“Rimetti la spada nel fodero”

4 marzo 2004 - Don Renato Sacco

Una lettera aperta inviata da don Renato Sacco al Direttore de Il nuovo Torrazzo, settimanale diocesano di Crema, dopo la pubblicazione su tale ultimo giornale dell’editoriale che riportiamo di seguito.

Signor Direttore, le scrivo in merito al suo editoriale dello scorso 21 febbraio: Iracheni nel pozzo. Innanzitutto la ringrazio per aver citato la presa di posizione di Pax Christi di cui sono consigliere nazionale.
Lei ha ragione quando afferma che in Iraq “abbiamo una popolazione che ha bisogno (ed essa stessa lo chiede) di chi l’aiuti a uscire dal pozzo della miseria, della guerra civile, degli attentati, del terrorismo”.
Pax Christi non ha la presunzione di avere la verità in tasca, né l’unica interpretazione autentica del Vangelo. Certo è che nel Vangelo c’è un totale rifiuto della violenza, anche per legittima difesa, ‘rimetti la spada nel fodero’. Su questo credo non ci siano dubbi, anche ripensando al Vangelo della scorsa domenica, Luca cap. 6. Certo che non è facile, ma è compito di tutti i credenti tradurre e non travisare il Vangelo. Quante guerre abbiamo benedetto! Quanta violenza, in nome di Dio!
Interessante mi sembra quanto scrive il Papa nel messaggio Educare alla Pace, del 1 gennaio scorso: “I Governi democratici ben sanno che l'uso della forza contro i terroristi non può giustificare la rinuncia ai principi di uno Stato di diritto. Sarebbero scelte politiche inaccettabili quelle che ricercassero il successo senza tener conto dei fondamentali diritti dell'uomo: il fine non giustifica mai i mezzi!
Lei cita l’affermazione di Gesù: “Se un asino o un bue gli cade nel pozzo, non lo tirerà subito fuori nel giorno di sabato?” (Lc 14, 5).
Mi sembra molto azzeccato parlare di pozzi… Viene fin da pensare che dietro a tutto questo gran darsi da fare per la povera gente irachena non ci sia tanto la voglia di risollevare chi è in fondo al pozzo, ma di appropriarsi di quello che c’è nel pozzo: il petrolio. Non le pare?
Chi Le scrive è stato 5 volte in Iraq, l’ultima lo scorso novembre. Non mi sembra che ci sia stato grande interesse per aiutare la gente irachena negli anni passati quando Saddam era amico dell’Occidente e anche dell’Italia: armi, supercannone, mine, tutte cose che il Dittatore usava contro la gente già in fondo al pozzo ma che per noi erano fonte di grandi guadagni. Ed è significativo, e certamente il Suo giornale ne avrà parlato, che mentre era in corso questa guerra e tante altre dimenticate, i nostri parlamentari abbiano modificato la legge 185/90 sull’export di armi italiane, aumentando di fatto la possibilità di vendere armi made in Italy nel mondo. Non credo questo aiuti le persone a uscire da nessun pozzi, se non quello degli affari per chi le vende! Possibile che l’unico modo per aiutare qualcuno è quello degli eserciti e delle armi: dall’Iraq, all’Afghanistan al Kossovo, alla Bosnia?
Perché non si prova a investire anche solo una piccola parte di quanto si spende per gli eserciti, per altre attività non esclusivamente di guerra? Il rifinanziamento della missione italiana in Iraq costa oltre 200 milioni di Euro, la quasi totalità di questi soldi serve per finanziare la nostra presenza. Se poi pensiamo che nelle scorse settimane c’è stata in Kuwait una fiera della ricostruzione in cui l’Italia era ben rappresentata, viene da pensare che più che l’aiuto a chi è nel pozzo si miri ai propri interessi.
Lei dice che questa guerra è stata ‘un grave errore’ (giudizio abbastanza morbido se confrontato con quanto affermò il Papa appena iniziati i bombardamenti “Chi decide che sono esauriti tutti i mezzi pacifici che il Diritto Internazionale mette a disposizione si assume una grave responsabilità di fronte a Dio, alla sua coscienza e alla storia” ).
Poi scrive ‘potremo sventolare le bandiere arcobaleno, metteremo a posto le nostre coscienze per aver “osservato” scrupolosamente “la legge della pace”. Ma la gente morirà e diverrà preda dei distruttori del loro Paese. Insomma, lasciare gli iracheni nel pozzo in un nome di un pacifismo utopico, francamente mi pare farisaico.’
È molto pesante il suo giudizio. Dobbiamo accusare di fariseismo anche il Papa per quello che detto? Anche la rivista Civiltà Cattolica che ha affermato che il terrorismo è aumentato anche a causa della guerra? Anche chi da anni lavora in Iraq, e c’è rimasto anche durante i bombardamenti, come l’Ass,ne ‘Un ponte per..’? Anche tutto il mondo missionario che ha condannato questa guerra come tutte le guerre e le vendite di armi, ma non mi sembra possa essere accusato di abbandonare la gente nel pozzo? Quanti missionari vengono uccisi senza la retorica politica e mediatica che ha accompagnato l’uccisione dei nostri a Nassiriya, morti nell’illusione di poter diventare operatori di pace.? Dobbiamo accusare di fariseismo anche chi si è battuto contro la guerra in Bosnia ed è stato ucciso, nel ‘93, proprio per essere accanto alla gente, come alcuni miei amici: Guido, Fabio, Sergio, Gabriele?
Ringraziandola per l’ospitalità, La saluto e concludo citando il vescovo ausiliare di Sarajevo, mons. Pero Sudar, una voce non sospetta e nemmeno farisaica. Uno che nel pozzo c’è stato con la sua gente e continua a starci. Scrive nel marzo 2003: “
“La guerra nella mia Patria e le sue tragiche conseguenze mi hanno costretto ad immaginare il corso della storia senza le guerre, con cui si intendeva combattere le ingiustizie ed abbattere i sistemi ingiusti. Riconosco di essere stato convinto anch’io che l’uso della violenza sia utile e necessario quando si tratta della libertà dei popoli. Dopo aver visto e vissuto da vicino che cosa vuol dire la guerra di oggi, non la penso più così. Sono profondamente convinto, e lo potrei provare, che l’uso della violenza ha portato sempre un peggioramento.”
“… Tutto questo obbliga la Chiesa a farsi segno di contraddizione e ad unire la sua voce a tutte quelle che gridano la pace anche nelle condizioni che, a prima vista, postulerebbero la guerra... Occorre applicare letteralmente il monito di Cristo rivolto a Pietro che con la spada voleva proteggere la vita del Giusto e dell’Innocente:…basta così! (lc.22,5) . Oggi l’unica scelta della Chiesa è la nonviolenza, perché questa è l’unica strada, magari lunga e sofferente, alla pace che viene garantita dalla giustizia”.

