ALTERNATIVE

Inseguire gli USA

Il rischio per l’Unione Europea: mettersi al traino dell’amministrazione Bush anche sui temi della pace e della difesa.
Sergio Andreis

C’è chi, anche nel nostro Paese, rincorre il sogno (abbastanza realistico, in realtà) della creazione di un “Corpo civile di pace” a livello europeo, secondo il desiderio di Alex Langer. Nel giugno scorso un Forum svoltosi a Bologna ha cercato di fare il punto sull’iniziativa che vede coinvolti vari gruppi e associazioni. Iniziative come questa sono importanti e vanno incoraggiate e sostenute, se non altro perché rappresentano l’elaborazione di una speranza. La speranza che possa concretizzarsi un’alternativa all’uso delle armi per risolvere i conflitti. Certo è che chi decide, anche in Europa, sembra andare in tutt’altra direzione: basta aver seguito i lavori della Convenzione sul futuro dell’Europa e aver letto il testo proposto per il Trattato costituzionale su cui dovrebbe fondarsi l’Unione Europea allargata per rendersi conto che quello che si rischia, anche in questo settore, è di mettersi al traino dell’amministrazione Bush.

Un nuovo impulso per l’UE
Particolarmente pericolosa è la proposta del presidente francese Chirac, ma che è stata fatta nel frattempo propria anche da altri Paesi dell’Unione, di escludere le spese militari dal “Patto di Stabilità”: approvarla equivarrebbe a dare il via libera a un nuovo riarmo europeo. Voler colmare il divario USA/UE nel settore militare rincorrendo gli USA sul loro terreno, quello della crescita esponenziale della spesa per gli armamenti, supposto che sia possibile, per l’Europa, in termini di risorse disponibili, sarebbe suicida per le speranze che l’Unione ha saputo far nascere sulla scena globale.
Non dobbiamo voler colmare questo divario, dobbiamo saper sviluppare alternative praticabili alle armi. Che come si sa uccidono anche senza che vengano usate. È questione di volontà politica, non esistono più vincoli di tipo tecnologico che possano funzionare da alibi. Si tratta di convincere e convincersi che la guerra-fuori-dalla-storia non è più un’utopia. All’indomani del fallimento del vertice europeo di Nizza, la Fondazione Heinrich Böll, vicina ai Verdi tedeschi, ha riunito un gruppo di persone dei diversi Paesi del nostro continente per elaborare proposte politiche che potessero rilanciare l’Unione Europea, lacerata dalle spinte nazionaliste nei giorni delle riunioni sulla Costa azzurra. Il risultato, dopo circa otto mesi di lavoro con momenti di approfondimento di tipo seminariale, è stato il documento “Una visione verde per un’Europa integrata: oltre il fallimento di Nizza, un nuovo impulso per l’Unione” che, sebbene pubblicato nell’agosto del 2001, conserva ancora un’attualità fondamentale viste le difficoltà che la stessa Unione si trova ad affrontare attualmente.
Cinque sono le proposte avanzate nel documento (reperibile in tre lingue all’indirizzo: http://www.boell.de/en/04_thema/1660.html), destinato all’attenzione dei diversi partiti verdi europei, per quanto riguarda la politica estera e di sicurezza dell’UE.

Europa senz’armi
Il Forum Verso i Corpi Civili di Pace (CCP): per una politica europea non armata, che si è tenuto a Bologna nel giugno scorso, ha deciso la costituzione di una rete di associazioni e ONG che intervengono nelle zone di conflitto esercitando funzioni di prevenzione, di interposizione e di diplomazia popolare. Il comunicato stampa conclusivo del Forum ricorda che la rete vuole creare una sinergia tra le organizzazioni che:
- faciliti il lavoro delle organizzazioni aderenti;
- ·sostenga i volontari/e nel lavoro sul campo;
- reperisca i fondi per sostenere la ricerca, la formazione e l’azione;
- acquisisca le relazioni dei monitoraggi dei volontari/e sul campo e ne dia diffusione presso la società civile, i media e le istituzioni italiane e internazionali;
- metta in comune le conoscenze teoriche e pratiche sul tema;
- operi per promuovere i contatti con i coordinamenti già esistenti sia a livello europeo che internazionale.

