CHIESA

La democrazia di Benedetto

Davanti all’Assemblea dell’Episcopato latinoamericano il Papa ha detto una cosa importante: “Il metodo di lavoro della Chiese deve essere fedele allo spirito di collegialità”.
20 luglio 2007 - Rosario Giuè

Del viaggio del Papa Benedetto XVI in Brasile è stato detto di tutto: che sarebbe stata la sua una presenza lontana dalla realtà, incapace di comprendere la situazione di quel continente, che non avrebbe sposato appieno la causa dei poveri, che non avrebbe incoraggiato il cammino delle comunità di base. Si è detto che avrebbe fatto più un discorso dottrinale, che avrebbe ignorato il tema dei segni dei tempi.
Per quanto mi riguarda vorrei invitare a considerare un tema che, invece, è stato dimenticato dai media e che è sfuggito a molti e che invece è stato presente in uno degli interventi di Benedetto XVI in Brasile: quello della collegialità nella Chiesa.

Collegialità nella Chiesa
Si tratta di una questione che il Papa aveva già indicato all’inizio del suo ministero petrino. Ora il Papa ha ripreso quel tema nel corso dell’omelia nella messa per l’inaugurazione della V Conferenza Centrale dell’Episcopato Latinoamericano e dei Caraibi tenuta domenica 13 maggio. Lì, nella spianata del Santuario di Aparecida, Benedetto XVI si è soffermato a commentare la prima lettura, nella sesta domenica del tempo pasquale, tratta dagli Atti degli Apostoli (cap. 15). Quella lettura fa riferimento al Concilio di Gerusalemme. Così si esprime il Papa: il testo “fa riferimento al cosiddetto ‘Concilio di Gerusalemme’, che affronta la questione se ai pagani diventati cristiani si dovesse imporre l’osservanza della legge mosaica. Il testo, saltando la discussione tra ‘gli apostoli e gli anziani’ (vv. 4-21), riporta – spiega il Papa – la decisione finale, che viene messa per iscritto in una lettera e affidata a due delegati, perché la rechino alla comunità di Antiochia (vv. 22-29).
Questa pagina degli Atti – commenta Benedetto XVI – è molto appropriata per noi, che pure siamo qui convenuti per una riunione ecclesiale. Ci richiama il senso del discernimento comunitario intorno alle grandi problematiche che la Chiesa incontra lungo il suo cammino e che vengono chiarite dagli “apostoli” e dagli “anziani” con la luce dello Spirito Santo (…).
I capi della Chiesa discutono e si confrontano, ma sempre in atteggiamento di religioso ascolto della Parola di Cristo nello Spirito Santo. Perciò alla fine possono affermare: “Abbiamo deciso, lo Spirito Santo e noi” (At. 15,28). Questo è – conclude papa Benedetto – il “metodo” con cui operiamo nella Chiesa, nelle piccole come nelle grandi assemblee.
Non è solo – precisa il Papa – una questione di procedura; è il riflesso della natura stessa della Chiesa, mistero di comunione con Cristo nello Spirito Santo”.
Ho voluto riportato questa parte dell’omelia del 13 maggio nella sua integrità così che ciascuno possa considerarla con calma. A me appare un testo di significativa audacia sulla questione dell’esercizio del potere nella Chiesa. Direi che qui è descritto il “metodo” democratico che deve essere usato nella Chiesa per prendere delle decisioni.
Nella sostanza vi sono alcuni passaggi che il Papa indica come necessari nella prassi della Chiesa nel prendere le decisioni, sia nelle piccole assemblee (parrocchie) così come nelle grandi assemblee (nazionali o universali).

