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Mafia: e la nonviolenza?

A Palermo un laboratorio sui percorsi nonviolenti per il superamento del sistema mafioso. In vista anche un appuntamento nazionale.
Giovanni Abbagnato (Scuola di Formazione Etico-Politica)

È pensabile, anche in un'ottica di stringente realismo, cristallizzare l'elaborazione teorica e la sperimentazione di azioni concrete sul fenomeno mafioso solo in una logica di contrasto investigativo e di repressione militare?
È proponibile in una fase di maturazione, sia pure relativamente avanzata, della cultura autenticamente democratica e partecipativa di un tessuto sociale, continuare a pensare utilizzando solo le, pur necessarie, categorie del contrasto repressivo delle organizzazioni criminali?
Si può immaginare un percorso di superamento del fenomeno attraverso un cammino di profondo rinnovamento umano e culturale di società fortemente caratterizzate come quelle del Meridione d'Italia e di altre aree del mondo?
Queste domande sono solo alcune che, in un laboratorio come quello della città di Palermo, si sono posti alcuni intellettuali, operatori sociali, sacerdoti, insegnanti e altri soggetti accomunati dalla sensibilità ai temi della liberazione dalla violenza e dalla prevaricazione, a qualunque titolo e modo esercitate.

Un gruppo permanente
Quello che ha rappresentato l'occasione per affrontare il nodo che sta all'origine di tali questioni è stato un saggio del sociologo palermitano Vincenzo Sanfilippo che ha avuto il merito, non comune, d'interessare al tema da lui posto – la nonviolenza e la mafia – soggetti portatori di storie e di impostazioni culturali diverse per formazione, provenienza e vissuto esperienziale.
Da qui è nato un gruppo di lavoro a carattere permanente (il progetto-laboratorio “Percorsi nonviolenti per il superamento del sistema mafioso”), impostato su semplici indicazioni riassumibili in alcuni punti di adesione programmatici.
Innanzi tutto, la vocazione assolutamente aperta del gruppo-laboratorio volta ad accogliere e suscitare nuove adesioni di chiunque ritenga di poter dare un proprio contributo alla riflessione e all'elaborazione, a partire dai propri saperi e dalle proprie esperienze.
Poi, la volontà di estendere la riflessione dal livello locale a quello nazionale per giungere a un appuntamento nazionale per la prossima primavera in cui fare incontrare le più significative esperienze e acquisizioni sul tema.
Ancora, non era l'interlocuzione costante con soggetti, pubblici e privati, impegnati nel campo delle istituzioni, dell'intervento sociale, dei servizi socio-assistenziali, d'integrazione socio-culturale, di mediazione penale e di ambiti similari. Questo per un'analisi di “buone prassi” e confronto con i soggetti protagonisti di tali interventi, con disponibilità a condividere sperimentazioni sul campo.
Infine, la diffusione e condivisione pubblica dell'elaborazione sugli argomenti di pertinenza del laboratorio, sia di produzione collettiva che individuale o, anche, di soggetti esterni al gruppo, naturalmente disponibili a tale condivisione (ovviamente, vista la potenziale delicatezza di alcuni dati e di alcune esperienze oggetto d'interesse, il gruppo, valuterà, in ogni occasione e responsabilmente, i termini legali, le metodologie e l'opportunità della diffusione).
Il gruppo ha individuato nel metodo e nella pratica della nonviolenza – dalle esperienze più note e ormai celebri a quelle meno note – una chiave di lettura e di riferimento teorico per il percorso di studio inaugurato.
Più nello specifico, si è provato – a prescindere dalle opinioni personali dei diversi componenti – a iniziare un ragionamento circa la possibilità di traslazione di esperienze nonviolente praticate in diversi ambiti socio-politici per affrontare il tema del superamento del sistema mafioso.
In tale direzione, si è evidenziato come essenziale la condivisione di un approccio sistemico-strutturale che include tuttavia anche gli aspetti psicologici del fenomeno mafioso. Tale approccio è desumibile anche dal combinato tra una definizione di mafia tratta dal testo di Umberto Santino La mafia interpretata. Dilemmi, stereotipi, paradigmi e una riflessione contenuta in un libro-intervista di Michelle Padovani e Giovanni Falcone, Cose di cosa nostra.
Santino, elaborando il paradigma della “complessità mafiosa” definisce la mafia «…. un insieme di organizzazioni criminali, di cui la più importante, ma non l'unica è Cosa nostra, che agiscono all'interno di un vasto e ramificato contesto relazionale, configurando un sistema di violenza e di illegalità finalizzato all'accumulazione del capitale e all'acquisizione e gestione di posizioni di potere, che si avvale di un codice culturale e gode di un certo consenso sociale».
Falcone rispondendo alle domande della Padovani precisa che «…. se vogliamo combattere efficacemente la mafia, non dobbiamo trasformarla in un mostro né pensare che sia una piovra o un cancro. Dobbiamo riconoscere che ci rassomiglia. (…) La mafia, lo ripeto ancora una volta, non è un cancro proliferato per caso su un tessuto sano. (…) È necessario distruggere il mito della presunta nuova mafia, o meglio, dobbiamo convincerci che c'è sempre una nuova mafia pronta a soppiantare quella vecchia».
Due testi indubbiamente diversi per punto di osservazione e finalità, ma che convergono, senza ignorare i fenomeni di effettiva devianza e i loro risvolti sotto i profilo penale, in un pensiero che non può che estendere la “complessità” all'intero corpo sociale.

