Un vescovo a Nairobi

Mons. Mario Paciello: ero l'unico vescovo europeo. In questi contesti la Chiesa non deve mancare perché qui si incontra Cristo.
Intervista a cura di Rosa Siciliano

Mons. Mario Paciello, della diocesi di Altamura-Gravina-Acquaviva delle Fonti, era l’unico vescovo europeo presente a Nairobi. Ha partecipato al

Quaranta gruppi di studio
Il diario di Alex

La terza giornata del Forum è stata voluta come momento di scambio, di condivisione tra i partecipanti.
Il teologo cileno, Sergio Torres, presidente dell’Associazione Ecumenica dei Teologi del Terzo Mondo (EATWOT) ne spiega il perché: “Al primo Forum ci sono state molte lamentele, la principale che i teologi si sono parlati addosso. C’è bisogno di partire dalla prassi delle persone e delle comunità impegnate. La prassi della gente che lavora alla base come si relaziona con il lavoro dei teologi?”.
E i partecipanti, oltre trecento si sono dispersi in oltre quaranta gruppi di studio guidati da persone qualificate sui temi come Aids, cultura africana, vivere semplicemente, eco/femminismo, la famiglia africana...
Impossibile seguirli tutti, ho partecipato a due: baraccopoli in Africa, Teologia Cristiana e Impero Globale.
Social Forum in quanto delegato dalla Caritas nazionale. Siamo andati a trovarlo per rivivere con lui, a distanza di un mese circa, l'esperienza di condivisione e di forte partecipazione del Social Forum.

L’esperienza del Social Forum di Nairobi, vissuta da un vescovo: quale narrazione ne può fare?
Al Social Forum di Nairobi ero l’unico vescovo cattolico europeo, ma non mi sono sentito solo, né fuori posto. La Caritas Italiana mi ha chiesto di guidare una Delegazione di quaranta direttori Caritas provenienti da tutte le regioni d’Italia. Era una presenza necessaria, non la mia, ma quella di Caritas Internationalis, Caritas Europa, Caritas Africa, Caritas Italiana, perché al Forum sono stati portati tutti i problemi e le piaghe dell’umanità sul piano culturale, sociale, politico, economico, morale, ambientale, sanitario, e tante testimonianze di risposte date a questi problemi. In questi contesti, la Chiesa non solo non deve mancare, ma deve essere presente, perché dove è l’uomo in qualunque condizione egli viva, e qualunque sia il suo pensiero e il suo comportamento, lì è Cristo. E Cristo gli va incontro per dirgli con amore la verità, per dargli segni di amore nella verità, senza secondi fini, senza interessi reconditi, senza lasciarsi strumentalizzare.
In un certo senso la Chiesa ha un diritto di primogenitura sul Forum Sociale, sia perché il Forum è stato pensato e avviato per opera dei Gesuiti dell’Università di Lovanio, sia perché quasi tutto quello che da un anno all’altro si fa nel mondo della solidarietà, dell’emergenza, della promozione umana, è opera dei credenti di tutte le confessioni cristiane, che da molto

