DIRITTI UMANI

Quelle violenze made in USA

Da sempre gli Stati Uniti interpretano a modo loro i trattati internazionali. Ma con la “guerra al terrore” le cose sono molto peggiorate.
Dall’Afghanistan a Guantanamo.
Intervista di Cristina Mattiello

Antonella Colavita e Maximiliano Ferro fanno parte del Coordinamento Nord America e Caraibi della Sezione Italiana di Amnesty International. All’interno di tale struttura si occupano delle violazioni dei diritti umani negli Stati Uniti, delle conseguenze degli attentati dell’11 settembre 2001 sul rispetto dei diritti umani in quel Paese e ovunque operino le forze armate statunitensi e recentemente della vicenda dei prigionieri di Guantanamo.

In un recente documento Amnesty International ha ancora una volta denunciato l’allarmante caduta dei livelli delle garanzie giuridiche negli Stati Uniti dopo l’11 settembre rilevando che, ormai, si è creato un vero e proprio “sistema di giustizia parallelo” che, in nome della cosiddetta “guerra al terrore”, consente all’esecutivo poteri repressivi amplissimi. Che cosa è successo esattamente all’interno del Paese, sul piano dei diritti, dopo l’attentato alle Torri gemelle? E da quel momento a oggi?
Il governo USA ha reagito ai tragici attentati dell’11 settembre 2001 muovendosi sia sul fronte interno sia su quello esterno. Nelle settimane immediatamente seguenti agli attacchi, più di 1200 persone, in gran parte cittadini stranieri di origine mediorientale o di religione musulmana, sono state arrestate in tutto il Paese.
Molti di loro hanno subito abusi, sono stati detenuti in incommunicado o senza accuse per molte settimane, senza che fosse consentito loro di avere un avvocato o un contatto con i familiari. Sono state promulgate leggi che limitano le libertà civili, forniscono poteri eccezionali all’esecutivo e alle forze dell’ordine e che colpiscono con maggiore rigore i cittadini stranieri e i richiedenti asilo. All’estero, l’amministrazione Bush ha condotto due conflitti armati, in Afghanistan e Iraq, funestati da diversi episodi poco chiari e da abusi e violenze contro i civili inermi. In seguito alle operazioni militari sono stati catturati diversi prigionieri, considerati “combattenti nemici”, a cui non sono stati garanti ti i diritti sanciti dalle Convenzioni di Ginevra e dagli standard giuridici internazionali. In tutto il mondo gli USA hanno promosso o supportato l’arresto di diverse persone secondo procedure non legali.
Nel complesso la “guerra al terrore” è stata condotta anche mediante arresti arbitrari, detenzioni in incommunicado per lunghi periodi, detenzioni in località segrete, interrogatori senza la presenza di avvocati, maltrattamenti e torture, esecuzioni extragiudiziali, violenze indiscriminate a danni di civili, negazione dei diritti processuali e dell’habeas corpus, lunghe prigionie senza accusa e la minaccia di processi illegali di fronte a commissioni militari speciali.

Anche nei rapporti con l’esterno l’11 settembre ha segnato un netto peggioramento: la tradizionale reticenza degli Stati Uniti ad accettare principi di diritto internazionale ampiamente riconosciuti è diventata in molti casi un aperto disprezzo di qualsiasi limitazione alla propria libertà d’azione. Quali sono i punti più problematici?
Tradizionalmente gli Stati Uniti si riservano di appoggiare, interpretare e rispettare i trattati internazionali in materia dei diritti umani a proprio piacimento. Rientrano in questo atteggiamento le riserve e le eccezioni manifestate nei confronti della Convenzione per i Diritti Civili e Politici, il poco rispetto della Convenzione di Vienna sui diritti dei cittadini stranieri o della Convenzione contro la Tortura, la mancata ratifica della Convenzione sui Diritti del Fanciullo, l’opposizione al Tribunale Penale Internazionale. In generale gli USA sono poco propensi a farsi giudicare da organismi internazionali. Dopo gli attentati dell’11 settembre, per eliminare ogni possibile ostacolo alle azioni intraprese contro terroristi e “Stati canaglia”, questa tendenza si è ulteriormente acuita.
Per evitare che propri militari e funzionari potessero essere processati per crimini contro l’umanità, il governo di Washington ha avviato una campagna per ottenere accordi bilaterali con Paesi firmatari e non del trattato per l’istituzione del Tribunale Penale Internazionale allo scopo di evitare estradizioni o incriminazioni.

