Dinamiche politiche tra Stati Uniti e Iran

8 giugno 2007 - Noam Chomsky (Traduzione a cura di Gaia)

In società rozze e brutali, la linea politica dello Stato è proclamata pubblicamente e ad essa si deve obbedire, non si può fare altrimenti. Ciò di cui hanno bisogno i cittadini non conta. Nelle società invece in cui lo Stato non usa più il controllo attraverso la forza, non si proclama la linea politica. Piuttosto la si dà per scontata e si incoraggia anche un vivace dibattito intorno ad essa, nei limiti imposti da una inespressa ortodossia dottrinale.
Un sistema politico brutale porta ad un naturale scetticismo. Ma le sue varianti sofisticate, che pure danno l’impressione di consentire apertura e libertà, tuttavia riescono ad inculcare nell’opinione pubblica la Linea Politica di Partito come se fosse fuori discussione e lontana anche dalla sola possibilità di poterci riflettere su, come se si trattasse dell’aria che respiriamo. Nella situazione più che mai di stallo tra Washington e Teheran una linea politica di partito si confronta con l’altra. I detenuti Iraniano – Americani Parnaz Azima, Haleh Esfandiari, Ali Shakeri e Kian Tajbakhsh ( come ben sappiamo) sono fra le prossime vittime della difficile relazione tra i due Stati. Ma non solo loro ne pagano le conseguenze. Il mondo intero è tenuto in ostaggio dal conflitto Stati Uniti – Iran, nel quale, tra l’altro, le armi che si metterebbero in gioco sono nucleari.
Come si poteva immaginare , l’annuncio del Presidente Bush di un feroce attacco in Iraq – paradossale risposta alla protesta della maggior parte degli Americani perché si avvii il ritiro delle truppe da quel territorio, ed anche alle più insistenti richieste degli Iracheni (richieste che non sarebbero comunque ascoltate) – è stata accompagnata da un passaggio inquietante di caccia di base in Iran e di IEDS di costruzione Iraniana in Iraq, spostamento che punta a smembrare la missione con la quale Washington spera di ottenere la vittoria, missione che è (per definizione) nobile.
Quindi il dibattito, come era facilmente prevedibile, è il seguente: i falchi dicono che dobbiamo prendere misure risolute (violente) contro tale estrema interferenza dell’Iran in Iraq. Le colombe controbattono che dobbiamo avere prove realmente convincenti che tale spostamento di armamenti sia avvenuto. L’intero dibattito può procedere senza essere considerato assurdo solo nel tacito assunto che noi siamo “il mondo”. Quindi l’interferenza dell’Iran viene vista come qualcosa che ostacola i nostri obiettivi in un paese che noi abbiamo invaso ed occupato.
Quali sono i piani della sempre più disperata cricca che tiene strettamente il potere politico negli Stati Uniti? Rapporti sulle minacce, dichiarazioni ufficiose dei collaboratori del Vice- Presidente Cheney hanno accresciuto i timori di un’espansione del conflitto.
“Spero che voi non vogliate fornire ulteriori argomentazioni ai nuovi pazzi che dicono: “Andiamo a bombardare l’Iran” ”, ha dichiarato alla BBC, il mese scorso, Mohamed ElBaradei, direttore generale dell’International Atomic Energy Agency. “Ogni mattina, quando mi alzo, vedo che altri cento innocenti civili iracheni sono morti”.
Il Segretario di Stato degli USA, Condoleeza Rice, quasi voglia contrapporsi ai “nuovi pazzi”, sta presumibilmente inseguendo la pista diplomatica con Teheran. Ma la Linea Politica di Partito tiene, invariata. In Aprile, la Rice riferì quanto avrebbe detto se avesse incontrato la sua controparte iraniana Manouchehr Mottaki alla conferenza internazionale sull’Iraq a Sharm el Sheikh. “Cosa è necessario fare? E’ abbastanza ovvio – disse la Rice – che sia necessario fermare il flusso di armi straniere verso l’Iraq; fermare il flusso di caccia stranieri attraverso i confini” . Lei si riferiva, ovviamente, alle armi ed ai caccia iraniani. I caccia e le armi statunitensi non sono “stranieri” in Iraq. O in qualsiasi altro luogo. La tacita premessa che sta sotto il suo commento, e virtualmente in tutte le discussioni pubbliche sull’Iraq (e su altri territori) è che noi “siamo” il mondo.
“Non abbiamo noi il diritto di invadere e distruggere un Paese straniero? Certo che lo abbiamo. Questo è un dato di fatto. L’unica questione è: effettuare un attacco imponente o un’altra tattica? Forse questa catastrofe ci sta costando troppo.” I confini entro i quali si muove il dibattito tra i candidati alla presidenza, il Congresso ed i media, tranne rare eccezioni, sono questi. Ed in parte è questa la ragione per cui quei dibattiti sono così inconcludenti. Le questioni fondamentali non sono messe realmente in discussione.