I passi delle decisioni nella Chiesa
Primo passo: vi sono delle “problematiche” che si incontrano nel cammino all’interno della storia. Si tratta di “vedere” le questioni, avere un contatto con la realtà.
Secondo passo: queste problematiche vanno affrontate e non sottaciute. Non è rimandandole che si risolvono da sole.
Terzo passo: su di esse ci si confronta, ognuno è tenuto e chiamato a esprimere la propria opinione.. Una responsabilità che “gli apostoli e gli anziani”, così come ogni cristiano e cristiana, non possono evitare se non vogliono venire meno al loro compito. Vi è nella vita della Chiesa la necessità della “discussione”, che significa ascoltare gli altri, argomentare la propria posizione, senza pretendere di calarla dall’alto a motivo del proprio potere. È questa la via per operare il “discernimento comunitario”, che, proprio in quanto comunitario, non può essere operato solo da un gruppo o da qualcuno nel chiuso di una stanza.
Quarto passo: Si discute in atteggiamento di ascolto della parola di Dio. Non ci si aggredisce, non si taccia l’altro di essere “traditore” o eretico se manifesta una opinione diversa dalla nostra. Ci si sforza di ascoltare la voce dello Spirito di Gesù che passa attraverso l’ascolto dell’altro e dell’altra. Quinto passo: si arriva alla decisione finale e così si può dire: “Abbiamo deciso lo Spirito Santo e noi”. Si può decidere come se si è un “noi” e se, insieme, è rispettata la procedura della discussione e dell’ascolto dello Spirito Santo.
Sesto passo: la decisione si rende nota non appena termina l’ascolto, a caldo, non dopo mesi o anni dalla discussione. Si valorizza così la discussione comunitaria, non si decide indipendentemente da quella discussione.

Non è solo una procedura
“Non è solo una questione di procedure”, dice Benedetto. Ma egli non dice che le procedure non contano. Le procedure sono importanti. Gli apostoli hanno seguito una procedura, hanno seguito delle regole. Non un gioco senza regole, ma il gioco della vita comunitaria ecclesiale con delle regole, con delle procedure. Queste procedure si aggiornano al passo coi tempi. Procedure che oggi devono essere trasparenti, pubbliche, aperte. Senza mettere il segreto su tutto. Procedure che devono rispettare delle garanzie per tutti e tutte, in modo circolare, con dei pesi e contrappesi bilanciati. Solo così ci si può pronunciare e dire: “Abbiamo deciso lo Spirito Santo e noi”.
Questo modo di procedere non è un fatto giuridico fine a se stesso, ma, ammonisce il Papa, “è il riflesso della natura stessa della Chiesa, mistero di comunione con Cristo nello Spirito Santo”.
Il modo di esercitare il potere nella Chiesa è, cioè, di una questione anche di natura teologica. La democrazia nella Chiesa, la sinodalità nella Chiesa, non sono una questione di moda, ma espressione del mistero della Chiesa: del suo essere un mistero di comunione. Se si vuole essere dentro questa logica del mistero di comunione, non si possono soppiantare le procedure che sono segno della comunione. Non sono la comunione, ma ne sono segno significativo.

Il Concilio di Gerusalemme oggi
Abbiamo visto concludere il Papa in modo deciso: “Questo è il ‘metodo’ con cui operiamo nella Chiesa”. Possiamo domandarci: è davvero oggi questo il metodo adoperato nella Chiesa?
La Chiesa delle origini ci ha lasciato un metodo. Ma noi sappiamo che questo metodo non sempre è stato applicato. Anzi, spesso, non è stato usato. La Chiesa nel corso della storia ha preso le sembianze della monarchia, dell’assolutismo. Ancora oggi domandiamoci: quanto è usato il metodo indicato dal Papa? Quali sono le istanze, i luoghi reali deputati alla discussione nella Chiesa? Come funzionano gli organismi collegiali? Quale posta hanno i cosiddetti “laici”?
Noi sappiamo che i passi compiuti in quel “concilio di Gerusalemme” dovrebbero essere ripresi e seguiti più di quanto non si faccia a livello diocesano, di conferenze episcopali e a livello universali. Benedetto XVI quando dice che questo è il “metodo” con cui “operiamo” nella Chiesa vuole spingere a farlo davvero proprio, ad usarlo, a metterlo in pratica, più di quanto non si faccia. Perché se già fosse usato abitualmente il Papa non avrebbe avuto bisogno di ricordarlo. Egli, piuttosto, sa che non è così, o almeno non sempre è così. Perciò egli sente la necessità di ritornare sulla questione del “come” prendere le decisioni nella Chiesa, sulla collegialità nella Chiesa, in continuità con i suoi discorsi iniziali.
Questa indicazione di papa Benedetto è qualcosa che va sottolineato e ricordata con forza in tutte le sedi.

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