I diritti umani negli Stati Uniti
Anche prima dell’11 Settembre Amnesty International e le associazioni per la tutela delle libertà civili avevano ripetutamente rilevato una discrepanza tra un quadro legislativo formalmente rispettoso dei diritti e la realtà dei fatti.
Sono migliaia ogni anno le denunce di comportamenti gravi delle forze dell’ordine, soprattutto nei confronti delle minoranze:
Uso eccessivo della forza e delle armi da fuoco durante gli arresti
Abusi e maltrattamenti nelle stazioni di polizia
Utilizzazione sempre più diffusa delle cosiddette “armi non letali”, tra cui lo spray al pepe oleoresinoso, che provoca ustioni anche gravi, dispositivi chimici atti a stordire o immobilizzare, armi elettriche (scudisci, , uncini collegati a filo percorso da corrente ad alto voltaggio), procedure di costrizione pericolose (come l’ hogtying, una sorta di incaprettamento in cui le caviglie vengono legate ai polsi da dietro le spalle)
Molti i casi di morte seguiti a questi trattamenti
In continuo peggioramento risulta la situazione nelle carceri, anche in seguito alla privatizzazione di moltissimi istituti di pena:
Aumento esponenziale del numero dei detenuti, oggi oltre due milioni, di cui almeno la metà appartenenti a minoranze, soprattutto neri
Violenze fisiche e sessuali diffuse
Largo uso di mezzi fisici di costrizione, con casi limite di ammanettamenti e incatenamenti collettivi e lavoro forzato
Nessuna tutela particolare per minorenni, malati di mente e donne, anche in gravidanza (spesso le manette non vengono tolte neanche durante il parto)
Punizioni corporali anche pesanti (cinture elettriche comandate a distanza, spray chimici, ecc.) per le minime infrazioni
Condizioni estreme di isolamento anche per lunghi periodi
È noto, infine, il problema della sussistenza della pena di morte:
In vigore in 38 Stati
Più di 800 condanne eseguite dallo sblocco della moratoria nel 1977
Utilizzazione crescente: una media di un’esecuzione ogni 5 giorni negli ultimi 3 anni
Applicazione, in violazione agli standard internazionali, anche a minorenni e malati di mente
Scarsa garanzia e in alcuni casi assenza di tutela giuridica adeguata e processi equi
Evidente uso discriminatorio nei confronti dei neri e delle minoranze in genere
Condizioni di detenzione inumane nei “bracci della morte”
C.M.
Per ottenere il proprio scopo gli USA non hanno esitato a minacciare le nazioni “incerte” di sospendere aiuti e supporto militare. Altro motivo di preoccupazione per la comunità internazionale è sicuramente Guantànamo, dove oltre 600 persone sono tenute al di fuori di ogni giurisdizione senza alcun diritto, neanche quello di essere “prigionieri di guerra” o almeno imputati di qualcosa.
Tra loro ci sono anche alcuni minorenni. Inoltre il Military Order, voluto da Bush nel novembre 2001, predispone l’istituzione di commissioni militari speciali, non veri tribunali, per processare i sospetti terroristi in aperta violazione a ogni trattato internazionale. Le persone giudicate rischieranno la pena di morte senza possibilità di chiedere appello. Questa situazione eccezionale viola anche i principi della stessa costituzione USA e i fondamenti della giustizia americana.