Nei lavori del Forum inoltre, è stata ribadita la necessità di ottenere un riconoscimento istituzionale dell’utilità del lavoro dei volontari di pace in zona di conflitto.
Come primo passo il Forum ha lanciato una campagna volta a ottenere la possibilità per i volontari dell’astensione dal lavoro per un periodo di tre mesi avendo garantito il posto di lavoro, come già avviene per la legge sulla protezione civile.
È stata inoltre inviata una lettera al Presidente del Consiglio dei Ministri e al Presidente della Repubblica che richiama la necessità di inserire il tema dei CCP, collocandolo nella sua giusta luce, nella Carta Costituzionale Europea.
Anzitutto, la promozione della democrazia e dei diritti umani attraverso l’attivazione di tutti gli strumenti disponibili per l’Unione. In secondo luogo, il forte contributo allo sviluppo sostenibile globale, con lo scopo della riduzione delle drammatiche disuguaglianze ancora oggi esistenti fra nazioni e popoli. Seguono altri due punti: a) il rafforzamento degli strumenti di prevenzione dei conflitti e della gestione civile delle crisi internazionali; b) l’eliminazione di tutte le armi di distruzione di massa presenti nei territori di tutti gli Stati membri dell’Unione europea. E infine il documento richiamava l’urgenza di un’iniziativa dell’Unione in favore del disarmo globale, con controlli più rigidi di quelli attuali sulla produzione di armamenti e sul commercio internazionale delle armi.

Investire sulla pace
L’esperienza della Fondazione Böll, cui ho avuto la fortuna di prendere parte, è stata interessante sia dal punto di vista metodologico che per i contenuti elaborati. Metodologicamente ha risposto all’esigenza di un aggiornamento costante non solo per gli accademici, ma anche per chi, come i politici verdi, deve prendere decisioni e fare proposte all’interno delle istituzioni. Un’abitudine non molto di moda in Italia, con i risultati che sono sotto gli occhi di tutti. In un settore come quello delle politiche di difesa, poi, dove l’innovazione tecnologica impone costantemente nuovi sistemi d’arma, non studiare significa condannarsi all’irrilevanza. Avremmo bisogno anche nel nostro Paese di strutture fisiche permanenti di ricerca e formazione sui temi della pace e della guerra, sul modello degli istituti di ricerca sulla pace nati in Scandinavia, e che poi si sono diffusi in gran parte del mondo, ma che, al di là di nicchie pregevoli, non sono in grado di influenzare il dibattito generale in Italia.
Per quanto riguarda invece i contenuti, le proposte elaborate dal gruppo di lavoro indicano tre linee di tendenza ineludibili se si vogliono sviluppare relazioni internazionali con più pace e meno armi. Anzitutto, l’aumento o la diminuzione degli armamenti prodotti e consumati nel nostro pianeta dipendono dalla democratizzazione nei rapporti all’interno degli stati e fra gli Stati. Infatti, le dittature o i regimi non democratici favoriscono le spinte al riarmo e l’imbarbarimento dei rapporti internazionali, del quale l’uso delle armi è uno degli indicatori più espliciti.
Un secondo assunto è che la pace è sviluppo sostenibile: la violenza delle armi, quella della povertà e la distruzione dell’ambiente sono facce della stessa medaglia. Possiamo vivere da privilegiati perché ci sono i milioni costretti a vivere sotto la soglia di povertà. La mancata redistribuzione delle risorse disponibili aumenta la probabilità di conflitti armati, da un lato per difendere privilegi insostenibili rispetto ai limiti dello sviluppo, e dall’altro per ristabilire umanità negate. Infine, urge sostituire la modalità armata con quella civile nell’affrontare, idealmente prevenendoli, i conflitti. Una necessità resa sempre più urgente dai livelli di distruzione raggiunti dalle tecnologie militari – sempre più a doppio uso (dual use) e sempre più difficili da governare – e che non può non passare attraverso decisi processi di disarmo.
Il dominio delle armi va ben oltre il ristretto ambito militare e anche nelle riunioni preparatorie alla stesura del documento della Fondazione Böll è stato più volte sottolineato come la militarizzazione delle nostre società sia molto di più di un rischio, con meccanismi decisionali e di controllo sulla ricerca e l’informazione gerarchici e limitati a circoli ristretti. Anche per questo, la partecipazione costituisce un antidoto da valorizzare e il Forum di Bologna ne è stato un esempio che speriamo riuscirà a moltiplicare i suoi effetti.

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