Il dialogo interreligioso
L’ultima giornata è stata intensa e stracolma di incontri ed eventi. I volti, questo incrociarsi, intuizioni... che fanno nascere il Mistero della vita e della storia. C’era tutto questo nell’ultimo giorno. E quante sorprese per gente che proveniva da tutto il mondo e che qui si incontrava per la prima volta!
Al mattino una tavola rotonda sulla spiritualità per un altro mondo possibile: dialogo interreligioso in una prospettiva di liberazione.
Importante l’intervento del teologo tanzaniano L. Magesa che ha portato nel dibattito la prospettiva della Religione Tradizionale Africana.
Molto contestato invece l’intervento del prof. Patrik Ryan che, partendo da un punto di vista cristiano, metteva in guardia sul pericolo islamico, visto come una minaccia al cristianesimo.
Il pomeriggio è stato dedicato ad un’altra tavola rotonda sul tema: Spiritualità e rispetto della diversità.
tempo operano con spirito ecumenico a servizio dei poveri. È difficile raccontare con poche frasi il Forum, anche perché come Delegazione Caritas, abbiamo vissuto incontri ed esperienze non programmate dagli organizzatori del Forum. Ma non posso non ricordare i bambini degli slum (baraccopoli). Quelli di strada li chiamano chokorà, cioè “spazzatura”. Chokorà è passare da una spazzatura all’altra.
Sono ladruncoli, piccoli criminali, avviati alla delinquenza, sporchi, offerti alla malavita da genitori che sono nell’impossibilità di prendersene cura. Sono usati e sfruttati dai delinquenti; picchiati e scacciati dalla polizia. Usano marijuana, cocaina; sniffano colla, solventi, acquaragia, cherosene usato dagli aerei, resine: tutto ciò che non fa sentire il morso della fame. L’uso continuo e prolungato di queste sostanze causa perdita di appetito, vomito, tremore, abbassamento dell’udito. I bambini “spazzatura” sono figli di madri vedove che non possono sostentarli; figli di genitori che vivono rapporti conflittuali, figli di nessuno. Di giorno si arrangiano, di notte dormono sotto i cartoni; per sopravvivere devono farsi accettare da un gruppo a qualunque costo. Quando vengono al mondo nessuna anagrafe registra il loro nome, i loro genitori, il giorno e il luogo della nascita: il mondo civile ignora la loro esistenza. Se hanno la fortuna di andare a scuola, dal certificato scolastico possono ottenere una carta di riconoscimento.

Tracce di spiritualità vissute o anche solo percepite, respirate nelle calde giornate del Social Forum...
La Delegazione di Caritas Italiana ogni giorno ha vissuto momenti di spiritualità nella concelebrazione eucaristica e negli incontri di riflessione, di revisione e di ascolto. Ma mi si chiede se il Forum ha una spiritualità. Apparentemente no! Se, però, per spiritualità si intende l’anima del Forum, allora credo che questa grande kermesse mondiale ha molte anime. La spiritualità del Forum è l’attenzione all’uomo, l’impegno per il

Per dimenticarsi dei poveri
Anche nel Forum di Teologia della Liberazione, come nella vita reale, man mano che procedevano i lavori, si avvertiva una tendenza a evitare qualsiasi riferimento alle questioni di classe sociale o di lotta di classe. I poveri scompaiono dando vita alle moltitudini. Non si annuncia più la fine della storia ma si annuncia la fine della classe sociale! I poveri non sono più organizzabili! Divengono moltitudine immateriale. Lo pseudo “mondo senza lavoro” del post-modernismo falsifica la realtà puntando su un capitale umano o immateriale presente nella moltitudine...
Si evita oggi di parlare dei/lle lavoratori/trici come classe sociale che vive del lavoro, spesso in conflitto con coloro che si appropriano del lavoro stesso per disgregare proprio le classi sociali. Si è immobilizzata una spiritualità capace di incollare la teologia nella pelle sudata delle lotte e organizzazioni popolari, nella pelle dei movimenti di liberazione dei poveri, fatti classe.
Verbo, fatto carne. Dio con noi.
Il superamento di questi immobilismi si avrà solo con un reinserimento vissuto e politico dei/lle teologhi/e nelle “realtà reali” di vita e lotta dei/lle poveri/e. Molte di noi vivono oggi di impegni presi in passato, di presenze fittizie accanto ai poveri. Rinchiuse nelle facoltà di teologia, nelle università, nelle strutture ecclesiali perdiamo la vitalità, l’inquietudine e la passione. Non corriamo più rischi (se non fosse per le dispute metafisiche!) e siamo estremamente coerenti e decorosi, decenti (come se la liberazione non fosse un progetto pieno di contraddizioni e indecenze).
Un’altra spiritualità possibile? Un’esperienza liberatrice di Dio? Solo se riconosceremo il conflitto di classe che si instaura all’interno stesso della teologia della liberazione. Il giogo pesante che il capitale pone su di noi può portare le teologie della liberazione a trasformarsi in un parco tematico per il divertimento virtuoso delle coscienze cristiane “impegnate-manon- troppo” (La teologia della liberazione va a Disneyland! ha profetizzato la teologa argentina Marcella Althaus- Reid). La moltitudine di Nairobi avanza per la strada e la teologia brontola. Ancora una volta bisogna imparare da Juan Luis Segundo: la Teologia della Liberazione è / deve essere la Liberazione della Teologia.
Nancy Cardoso
Pastora Metodista Brasiliana, membro della Commissione Pastorale della Terra
riconoscimento della dignità degli ultimi; la sete di giustizia chiesta in modo nonviolento, il dialogo tra lingue, religioni e culture diverse, la speranza che un altro mondo è possibile; il rispetto e l’uso sobrio delle risorse della natura e dell’ambiente; la proclamazione indiretta di due comandamenti fondamentali per la pace universale: “non uccidere” e “non rubare”.

