CINEMA

La poesia del viaggio

L'America che spaventa e che vorremmo amare. Lo sguardo poetico di Wim Wenders sul Paese che improvvisamente scopre di essere odiato dal pianeta.
Andrea Bigalli

La terra dell'abbondanza

La terra dell’abbondanza
Regia: Wim Wenders
Germania 2004
Cast: Michelle Williams, John Diehl, Burt Young
Fotografia: Franz Lustig
Durata: 114 minuti
I rapporti tra Nuovo e Vecchio Mondo, tra i due pilastri dell'Occidente, tra Stati Uniti ed Europa hanno segnato e segnano la storia più recente. Anche se le dinamiche geopolitiche, delle risorse, degli stessi movimenti culturali, sembrano orientarsi sempre in prospettive diverse (basti pensare al variabile ruolo dell'Asia, che però sta adesso trovando nella Cina un protagonista assoluto), il rapporto tra America e Stati Europei ha ancora un peso enorme. Se si pensa che parte della destra statunitense ha concepito la guerra in Iraq come sfida rivolta al continente europeo per il controllo del pianeta, allora rileggere la politica contemporanea anche alla luce di questa relazione sospesa non è idea marginale.

Wim Wenders: note biografiche
Nato a Dusseldorf (Germania) il 14 agosto 1945 da una famiglia borghese, di educazione cattolica (per un breve periodo ha pensato al sacerdozio), dopo gli studi liceali approda alle arti figurative e matura poi la volontà di dedicarsi alla cinematografia. Dopo un tentativo fallito di essere ammesso alla scuola di cinematografia di Parigi, riesce a entrare a quella di Monaco. Inizialmente intenzionato a intraprendere la carriera di critico cinematografico, comincia esperienze nell’ambito del cortometraggio. L’esordio alla regia lo segnala subito come un autore di spessore notevole: le opere successive, tra cui troviamo veri e propri capolavori, saranno più volte premiate (Venezia, Cannes) e anche il successo di pubblico e la sua affezione segnalano un cineasta ormai nella storia del cinema. Dopo un periodo che ha visto – dopo Il cielo sopra Berlino, a parere dei più – un appannamento della vena creativa, Wim Wenders sembra tornato a una capacità di lettura significativa, capace di confrontarsi con temi anche molto impegnativi della contemporaneità.
Sguardo altro
Le espressioni artistiche vivono anch'esse di tale tensione. Se la cultura di matrice nordamericana è considerata per lo più egemone, nel mercato globale e attraverso di esso, quella europea conserva un ruolo più orientato alla qualità, a uno sguardo più acuto, meno superficiale: il patrimonio rappresentato da un passato degno di questo nome sembra ancora capace di fare la differenza. Da sempre considerato uno dei pochi cineasti che si può definire autenticamente “europeo”, libero da provincialismi nazionali, Wim Wenders ha spesso parlato di Nordamerica e vi ha ambientato molte delle sue storie, sempre però con lo sguardo altro di chi è capace di descrivere dall'esterno, con mezzi adeguati all'analisi e alla riflessione. Il suo ultimo film ritorna negli Stati Uniti tenendo conto della storia recente e delle sue fratture, del suo dolore e della sua rimozione di responsabilità.

Due persone diverse
Paul e Lena sono due persone molto diverse tra di loro, pur essendo congiunti. Se lo zio, reduce dal Vietnam con piaghe profonde nell'anima e nel corpo, sprofonda in un delirio persecutorio e percorre Los Angeles con un furgone attrezzato tecnologicamente per sorvegliare e inquisire, la nipote, tornata da un lungo periodo vissuto nel Sud del mondo (in particolare dove la logica del

