TEOCONS

Dio al governo

Soldi e vangelo, guerra contro il male e difesa della morale. Una nuova religione avanza. Direttamente nel cuore della politica. Anche qui in Italia. Protagonisti, contraddizioni e vittime di una nuova crociata.
Giancarlo Zizola

L’opinione pubblica in Italia è stata interessata all’apparizione di una corrente politico-religiosa sedicente “teo-cons”. La sigla è uscita allo scoperto a un raduno di CL e del Foglio di Giuliano Ferrara a Milano nel novembre 2004, a ridosso della rielezione di Bush jr., sull’onda della teatralizzazione mediatica del vittimismo per la bocciatura di Buttiglione in Europa, il fallimento dell’operazione integralista sulle “radici cristiane” nella Costituzione Europea e le prime misure del socialista Zapatero correttive del regime di cristianità sopravvissuto in Spagna. Prodotto di importazione americana, il patchwork congiunge il neoconservatorismo laico e la destra religiosa in una re-interpretazione passatista del progetto emancipativo della modernità, alla luce di un’annessione individualista dei concetti di persona, identità e libertà, incartati nel cellophane scintillante di un conclamato afflato per la figura del papa, anch’essa unilateralmente ritagliata.

In conti col relativismo etico
La sceneggiatura appare forgiata sulle ceneri di due rivoluzioni tradite. La destra cattolica compie, nelle braccia del neo-liberalismo, la parabola dell’intransigenza con la quale, una volta insidiata l’apertura conciliare della Chiesa all’umanesimo secolare, può sfruttare il potere conseguito dalla God Governance anche in Italia per tentare di chiudere i conti con il caos del relativismo etico, del nichilismo e della secolarizzazione post-moderna, rinunciando a discernere i nuovi valori dell’umanità globale che esulino dalle categorie occidentali. Il ruolo di una teologia spuria è accessorio al disegno politico della stabilizzazione sociale nel nuovo ordine globale: ricalcando le orme dei “neocons” statunitensi (specialmente il guru Michael Novak) e della loro teologia del capitalismo, rielabora il modello ideologico descritto da Robert Kagan in Paradiso e potere incorporando esplicitamente la religione e la morale ufficiale nel discorso pubblico della destra, in cambio di alcuni piatti di lenticchie. L’utilizzazione del linguaggio religioso nel discorso politico ha il ruolo, strumentale, di sovraccaricare di valenze simboliche qualsiasi conflitto, descritto inevitabilmente come parte della lotta tra Bene e Male, tra Dio e Satana: lettura fondamentalista della storia – simmetrica a quella dell’integralismo islamico – che finisce per vedere nell’avversario politico l’Anticristo e creare la psicosi dello stato d’assedio permanente. Si sostituisce la distinzione tra diritto e morale, politica e religione con un appello alla Verità assoluta che inasprisce e inselvatichisce, invece che avviare a soluzione, i conflitti sul loro terreno proprio, che non è escatologico, ma politico, economico, strategico, storico.

Lacerare le radici della laicità
Una rottura decisiva è operata da questa lobby non solo rispetto al cattolicesimo liberale, ma anche all’intera tradizione dell’Occidente, della quale vengono lacerate quelle radici, veramente cristiane, della laicità, della distinzione fra ciò che va dato a Dio e a Cesare, del principio di separazione che, insieme alla libertà religiosa, al pluralismo, alla compresenza delle luci e delle ombre nella storia e alla solidarietà, ha portato la storia moderna della libertà in Europa fuori delle guerre di religione e a opporsi alle sopraffazioni dell’assolutismo, anche clericale, all’uso della religione come instrumentum regni, alle derive dell’individualismo e ad altre forme di ostilità e di idolatria.
Ma la trahison des clercs è anche delle frange dell’intelligenza laica entrate nel patto, vogliamo credere per un disinteressato intento culturale di lasciarsi alle spalle un vetusto laicismo di taglio positivistico e non certo per un trasformismo da quattro soldi, malgrado le ascendenze comuniste di alcuni dei primattori, ora nei palchi del potere dominante. L’osteria dell’appuntamento, invero stravagante, tra i fautori dell’irrazionalismo antimoderno e i seguaci della modernità razionale, tra gli sbandieratori della Verità Unica e i chierici della Nessuna Verità, travestiti per l’occasione da “atei devoti”, era già frequentata da De Maistre, da Charles Maurras e dai loro proseliti. Non potrò facilmente dimenticare l’avvertimento elargito a me, giovane vaticanista, da Mario Missiroli, sacerdote agnostico della laicità illuminata, nelle prime, concitate stagioni del post-concilio: “La Chiesa non deve muoversi, perché se si muovesse noi non sapremmo dove trovarla”. È lo stesso genere di agguato teso negli anni Venti dall’Action Française a un cattolicesimo che si voleva ingabbiare nel modello dell’Ancien regime, “liberando il Vangelo dal suo veleno rivoluzionario” diceva Maurras. Tra i membri di quel movimento, oggetto di scomunica da parte di Pio XI, e tuttavia riciclato nei lefebvriani scismatici, c’erano anche cattolici non credenti, atei, agnostici come il suo fondatore: essi concordavano nell’attribuire alla religione un ruolo di supporto ai loro fini politici e una funzione vitale nella società, tanto da poterlo definire una sorta di “clericalismo ateo”.

