CHIESA

Questione di democrazia

La democrazia è nel modo in cui una comunità organizza la propria vita interna e le proprie strutture. Anche nella Chiesa. Riflessioni su una Chiesa in movimento, che si interroga su se stessa e prova a rinnovarsi.
24 gennaio 2007 - Rosario Giuè
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La Conferenza Episcopale Italiana “è l’unione permanente  dei vescovi delle Chiese che sono in Italia, i  quali per promuovere la vita della Chiesa, sostenere la sua missione evangelizzatrice e sviluppare il suo servizio per il bene del paese esercitano funzioni pastorali e, a norma del diritto, assumono deliberazioni legislative” (articolo n.1 dello Statuto della CEI). Si tratta di un organo che è al vertice della Chiesa italiana e della massima importanza e delicatezza. La stessa Conferenza Episcopale è strutturata in organismi diversi.

Vi è l’assemblea generale che è composta dai vescovi ordinari, ausiliari e con incarichi nazionali (complessivamente circa duecentocinquanta membri). Non ne fanno parte gli emeriti. Essa si riunisce una volta l’anno (sessione ordinaria, a maggio ) e da un po’ di tempo in una sessione straordinaria (in autunno). Ad essa compete l’approvazione di: istruzioni, documenti e note episcopali, programmi pastorali, bilancio annuale.

Poi vi è il Consiglio permanente che comprende il presidente, i vice-presidenti, il segretario generale della CEI, i presidenti delle conferenze  episcopali regionali e i presidenti delle commissioni episcopali (una  trentina di membri in tutto). Si riunisce tre volte l’anno. Tra i compiti vi sono quelli di  emettere dichiarazioni o pubblicare documenti significativi e decidere su tutti gli organismi per il funzionamento della CEI.

Poi vi è la Presidenza della CEI. Si tratta di un organo con poteri di delibera su atti di straordinaria amministrazione, come l’alienazione di beni, la decisione di nuove voci di spesa. Ma  decide anche sulla convocazione dell’Assemblea generale, sceglie e stabilisce gli argomenti all’ordine del giorno della stessa Assemblea. Di essa fanno parte i vice-presidenti nominati dall’Assemblea generale. E, ovviamente, ne fanno parte il presidente e il segretario generale.

Il presidente è una figura importante perché rappresenta ufficialmente la CEI, preside il Consiglio di presidenza e l’Assemblea generale, prende le deliberazioni straordinarie urgenti. Si tratta di un organo di primo piano nell’organizzazione della Chiesa italiana. Eppure il presidente, momento di sintesi della Conferenza Episcopale Italiana, non è espresso, cioè non è eletto direttamente dall’Assemblea generale, ma è di nomina pontificia (come il segretario generale).

Nelle altre Chiese europee il presidente della Conferenza Episcopale è eletto dall’Assemblea generale. Il cardinale Karl Lehmann in Germania, eletto per ben tre volte dai vescovi tedeschi.

Da noi non è così. L’Assemblea generale è sollevatala questo onere di eleggere il proprio presidente. Viene spiegato che è di nomina pontificia perché il papa Pro tempore è anche primate d’Italia. E che, pertanto, non potendo svolgere direttamente la funzione di presidente, si faccia sostituire da un’altra persona.

Effettivamente il Papa, stando ai tanti compiti che ricadono sul ministero petrino per come è concepito e strutturato oggi, non ha il modo per dedicarsi più di tanto alla Chiesa italiana. Ma perché non farsi “sostituire” da un vescovo eletto dall’Assemblea generale della stessa CEI, cioè dall’organo che il presidente dovrebbe presiedere? Perché non fare carico all’Assemblea generale dell’onere della scelta? Così l’ Assemblea  generale si assumerebbe, nel bene e nel male, gli oneri e gli onori di una scelta. Perché non provare a fare diversamente?

L’allora vescovo J. Ratzinger avrà partecipato in Germania all’elezione del presidente della conferenza episcopale tedesca. Proprio anche sulla base di questa esperienza diretta, perché non fare anche così in Italia? Lo chiediamo con affetto e rispetto.

Forse  Benedetto XVI ha già pensato a questa opportunità se è vero quanto ha riferito la stampa italiana secondo la quale egli avrebbe chiesto, tempo fa, al Nunzio apostolico in Italia, Romeo, di avviare una consultazione riservata tra i vescovi italiani sulle loro preferenze nella scelta del presidente della CEI. Non sappiamo l’esito di questa consultazione. Ma perché non fare un passo ulteriore e affidare all’Assemblea generale ordinaria la responsabilità della scelta in modo aperto? La chiesa italiana non deve essere un “caso” a parte rispetto alle altre chiese nazionali.

Il cardinale Camillo Riuni, che  ha retto la presidenza della CEI per tre mandati, ha rassegnato le dimissioni all’inizio del 2006. Deve essere nominato un nuovo presidente. Perché, lo ripetiamo ancora, non decidere di farlo eleggere dall’Assemblea generale ordinaria dei vescovi italiani?

Non si vedono motivi negativi né di ordine teologico, né di ordine pastorale, né di ordine giuridico. Semmai questa scelta avrebbe dei risvolti favorevoli  e positivi. La vita della Chiesa italiana, popolo di Dio in cammino nel mondo sulla via segnata del Concilio, ne avrebbe un giovamento. Sarebbe un segnale a tutte le comunità locali: un invito ad assumersi le proprie responsabilità, ad impegnarsi direttamente nella corresponsabilità della vita ecclesiale nel nostro tempo e nel nostro Paese. Sarebbe un invito alla partecipazione ecclesiale per tanti cristiani e tante cristiane. 

Anche la società italiana guarderebbe a questo passo in avanti con occhi più attenti e con più rispetto. Si darebbe l’immagine di una Chiesa più fresca, al passo con i tempi, che vuole inculturarsi davvero nella situazione italiana, perciò anche dentro la logica democratica.

Sarebbe un’esperienza di democrazia nella Chiesa italiana. Non riguarderebbe certo una questione circa la verità da credere. Sulla verità non si decide a colpi di maggioranza:  tutti i membri e gli organismi della Chiesa, come popolo di Dio, sono sotto la parola di Dio. Si tratterebbe, invece,  di provare una via di partecipazione democratica che attiene unicamente al modo in cui la comunità ecclesiale organizza e struttura il proprio servizio sotto la Parola di Dio, nello Spirito di Gesù, qui e oggi, in Italia.

Sarebbe un segno di una Chiesa in movimento, che si interroga su se stessa a prova a rinnovarsi. Sarebbe il segno di una Chiesa che ascolta se stessa e, così, essere più capace di ascoltare gli altri e le altre nel Paese. Perché non provare a fare diversamente? Sarebbe un gesto di affetto, di amore  e di fiducia verso la Chiesa italiana.

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