briga di sollecitare un polifonico dibattito sul ruolo che la gestione del debito potrebbe avere sulla ricostruzione, in un’ottica di lungo periodo. Sospensione temporanea dei pagamenti, ristrutturazione delle scadenze, drastica cancellazione di quanto dovuto? Già da alcuni giorni, vari leader politici hanno fatto un gran parlare delle misure da mettere a punto sulla difficile partita del debito accumulato dai Paesi della catastrofe asiatica: una ciclica onda finanziaria non meno devastatrice, che risucchia ogni anno percentuali immani del prodotto interno lordo di Indonesia, Sri Lanka, Tailandia, India e Maldive.

Tsunami e giustizia
Ma se Tsunami e carità sembra un’associazione emotivamente recepita, il binomio Tsunami e giustizia crea decisamente più problemi. I 19 Paesi creditori riuniti nel Club di Parigi si devono incontrare con Banca Mondiale e Fondo Monetario Internazionale per valutare la possibilità di seguire, almeno per alcuni degli Stati (Indonesia, Sri Lanka e Somalia), la strada tracciata dai governi del G7, ovvero un’azione di moratoria mirata al congelamento degli oneri. Certo, non bisogna dare prova di cedevolezza. Nessuno dei Paesi devastati dalla emergenza si trova sull’orlo dell’insolvenza, e poi c’è il problema della loro affidabilità creditizia sui mercati internazionali: non si può destare troppo allarme tra i creditori privati che hanno sottoscritto bond internazionali o titoli di Stato locali.
Eppure la scelta di congelare temporaneamente il debito, peraltro già delineata al vertice di Jakarta dei Paesi donatori, è una soluzione di minima del tutto inadeguata, che sposta solo nel tempo il problema del ripagamento del debito per questi Paesi. Va ricordato che nel 2002 Indonesia, Tailandia, India e Sri Lanka (i dati sono della Banca Mondiale) hanno ripagato 50 miliardi di dollari in servizio del debito. La proposta di sospensione avrebbe la durata di almeno un anno, e potrebbe far risparmiare ai debitori circa 3 miliardi di dollari: ciò che equivale a un mese e mezzo di ripagamento del debito pubblico per i cinque governi più colpiti! Senza considerare che rimane ancora del tutto aperta la questione dei debiti commerciali e il ruolo

Il debito in rapporto % al PIL (Prodotto Interno Lordo)
Indonesia 80%
India 21%
Tailandia 48%
Sri Lanka 59%
Maldive 45%

Fonte: World Development Movement
dei creditori privati come la banche (assorbono oltre il 50% del debito ripagato da questi Paesi), nonché il ruolo delle istituzioni multilaterali (che coprono quasi il 30%).

Un debito vorace
India, Malesia e Tailandia rimandano la proposta al mittente, temendo la inevitabile capitalizzazione dilazionata degli interessi (come avvenuto per i Paesi del centroamerica dopo l’uragano Mitch), e un declassamento del loro debito. L’Indonesia, da parte sua, fa sapere che rifiuterà qualsiasi misura di moratoria sui pagamenti, mentre è disposta a discutere di un eventuale taglio del debito.
La remissione del debito libererebbe miliardi di dollari per la ricostruzione, in Paesi dove l’onda anomala rischia di aver spazzato via anche i più significativi sforzi di recupero dalla crisi finanziaria del 1997, che ha richiesto tutta la laboriosa tenacia asiatica, non senza le difficoltà legate anche al contesto internazionale della lotta al terrorismo. Malgrado i positivi riconoscimenti da parte delle agenzie di rating come Standard & Poor’s, nel 2004 Jakarta ha dovuto investire dieci volte di più per la restituzione del debito ai creditori internazionali di quanto non abbia potuto fare per i servizi sanitari. Il debito si è mangiato una cifra 33 volte superiore a quella destinata alle strutture abitative.
La tragedia dello Tsunami potrebbe essere trasformata in un’occasione unica per valutare – Paese per Paese – la storia e la natura del debito nazionale contratto, in vista di una cancellazione negoziata attraverso un processo trasparente tra il governo debitore e i rispettivi creditori. Si scoprirebbe allora la devastazione ambientale cui lo Sri Lanka è sottoposto, per ripagarsi il debito, con l’allevamento intensivo dei gamberetti, la privatizzazione dell’estrazione dei minerali e delle acque, e una drammatica riduzione della foresta (dal 24 al 19% del territorio nazionale) e delle aree verdi (dal 70 al 47% del territorio) solo nel 1990. Capiremmo che quello dell’Indonesia è un debito “odioso”, contratto dalle smanie di potere e di grandezza del generale Suharto, per 37 anni efferato dittatore contro la popolazione indonesiana, ma beniamino del governo e della comunità imprenditoriale statunitense. Perché, oggi, dovrebbero gli indonesiani farsi carico di questo enorme fardello, che

Sul debito, per saperne di più
hanno già abbondantemente ripagato in deficit di democrazia, guerre, repressioni, e anche estorsioni finanziarie dalle reali necessità del Paese?

La parte dell’Italia
L’Italia ha una delle normative più avanzate in materia di cancellazione del debito, la legge 209 del 2000, frutto di una lunga battaglia internazionale nata contestualmente al Giubileo del 2000. L’articolo 5 della legge parla chiaro: nei casi di “catastrofe naturale e nelle situazioni di gravi crisi umanitarie, al fine di alleviare le condizioni delle popolazioni coinvolte, possono essere annullati, parzialmente o totalmente, i crediti di aiuto accordati […] al Paese o ai Paesi colpiti da tali eventi”. L’annuncio da parte del governo dell’annullamento della restituzione delle rate di crediti di aiuto, sotto forma di riconversione delle somme in progetti sociali e ambientali, risolverebbe solo una parte del problema, forse. Tuttavia, darebbe un segnale inequivocabile di leadership e di coerenza strutturale con la generosità umanitaria dimostrata dai molti cittadini del nostro Paese, e del mondo.
Per ironia della sorte, i temi dello sviluppo e degli aiuti ai Paesi poveri erano già previsti nell’agenda internazionale del 2005 prima dello Tsunami, con particolare attenzione rivolta all’Africa. La straordinaria emergenza del maremoto nel sudest asiatico può essere, da subito, un difficile ma utile banco di prova per testare politiche coraggiose e innovative, rispondenti alle sfide della povertà. Il debito dei Paesi colpiti, oggi, è moralmente inesigibile.

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