La categoria di religione civile
Nulla di meglio della politica degli innesti per battere la filossera, dicono i viticoltori. Lo credeva anche Robert Bellah quando mise in circolazione la categoria della “religione civile”, in chiave profetica, di ponte tra i valori religiosi e il senso comune etico della nazione. La storia è là a dirci che l’ateo europeo ha portato qualcosa di necessario alla fede cristiana e che la stessa Chiesa cattolica deve alla laicità, a prezzo di conflitti dolorosi e di spoliazioni spesso più biasimate che comprese (se non tardivamente), una autocoscienza più profonda della propria missione spirituale, nella necessaria distanza dal potere politico.
Malraux amava ripetere: “Je suis un athée naturellement catholique”.
Difficile negare che la politica abbia bisogno di un fine, di un’etica, ma questo non autorizza a ridurre la politica a braccio secolare della Grazia, un po’ cinicamente e un po’ credendoci. Diversamente da un tempo, in cui il fatto religioso era considerato residuale, uno spazio pubblico viene accordato alle forze spirituali, invitate a collaborare al mantenimento e alla trasmissione dell’ethos democratico e alla definizione dei codici di etica in diversi campi, in particolare quello delle scienze della vita. È in questo senso che si può oggi parlare, nelle società secolarizzate e pluraliste, di una ricomposizione del ruolo delle religioni nel sistema giuridico. La Costituzione dell’Unione Europea lo ha riconosciuto e positivamente stabilito. Il risultato di questa evoluzione è che la laicità si definisce fin d’ora come il quadro regolatore di un pluralismo di visioni del mondo, piuttosto che come un contro-sistema che si oppone all’universo religioso.

Il furore teocons
La manovra “teocons” investe con le forzature del suo doppio fondamentalismo (cattolico e laico) un processo di rielaborazione su cui aveva inciso favorevolmente il riformismo della Chiesa conciliare, punto di partenza della revisione dell’ideologia separatista militante del laicismo europeo. Potenti e a volta arroganti apparati di propaganda eccitano dimostrazioni di isterismo di massa, deleghe drastiche all’irrazionalismo sia nell’ordine religioso che in quello politico, dovendosi turare le falle del razionalismo politico, giuridico e democratico inabissatosi nel fallimento, nella illegalità e nella menzogna (altro che Verità!) della guerra del “primo colpo” all’Iraq.
L’analisi di questo branco confuso di cappellani politici e fondamentalisti laici d’Occidente rivela che l’esito inevitabile del conglomerato ideologico della God Governance è un rifiuto radicale della possibilità della politica, cioè di poter dare inizio, mediante azioni e mediazioni razionali, alla trasformazione dell’ordine costituito e al contenimento civile della ferocia. Se l’intelligenza laica vuole uscire, avanzando, dalla crisi storica della laicità di combattimento, essa ha più bisogno di laicizzare la laicità che di finire nelle fauci dell’integralismo sacrale, che continua a gettare Cristo dal pinnacolo del tempio offrendogli regni temporali. Ciò che manca alla laicità non è la religione, ma il venir meno della passione critica per rilanciare i valori dell’Occidente al di là dell’Occidente, compiendo la rivoluzione liberale con una rivoluzione egualitaria su scala globale, con una nuova età dei diritti del genere umano complessivamente inteso. Un nuovo patto laico non potrebbe prescindere dalla critica agli idoli del denaro, del dominio, del consumo, dell’individuo fine a se stesso, della guerra e della servitù volontaria.

Laico dunque dubito
In una laicità che non dubita c’è sempre qualcosa di sospetto. In una laicità che indossa il mantello di arlecchino dei “neocons”, dei sedicenti “atei devoti” c’è anche di peggio, un affrettarsi al bacio dei sacri anelli per consolidare la servitù della Chiesa e mettere le mani sul principio spirituale nella storia.
C’è il vecchio tentativo di far coincidere ed esaurire il cristianesimo con una civiltà, la fede con una cultura, di ridurre la Chiesa a cappellana militare dell’Occidente.

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