Una Nairobi colorata e plurale, sia perché la gente era tanta sia perché tutti di diversa provenienza geografica e culturale. Quale messaggio porta a casa? Quale vuol regalare alla comunità di credenti?
Il Forum è stato una cassa di risonanza per gridare a più voci agli Organismi Internazionali e ai potenti della terra che un altro mondo è possibile. Con canti, danze, mimi, sfilate, tamburi, striscioni, giochi acrobatici, stendardi, maschere, poster, volantini, giornali, conferenze, dibattiti, sono stati rivendicati tutti i diritti; si sono denunziati sfruttamento, ingiustizie, guerre, sete, distruzione dell’ambiente, malattie, fame, sottosviluppo, dittature, esodi di massa. La scenografia multicolore e multietnica è durata cinque giorni. Il 26 gennaio tutto è rientrato nella “normalità”. Nelle fotocamere sopravvissute ai migliaia di furti, sono rimaste le immagini belle e raccapriccianti catturate al Forum e nelle baraccopoli; nel cuore cresceva di giorno in giorno il bisogno di raccontare esperienze e incontri per suscitare risposte. È impossibile, infatti, vivere anche solo una settimana in Africa e non restarne segnati. Al ritorno nell’animo resta un grande senso di responsabilità e si sente il dovere di sensibilizzare le coscienze perché ognuno, nel suo piccolo, faccia la sua parte e le comunità mettano insieme le forze per dare ali alla speranza. Quale messaggio per la nostra gente? Eccolo: I poveri sono essenziali e semplici; noi siamo complicati e preoccupati di troppe cose. I poveri sanno essere felici; a noi non basta mai nulla. I poveri hanno tempo per Dio; noi siamo sempre in adorazione dei nostri bisogni. I poveri, riguardo al lavoro e ai mezzi di sopravvivenza, hanno una creatività e una capacità di

Africa ricca, Africa immensa, Africa incantata
Africa ricca, Africa immensa, Africa incantata,
Africa unica, Africa misteriosa, Africa primordiale.
Africa offesa, Africa invasa, Africa spogliata.
Africa derubata
dei suoi figli con la tratta dei negri;
del suo oro, dei suoi diamanti,
dei suoi legni pregiati, della sua fauna
da colonizzatori incivili,
da multinazionali senza umanità,
da imprenditori voraci.
Africa depredata
della sua poesia, della sua cultura,
della sua dignità e della sua bellezza
da nazioni usuraie e da governi locali corrotti;
della sua libertà e della sua pace,
da guerre coloniali e fratricide,
dal commercio delle armi e della droga.
Africa rapinata
della sua anima religiosa da campagne ideologiche
e da infiorescenze selvagge di sette
che, con le promesse di paradisi fatui
fatte a menti semplici e incolte,
mescolano sincretismo, favole, magia,
tradizioni, animismo, stregoneria,
bibbia e immaginazione.
Africa creativa e laboriosa,
Africa tenace,
Africa che spera in un mondo diverso,
Africa che sa soffrire e osare,
Africa che muore per colpa dei potenti
ma è certa che l’amore vincerà
e regneranno la giustizia e la pace.
Africa di madri dal petto inaridito,
Africa di bimbi vestiti di polvere e di fango,
Africa di infaticabili camminatori muti
su rossi sentieri polverosi,
Africa dai tramonti infuocati
su immense distese di lamiere contorte,
Africa che si addormenta
sotto il serico velo azzurro
di cieli intensamente stellati
al quale i ricchi hanno preferito
una spessa coltre di fumi opachi e velenosi.
Africa assetata di acqua e di diritti,
di dignità, di sviluppo e di autonomia.
Africa di disperati che osano sperare,
Africa che piange e sa sorridere e gioire.
Africa, estasi e tormento di chi mette piede sul tuo suolo.
Africa, ultimo grido di risveglio al mondo addormentato.
faticare che noi ignoriamo. I poveri ci aiutano a capire il Vangelo, sono la prova vivente di quanto davvero i poveri sono beati perché vedono Dio e posseggono il Regno dei Cieli.