Guantànamo, quindi, come vero e proprio vulnus nel diritto occidentale….
Guantànamo costituisce forse l’esempio più lampante di quel sistema di giustizia “parallelo”, lontano dagli occhi e dalle critiche della comunità internazionale ed esente da qualsiasi controllo giudiziario interno, posto in essere dal governo americano nell’ambito della sua “guerra al terrore”; un sistema in cui l’esecutivo ha il potere di trattenere in detenzione, interrogare, accusare e processare, secondo le leggi di guerra e nella totale inosservanza delle più basilari garanzie processuali, individui sospettati di essere coinvolti in attività terroristiche o in “qualsiasi attività che metta in pericolo la sicurezza nazionale degli USA”.
Più di 650 persone di circa 40 diverse nazionalità, inclusi minorenni, continuano a essere reclusi presso la Base Navale di Guantànamo Bay a Cuba, senza accusa né processo, fuori dalla giurisdizione dei tribunali americani e nell’impossibilità di contestare la legittimità della propria detenzione. Molti di loro sono trattenuti in detenzione da più di un anno in condizioni crudeli, inumane e degradanti.
È stato negato loro qualsiasi accesso a familiari e ad assistenza legale; tutto viene costantemente svolto in un regime di segretezza senza precedenti. Inoltre, nonostante si tratti soprattutto di individui catturati nell’ambito delle operazioni militari in Afghanistan, nessuno di loro è stato formalmente riconosciuto prigioniero di guerra, con la conseguente negazione di tutte le garanzie che tale status comporta, né è stato permesso che un tribunale competente deliberasse in materia, come previsto dalle Convenzioni di Ginevra. A peggioramento di una situazione già di per sé gravissima, lo scorso 3 luglio, sono stati resi pubblici i piani dell’esecutivo di processare sei detenuti di fronte a commissioni militari, come previsto dal Military Order, ratificato dal Presidente Bush nel Novembre del 2001.
Ciascuno di questi processi costituirebbe una palese violazione delle norme internazionali relative ad un equo processo. Le commissioni militari, infatti, ignorerebbero espressamente le abituali regole di presentazione delle prove e le salvaguardie proprie del sistema giudiziario americano e avrebbero il potere di operare in segreto e di pronunciare sentenze di morte, non appellabili di fronte a una corte più alta. Il sistema delle commissioni militari, inoltre, sarebbe interamente sotto il controllo dell’esecutivo e applicabile esclusivamente a cittadini stranieri, contravvenendo così al principio di non discriminazione.

Amnesty International ha anche rilevato come l’atteggiamento americano abbia provocato, come in una reazione a catena, un peggioramento generale della situazione dei diritti umani. Quali sono i principali problemi riscontrati? Quali le aree geografiche maggiormente interessate?
Dopo gli attacchi a New York e Washington molti Paesi nel mondo hanno approvato leggi o varato misure di emergenza per intraprendere la propria “guerra al terrore”. I risultati sono stati deleteri per tutto il sistema di protezione internazionale dei diritti umani e hanno portato a una recrudescenza degli abusi e delle violazioni. Paesi tradizionalmente rispettosi dei diritti umani e civili come Spagna, Canada e Regno Unito hanno adottato legislazioni fortemente re strittive dei diritti dei cittadini stranieri sospettati di terrorismo; altri hanno colto l’occasione per colpire con maggior forza i gruppi di opposizione: questo è il caso della Cina, che ha condotto un vero e proprio giro di vite nei confronti dei separatisti dello Xinjiang Uighur imprigionati a migliaia e giustiziati a centinaia; della Russia per quanto riguarda la Cecenia oppure della Turchia dove molte persone arrestate sono state vittime di tortura o anche della Colombia che ha ottenuto cospicui finanziamenti dagli USA per combattere guerriglia e narcotraffico.
Molti stati che avevano problemi con il terrorismo di matrice islamica hanno dato il via libera a ondate di abusi contro gli individui sospettati di appoggiarne la causa. Si sono comportati in questo modo Israele, Egitto, Indonesia, Filippine o Malaysia. Indonesia e Filippine stanno per questo motivo ottenendo fondi, armi e supporto dagli Stati Uniti. Il governo Indonesiano sta usando questi aiuti anche contro i separatisti della regione di Aceh, dove da tempo sono in corso violenze. Il Segretario di Stato USA, Colin Powell, ha affermato che “gli Stati che dimostrano un alto livello di rispetto dei diritti umani sono quelli che più facilmente potranno contribuire alla sicurezza e al benessere internazionale”: fino a quando gli USA, e i Paesi loro “amici” o emuli, non rispetteranno i diritti di tutti gli individui non si potranno risolvere i problemi che stanno alla radice del terrorismo, ma si pianteranno nuovi semi di violenza.

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