NONVIOLENZA

Dal mito al terrore

Il nuovo volto della guerra, la forza della nonviolenza, il ripudio della violenza nella testimonianza dei grandi nonviolenti: intervista a Enrico Peyretti.
Intervista a cura di Anna Scalori

Nei tuoi libri parli spesso della differenza tra pacifismo e nonviolenza. Ritieni che tra i due termini ci sia confusione?

Non distingue chi pensa pacifismo e nonviolenza come un vile sottrarsi ai conflitti lasciandovi le vittime. Il pacifismo è l’opposizione alla guerra, meglio se con ricerca delle alternative, e la nonviolenza è l’opposizione costruttiva non solo alla violenza diretta, armata, ma anche alla violenza strutturale (economica, giuridica) e culturale (idee violente e discriminanti: nazi-fascismo, capitalismo, orgoglio identitario, razzismo, sessismo...). Queste violenze sono più profonde della guerra, anche se meno urtanti, perché fanno più vittime e producono e giustificano le guerre. L’opposizione è ripudio interiore, ma senza illusione di liberazione immediata: è lavoro lungo, nella storia, con gradualità ben orientata.

Pensi che il messaggio gandhiano possa dire qualcosa nella società della globalizzazione?

Sì, se conosciamo Gandhi meglio della figura da fachiro paziente usata anche dalla pubblicità. Era un uomo fortissimo, perché deciso e capace di soffrire e morire per la dignità e libertà di ogni essere umano. Umile e consapevole della sua fallibilità, si è sempre impegnato in “esperimenti con la verità”. La sua for za, possibile in tutti, era il Satyagraha, lo stare afferrato alla verità della vita. Diceva che questa verità è Dio, ed è l’unità profonda di tutti gli esseri. La sua idea è universalista: voleva cacciare gli inglesi come dominatori dell’India, ma ospitarli come amici. La sua fu una rara “vittoria”, che produsse amicizia e non odio tra i popoli, una vittoria non su un nemico, ma sull’inimicizia. Il suo proposito di un’India unita di indù e musulmani fu sconfitto da un politico integralista e non religioso. Ma il suo collaboratore Badshah Khan, “il Gandhi musulmano”, educò un “esercito” di 100.000 musulmani resistenti nonviolenti, dimostrando che nell’Islam stesso c’è un fondamento della nonviolenza. Lo spirito di Gandhi si diffonde in tutte le culture, ha ricordato ai cristiani la nonviolenza evangelica, è una delle voci dello spirito umano più universali e contribuisce, contro gli spiriti di divisione e supremazia, a costruire una unità umana nella convivialità delle differenze. L’opera è lunga e faticosa, avversata, ma realizza la verità umana.

Se la guerra si è trasformata, che cosa è accaduto al suo mito?

Sì, la guerra è più selvaggia e feroce: non più dichiarata, ha perso ogni ombra di “procedura giuridica” seppure armata; è sempre più illegale, perché le migliori costituzioni la ripudiano e la proibisce la Carta dell’ONU, costituzione planetaria; è mostruosa, pretendendo di farsi “preventiva” e di sradicare il male dal mondo; fuori da ogni convenzione, usa armamenti che avvelenano l’ambiente per il futuro, studiati per infliggere sofferenze più che morte; colpisce le popolazioni più che gli eserciti, quando è terrore di banda e quando è terrore di stato; è diventata in gran parte “privata” perché intrapresa da gruppi combattenti non statali e perché gli Stati la appaltano in buona parte a imprese economico-belliche e a singoli mercenari, ai quali si avvicina sempre più la figura del soldato di professione; si è voluto ristabilirla come regola nel quindicennio dal 1990, come per respingere la pace possibile con la fine della guerra fredda. Per tutto ciò la guerra è oggi più perversa e più gravemente offende lo spirito di umanità. Se talvolta in passato è stata un mito, oggi, nel cuore dei popoli, è solo tormento, terrore, vergogna.Possiamo sperare, perché una cosa positiva del nostro tempo è che il mito della violenza risolutiva, redentrice, liberatrice, è svanito. Non sappiamo ancora liberarci dalla violenza organizzata, ma ci siamo liberati dal suo culto, salvo ristrette cerchie di criminali che, per denaro e supremazia, governano sia certi governi sia i terroristi. Consapevolezza e resistenza costruttiva possono salvarci.

In occasione della missione italiana in Libano, tu hai scritto molto per spiegare il tuo “sì”, sofferto, all’operazione. Qual è la tua posizione?

Distinguo operazione di polizia da guerra ed eserciti. È positivo che si sia incrinato l’unilateralismo Usa e che le parti (per la prima volta Israele) abbiano accettato l’interposizione. L’ONU deve avere una polizia, con cultura e mezzi da polizia e non da eserciti, ma le potenze l’hanno sempre impedita. Con limiti e incertezze, questa operazione può essere un piccolo passo al di là delle altre recenti, bellicose. Ma la mozione bipartisan che dice “di pace” tutte le missioni militari recenti dice una cosa non vera.

 

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