Tre parole chiave significative di questa esperienza. Tre aspetti che l’hanno delusa o che non ha condiviso.
Le tre parole chiave: solidarietà, speranza, cooperazione. Le uniche luci nel buio dei gravissimi problemi dell’Africa; l’unica risposta che risuona nel silenzio assurdo delle Istituzioni è lo spirito solidale dei missionari, dei volontari, delle Caritas, delle comunità cristiane d’Italia, d’Europa e dell’Africa.
È la solidarietà che si fa condivisione, che realizza centri di accoglienza, laboratori di sartoria, di falegnameria, di bigiotteria, di pittura, di abbigliamento liturgico, centri di formazione sportiva, scuole, ambulatori; organizza corsi di informatica, offre assistenza medica, psicologica, alimentare, spirituale, sociale; centri di rieducazione per ragazzi di strada.
La speranza è nel cuore di quanti con sacrifici non comuni e grande spirito di povertà, offrono se stessi, il proprio tempo, la propria professionalità per rendere gli Africani protagonisti del loro futuro. La speranza è nel cuore degli Africani perché, diversamente, non avrebbero la forza di vivere condizioni al limite di ogni resistenza e capacità di accettazione e non si industrierebbero nei modi più impensabili per sopravvivere.
La cooperazione: è attesa, necessaria e indispensabile. Noi possiamo fare molto per collaborare con quanti operano in terra di missione. Padre Kizito, cioè padre Renato Sesana, comboniano, ha costruito uno dei centri di accoglienza di ragazzi di strada con il ricavato della vendita di panettoni fatta in Italia. L’ha chiamato Tone la Maji (goccia d’acqua). Tante gocce d’acqua fanno un oceano.
Sempre lui, con la collaborazione di Koinonia Community, da lui creata, ha messo su, in un’altra baraccopoli, Kivuli Centre (rifugio, ombra dell’albero): una casa di accoglienza per ragazzi di strada, per farli diventare istruttori di arti e mestieri, professionisti, tecnici di informatica, sportivi, artigiani; un ambulatorio attrezzato, un centro di assistenza e di formazione per la prevenzione e la cura dell’AIDS e l’accompagnamento spirituale dei malati terminali; una piccola banca per microcrediti per aiutare le donne a realizzare piccoli progetti artigianali o commerciali.
Tornando al Forum, non posso dire di essere rimasto deluso, ma devo riconoscere che molti sono stati gli aspetti fragili e confusionari. 1200 manifestazioni in centinaia di luoghi di incontro ricavati dagli spalti dello stadio, senza amplificazione, senza traduzione simultanea, sono state eccessive e hanno frantumato approfondimenti di temi che andavano fatti insieme. Ma tenendo presente che eravamo in Africa, anche gli elementi di debolezza hanno contribuito a lanciare messaggi.

Quale può essere il ruolo dei credenti nella costruzione di questa utopia di pace e nonviolenza collettiva e mondiale, in cui l’armonia e l’accoglienza dell’alterità siano di casa?
Il motto del Forum Sociale è un altro mondo è possibile, e, se è possibile, non è, e non può essere, un’utopia. Un altro mondo è possibile, e se ritarda la sua attuazione, è tutta responsabilità o colpa di quanti ne ostacolano l’avvio. Se un mondo diverso fosse utopia ogni impegno personale e collettivo per la giustizia e la pace sarebbe un’imperdonabile illusione, una umiliante presa in giro, una chimerica lotta contro nemici invincibili. Quello della Caritas Italiana ad esempio è impegno concreto a favore degli ultimi che assume un valore educativo per i cristiani; tiene viva la speranza degli ultimi circa la possibilità di promuovere la loro condizione; dà coraggio ai poveri di alzare la voce per far prendere coscienza ai governi che la carità non sostituisce la giustizia.

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