Wim Wenders: filmografia essenziale
Alice nella città (1973)
Falso movimento (1975)
Nel corso del tempo (1975)
L’amico americano (1977)
Nick’s Movie – Lampi nell’acqua (1980)
Lo stato delle cose (1982)
Paris, Texas (1984)
Il cielo sopra Berlino (1987)
Fino alla fine del mondo (1991)
Così lontano, così vicino! (1993)
Lisbon story (1995)
Buena vista social club (1997)
The million dollar hotel (2000)
The Soul of a man (2003)
conflitto trova un epicentro persistente, la Palestina) decide di vivere la sua identità cristiana ponendosi a servizio dei poveri di un ghetto di una città altrimenti considerata come una delle vetrine scintillanti del potere statunitense, Los Angeles. Incapaci inizialmente di intendersi – la paranoia di Paul non sembra lasciar spiragli di comunicazione –, sarà l'omicidio di un immigrato pakistano a farli incontrare, per un confrontarsi nelle reciproche paure che sfocerà in un viaggio (torna il tema portante della cinematografia di Wim Wenders), attraverso un Paese che continua a pensarsi il centro del mondo, ma che a Ground Zero ha trovato il suo cuore oscuro, una domanda sull'odio che molta parte del mondo gli porta. Nessun complotto muove le fila della storia globale e delle storie urbane, al contrario di quanto pensa Paul: dall'altro lato, l'umanesimo religioso di Lena (da tempo non si vedeva in un film un personaggio in preghiera, esplicitamente cristiano) rappresenta una speranza concreta, che però deve trovare rispondenze e consensi, pena il relegarsi in piccole aree di resistenza alla barbarie, in cui rimanere come assediati (la missione cristiana in cui Lena presta servizio). Neanche la solidarietà ai poveri ha il potere di cambiare molto se non genera consapevolezza e non giunge alla solitudine impaurita di molti, anticamera della violenza.

Poesia del viaggio
Qui il film trova uno schematismo poco convincente (e, appunto, benintenzionato ma un po' eurocentrico) nel descrivere “l'esserci” di Lena, la sua scelta di ripensare la propria identità a fianco dei molti umiliati e impoveriti prodotti dalla terra dell'abbondanza (come la descrive Leonard

Cinema e 11/09/2001
I tempi con cui la cinematografia recepisce l’avvento delle stagioni storiche è variabile: si va dagli istant movies, girati “a caldo”, a fasi, anche di decenni, necessarie per metabolizzare eventi e circostanze. Solitamente un po’ di distacco temporale non guasta, nella rappresentazione per immagini a sostegno della storia. Per gli eventi di New York sembra essere ancora presto, al contrario della letteratura, che ha già presentato alcune riflessioni in merito (si veda, ad esempio, l’antologica Undici settembre. Contro-narrazioni americane, pubblicato in Italia da Einaudi, di vari autori, tra cui Don De Lillo, Jonathan Franzen, Amitav Ghosh, Patti Smith, Laurie Anderson). Il primo film che si è dovuto occupare del settembre 2001 è stato Spiderman di Sam Raimi, che è rimasto fermo in post produzione in modo da poter eliminare una serie di scene ambientate sulle Torri Gemelle. La prima opera sull’accaduto è invece un film a più mani, di autori di nazionalità diversa, intitolato 09/11/2001: undici cortometraggi di undici minuti e nove secondi, che alternano intuizioni notevolissime (in particolare, quelle di Sean Penn e Ken Loach) a passaggi molto più banali. I due ultimi documentari di Micheal Moore, Bowling a Colombine (2002) e Fahrenheit 9/11 (2004), ne parlano diffusamente. L’opera più attenta a inserirne un riferimento in quanto narrato è però sicuramente La 25esima ora di Spike Lee (2002): in una storia che descrive la crisi della socialità statunitense, il dialogo tra due dei protagonisti di fronte a Ground Zero è capace di inserire il fatto in un quadro storico, nel clima di un passaggio, nello spavento di fronte a una serie di incognite, a tutt’oggi ancora aperte.
Cohen nella sua bellissima canzone, su cui scorrono i titoli di coda e da cui lo stesso film trova titolo). Ma non si dubita della sincerità dell'autore, che scaturisce nelle immagini del viaggio verso New York, in cui lo sguardo su un'America che spaventa e che, tuttavia, si vorrebbe amare, si sofferma su paesaggi e persone: mentre il viaggiare sfilaccia, fino a distruggerla, la bandierina a stelle e strisce inalberata sul furgone di Paul. Qui Wim Wenders torna davvero il grande cineasta che ricordiamo; negli ultimi dieci minuti ci regala nuovamente la poesia del viaggio. Senza presunzioni o toni predicatori (che contraddistinguevano le sue ultime opere, in particolare La fine della violenza del 1997), il regista tedesco ci parla di consapevolezze possibili, di una spiritualità che nasce dalla fatica di ripensare il divino a partire dalla sofferenza umana, della speranza che la bellezza (degli esseri umani, al di fuori di ogni idealizzazione, ma ne Lo stato delle cose) sia rintracciata e testimoniata. Una speranza delicata come il volo di un colibrì (una delle scene più belle), ma ancora con le ali spalancate.

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