La mafia ci appartiene
Questa acquisizione è messa a confronto anche con l'elaborazione di un gruppo di psicologi, facenti capo al laboratorio di gruppo-analisi di Palermo, che rappresentano la mafia come «manifestazione di processi mentali i quali si rendono visibili sotto forma di comportamenti che hanno conseguenze sociali, politiche, economiche», che hanno cominciato a prendere parte al neonato laboratorio.
Possiamo fin d'ora individuare un campo di elaborazione e intervento abbastanza promettente che, come si diceva, punta ambiziosamente – al di là del contrasto attuale – a un superamento della mafia che, può essere utile ricordare, veniva definita da Giovanni Falcone «un fenomeno storico che, come tutti i fenomeni storici, ha avuto un inizio e avrà una fine».
Questa confortante previsione è certamente condivisibile, ma tanti uomini e donne, e Giovanni Falcone sicuramente tra questi, hanno dimostrato con il loro impegno appassionato che questa tendenza “naturale” va tenuta presente, non certo in una logica attendista, ma in un'ottica d'impegno dinamico e soprattutto di liberazione da stereotipi e preclusioni ideologiche di qualsiasi natura.
La mafia, purtroppo, ci appartiene, non solo come siciliani, ma come cittadini di un mondo interessato da notevoli fenomeni di diffusione di

Per contattare il Progetto-Laboratorio
Il testo del documento è consultabile in questo sito (la rivista aderisce all’appello), nella sezione “Documenti”, all’indirizzo:
http://italy.peacelink.org/mosaico/articles/art_4639.html.
Da consultare anche il sito del Centro Siciliano di Documentazione “Giuseppe Impastato” http://www.centroimpastato.it dove, oltre al documento, è possibile scaricare anche i testi di V. Sanfilippo e A. Cavadi sull’argomento.
Nuove adesioni e richiesta di informazioni sulle future iniziative vanno indirizzate all’indirizzo: v.sanfi@virgilio.it
criminalità organizzate, sempre più lanciate sulle direttrici, principali e secondarie, della globalizzazione economica.
Pertanto, eventuali interventi per il superamento di modelli socio-culturali di riferimento delle mafie, devono essere supportati da strumenti sensibili per affrontare fenomeni locali con grande capacità relazionale anche in campo internazionale, abbandonando metodologie e ambiti di elaborazione scientificamente troppo angusti, specialmente in tempo di globalizzazione.
È nettamente affermato nel documento-manifesto dell'iniziativa che non s'intende misconoscere e considerare superate le forme storiche dell'impegno anti-mafia che, tra l'altro, è parte importante dell'esperienza della gran parte dei componenti del gruppo di lavoro.
Si tratta di includere una visione in cui aggiungere all'esecrazione, al rifiuto incondizionato e al contrasto concreto di determinati comportamenti – inaccettabili sul piano morale e di grave rilevanza penale – anche un tentativo di aggancio con l'umanità che è presente in ciascun soggetto e di condivisione della corresponsabilità di tutti i componenti di un tessuto sociale.
Il percorso di elaborazione non parte da alcuna deriva giustificazionista, come non disconosce le responsabilità individuali, né fa confusione con strumenti di collaborazione previsti dalla vigente normativa, assai impropriamente nota come legislazione sul “pentimento” di affiliati a organizzazioni mafiose, ma che, in realtà, non implica, necessariamente, alcun percorso di profonda dissociazione di natura etica e morale.
È, invece, sicuramente un tentativo di trovare le ragioni di un dialogo anche con chi dimostra, a prescindere da qualsiasi tipo di premialità, di volere prendere le distanze da un passato di appartenenza mafiosa o di oggettiva contiguità e, di contro, può rappresentare la possibilità di interpretare, con adeguati strumenti, comportamenti subdoli e interessati a false dissociazioni.
Attualmente il gruppo è impegnato in un lavoro di ricognizione e approfondimento di esperienze che già muovono dalle stesse premesse e finalità del progetto e nella previsione e nella realizzazione di una serie di incontri con “testimoni privilegiati” attivi nell'ambito delle istituzioni e del mondo del volontariato sociale.
Il progetto-laboratorio si basa su elementi di forte condivisione, ma anche sulla consapevolezza che niente e nessuno sarà distolto dalle attività che, sia pure in modo – probabilmente – non adeguatamente coordinato, vengono utilmente svolte a Palermo e in ambiti più ampi.
Più semplicemente si tratta di aggiungere, nel solco dell'insegnamento di Aldo Capitini, una visione particolare capace di anticipare una società nonviolenta.

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