IRAQ

Il progetto della Piana di Ninive distrugge il dialogo, unica strada per la pace

19 giugno 2007 - Louis Sako (Arcivescovo caldeo di Kirkuk)

L’arcivescovo caldeo di Kirkuk torna a ribadire i perché del no al “cantone” cristiano nella Piana di Niniveh: nella zona non vi sono strutture necessarie ad ospitare le migliaia di famiglie che arriverebbero, il progetto nega la cultura del pluralismo e del dialogo, che è invece l’unica soluzione per l’Iraq. Appello ai leader delle Chiese locali perché prendano una posizione chiara sul futuro dei cristiani.

Kirkuk (AsiaNews) – La continua persecuzione che colpisce in modo indistinto e con la stessa ferocia sunniti, sciiti e cristiani, costringendoli all’emigrazione, conferma che” il problema in Iraq è il fondamentalismo” e non uno scontro di civiltà. Per questo la soluzione rimane il “dialogo”, senza barriere ideologiche o geografiche. Per questo i cristiani, come iracheni, devono poter continuare a vivere fianco a fianco con i loro fratelli musulmani e non in una zona circoscritta e distinta. È il nucleo della riflessione di mons. Louis Sako, arcivescovo caldeo di Kirkuk, che ad AsiaNews ribadisce le ragioni della contrarietà al progetto assiro della “Piana di Niniveh” per i cristiani d’Iraq.

Ho letto alcune critiche riguardo il mio articolo sul "Safe Haven" cristiano nella Piana di Niniveh, per questo vorrei chiarire alcuni punti.
Fra teoria e prassi c'è una grande distanza. Dobbiamo essere obiettivi, realistici e prudenti. Il progetto di Niniveh è strumentalizzato e rischia di essere indirizzato oggi ai cristiani dell'Iraq, domani a quelli d'Egitto o del Libano. Coloro che premono per la realizzazione di questa utopia sono in maggioranza fuori dall'Iraq e non conoscono la situazione interna: con l’arrivo dei nuovi rifugiati a nord, non vi è già più posto. Un villaggio che aveva 2mila abitanti ora ne conta 3mila. L’affitto di una stanza costa 200 dollari al mese. Non c'è lavoro, scuole, università, mancano i servizi...
Dove e come sistemerebbero le 30mila persone che dovrebbero arrivare da Bagdad, Bassora, Kirkuk e Mosul? I cristiani abituati a vivere in case agiate non riescono a vivere nei campi e sotto le tende! È impensabile paragonare la Piana di Niniveh al Kurdistan!

Un ghetto per i cristiani comporterebbe scontri senza fine, come quelli a cui assistiamo in Palestina e Israele. Ho incontrato vescovi, preti, leader di partiti in Iraq e quasi la maggioranza di loro è contraria a questo progetto. Noi cristiani siamo una componente fondamentale nella storia e nella cultura irachena. Siamo una presenza significativa nella vita del Paese. Ci sentiamo iracheni a tutti gli effetti. La nostra identità s'è formata e si forma all’interno di una storia e di una tradizione cristiana! Abbiamo resistito alle minacce e alle persecuzioni nel corso della nostra storia e abbiamo trovato il modo per continuare a vivere e testimoniare il Vangelo nella nostra terra. La nostra Chiesa è una chiesa martire, è il suo carisma!

Il problema non è fra cristiani e musulmani; il problema è il fondamentalismo, che esclude l'altro e lo annienta per motivi religiosi, etnici, etc...La soluzione è incoraggiare la cultura del pluralismo, aiutare la gente a riconoscere l'altro come una persona umana, con un valore assoluto, accettarlo come fratello, e collaborare con tutti per una società migliore, basata sul rispetto dei diritti fondamentali. Creare “cantoni” chiusi per i cristiani o per le altre comunità è una catastrofe per il nostro mondo.
Se si vuole la pace, i musulmani saggi e moderati, come pure i leader cristiani, devono aiutare la gente semplice a integrarsi nella società contemporanea. Dveono aggiornare il discorso religioso predendo in considerazione le realtà presenti. D’altro canto anche il discorso politico deve rispettare la volontà dei popoli e i loro diriti. Non c'è altra soluzione.

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