Senza dubbio Teheran merita una dura condanna, soprattutto per la severa repressione interna e per l’infiammata retorica del presidente Mahmoud Ahmadinejad (che tuttavia poco ha a che vedere con gli affari esteri). Ma sarebbe comunque utile chiedere come Washington reagirebbe oggi se L’Iran avesse invaso ed occupato il Canada ed il Messico, avesse rovesciato quei governi, avesse trucidato decine di migliaia di persone, avesse dispiegato le più imponenti forze navali nei Carabi ed avesse pronunciato credibili minacce di distruggere gli Stati Uniti se essi non avessero immediatamente troncato i propri programmi relativi all’energia nucleare (ed agli armamenti). Osserveremmo tutto questo con tranquillità? Dopo che gli Stati Uniti hanno invaso l’Iraq, lo storico militare israeliano Martin van Creveld ha affermato: “Se gli iraniani non tentassero di costruirsi armamenti nucleari, sarebbero pazzi”.
Sicuramente nessuna persona che sia sana vuole che L’Iran (o chiunque altro) sviluppi armamenti nucleari. Una ragionevole soluzione delle crisi in atto permetterebbe all’Iran di sviluppare l’energia nucleare in accordo con i propri diritti e nel rispetto del Trattato di Non Proliferazione, ma non certo di sviluppare gli armamenti nucleari. E’ raggiungibile questo risultato? Sarebbe possibile, ad una condizione: che gli Stati Uniti e l’Iran possedessero un sistema sociale democratico in cui l’opinione pubblica avesse un impatto significativo sulla politica, superando l’enorme abisso che adesso impedisce ai cittadini di far valere le proprie istanze su molte questioni critiche, inclusa questa di cui parliamo. Questa soluzione ragionevole avrebbe uno schiacciante peso nei rapporti tra Iraniani ed Americani, infatti i due popoli nel complesso concordano completamente sulle questioni generali che riguardano il nucleare, come risulta dai recenti sondaggi del Program on International Policy Attitudes, realizzato presso l’Università del Maryland. Sia gli Iraniani che gli Americani desidererebbero la completa eliminazione degli armamenti nucleari ovunque (82% degli Americani), e se ciò non fosse possibile, vorrebbero una zona libera dalle armi nucleari che comprenda tutto il Medio Oriente, Paesi Islamici ed Israele compreso (71 % degli Americani). Per il 75 % degli Americani sarebbe meglio costruire delle relazioni diplomatiche con l’Iran anziché avanzare minacce dell’uso della forza. Questi dati suggeriscono una possibile strada per impedire alle crisi attuali di esplodere forse anche in una terza guerra mondiale, come predetto dallo storico militare Inglese Barnett Correlli. Tale terribile minaccia può essere scongiurata attraverso un proposito che ci è molto familiare: promuovere la democrazia, in casa, però, se necessario, anche se questo può sembrare duro da accettare. Inoltre, sebbene noi non possiamo mettere in atto il progetto di trasformazione democratica direttamente in Iran, potremmo agire in modo da migliorare le prospettive dei coraggiosi riformisti ed oppositori che stanno cercando, all’interno dell’Iran, di raggiungere proprio questo obiettivo. Essi annoverano tra loro gente come Saeed Hajjarian, il Nobel Shrin Ebadi e Akbar Ganji, e molti altri intellettuali e persone che rimangono nell’anonimato, fra i loro attivisti.
Noi possiamo migliorare le prospettive di democrazia in Iran con intelligenza, capovolgendo la politica di Stato attraverso il sostegno della volontà popolare che si muove in tal senso. Adottare questo tipo di soluzione imporrebbe da parte nostra il ritiro delle minacce di guerra che, nella sostanza, costituiscono un regalo per gli iraniani integralisti e che sono duramente condannate, proprio per questo motivo, dagli iraniani che sinceramente desiderano la promozione della democrazia. Noi dovremmo agire in modo da aprire un certo spazio a coloro che dal di dentro stanno tentando di capovolgere la teocrazia reazionaria e repressiva, anziché minare i loro sforzi con minacce e militarismo aggressivo.
La promozione della democrazia dal di dentro, pur non essendo una panacea, sarebbe un utile passo per aiutare gli Stati Uniti a diventare un “responsabile stakeholder” dell’ordine internazionale (per adottare il termine da noi sempre usato per autodefinirci di fronte agli avversari), invece di continuare a costituire oggetto di paura ed avversione in gran parte del mondo. Infine, una democrazia realmente funzionante in casa, a parte il fatto che sarebbe un valore in sé, sarebbe un passo importante per riconoscersi non come “il mondo stesso” ma semplicemente come parte di esso.

Note

Noam Chomsky è professore di linguistica presso il Massachusetts Institute of Tecnology e il suo lavoro più recente è Egemonia o Sopravvivenza, Inchiesta in America sul Predominio Globale.

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    Noam Chomsky è professore di linguistica presso il Massachusetts Institute of Tecnology e il suo lavoro più recente è Egemonia o Sopravvivenza, Inchiesta in America sul Predominio Globale.
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