Cesara, 24 febbraio 2004

d. Renato Sacco
Consigliere Nazionale Pax Christi
Parroco

Il nuovo Torrazzo, settimanale cattolico cremasco di informazione
Sabato 21 febbraio 2004 - Editoriale

Iracheni nel pozzo

Mercoledì il Senato ha detto sì alla proroga delle missioni di pace dell’esercito italiano, compresa quella in Iraq.
Compatta la maggioranza, mentre gran parte della minoranza (Ds, Margherita e Sdi) è uscita dall’aula, permettendo il via libera senza un diretto coinvolgimento.
[…] Mi preme affrontare la decisione da un punto di vista cristiano. Come è noto anche nel variegato mondo cattolico, diverse sono le posizioni. […]
Pax Christi, ad esempio, in una lettera aperta del 10 febbraio invita i parlamentari a votare contro perché “ritirare le truppe italiane dal suolo iracheno possa costituire un segnale importante per accelerare il passaggio del controllo della situazione alla sovranità dell’Onu. Sarebbe questa una scelta che rafforza la pace fondata nell’osservanza del diritto internazionale”.
Da parte loro padre Alex Zanotelli e don Luigi Ciotti hanno firmato insieme a Gino Strada un manifesto appello ai parlamentari dell’Ulivo in cui si chiede di votare contro la proroga: “chi non è portatore di questa richiesta – scrivono – non appartiene al Movimento per la Pace” .
Sta qui la vera posizione “evangelica”? Io mi permetto di dissentire, anche se so quanto difficile sia tradurre d vangelo nella realtà. Leggendo i citati interventi mi è venuta in mente l’affermazione di Gesù: “Se un asino o un bue gli cade nel pozzo, non lo tirerà subito fuori nel giorno di sabato?” (Lc 14, 5).
La guerra in Iraq è stato un grave errore, ma ora - dopo l’errore – abbiamo una popolazione che ha bisogno (ed essa stessa lo chiese) di chi l’aiuti a uscire dal pozzo della miseria, della guerra civile, degli attentati, del terrorismo, che rema contro un futuro democratico. Ritirarsi dall’Iraq significherebbe abbandonare un popolo a un probabile destino di morte.
Certo, potremo sventolare le bandiere arcobaleno, metteremo a posto le nostre coscienze per aver “osservato” scrupolosamente “la legge della pace”. Ma la gente morirà e diverrà preda dei distruttori del loro Paese. Insomma, lasciare gli iracheni nel pozzo in un nome di un pacifismo utopico, francamente mi pare farisaico. Naturalmente la missione deve essere di pace, l’Onu deve prendere in mano al più presto la situazione, si dovrà arrivare – in tempi ragionevoli – a libere votazioni. Solo così tireremo fuori davvero gli iracheni dal pozzo.

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