MEDIORIENTE

Trentatrè giorni d'inferno

La guerra e la devastazione in alta Galilea nella testimonianza di Geries Koury, teologo arabo-israeliano del Centro Al-LIQA per il dialogo interreligioso di Betlemme.
N.C.

La tua famiglia vive in Israele, al confine con il Libano, proprio lì dove è più infuriata la violenza della guerra.
Per noi è stata un’esperienza terribile. Ogni giorno pregavamo perché arrivasse il giorno dopo. Abbiamo vissuto ora per ora. Tantissimi missili sono arrivati attorno al nostro paese mentre Israele bombardava il sud del Libano. Rumore, paura, incertezza. Non abbiamo mai dormito un’ora di seguito senza essere svegliati dal rumore dei razzi. Non potevamo raggiungere i negozi né io potevo andare dal medico, pur avendone l’assoluta necessità visto che ho subito un trapianto di rene. Il mio più grande cruccio è che in questi 33 giorni la comunità internazionale non sia riuscita a intervenire imponendo il cessate il fuoco. Un inferno. Il mondo ci guardava. Il Presidente Bush veniva ripreso sorridente mentre affermava che ci sarebbe stato ancora tempo per il cessate il fuoco.Tutto questo mi ha fatto rabbia e continuerà a farmene per tutto il resto della vita. Quell’uomo rideva e intanto, a causa delle sue decisioni, altri morti, altre distruzioni, altro terrore.

Questa guerra ci è stata presentata come necessaria per la difesa di Israele in quanto attaccato e minacciato nella sua sopravvivenza. Cosa ne pensi?
Sono cittadino israeliano. Ma sono arabo e palestinese. Io sono senz’altro contro la guerra. Israele giustificava questa guerra. Hezbollah aveva le sue ragioni per giustificarla. Ma, secondo me, se c’è giustizia non c’è bisogno di fare la guerra. Quando si restituisce la terra ai legittimi proprietari, non c’è guerra e non c’è odio. Israele deve sapere una sola cosa: non ha ragione di giustificare nessuna guerra quando è in torto, cioè quando occupa dei territori arabi in modo illegale secondo la comunità internazionale. Quando sia gli israeliani che gli arabi non rispettano la legalità internazionale, hanno già perso. Ogni Stato ha diritto di difendere la sua gente, ma solo se non occupa e non opprime altre persone. Bisogna condannare non solo chi commette atti terroristici, ma anche chi provoca, genera, causa le situazioni che partoriscono violenza. Tutti siamo creati a immagine di Dio e vogliamo vivere in pace come fratelli: arabi, israeliani, cristiani, musulmani ed ebrei, ma rispettando gli altri nella giustizia.

Le tue parole hanno accenni religiosi. Questa guerra non solo è stata presentata dai media come guerra di difesa contro il terrorismo, ma anche come guerra di difesa dei valori religiosi occidentali contro l’invasione islamica. Come esperto di dialogo interreligioso come reagisci di fronte a questo approccio, che a me sembra essere una strumentalizzazione?
Ho appena finito di scrivere un libro sul cosiddetto “terrorismo islamico”. Io non accetto questa espressione, segno solo dell’ignoranza delle persone: il terrorismo è terrorismo. Non ha colore, non ha religione, non ha cultura. In Italia le brigate rosse erano violente come in Irlanda i cattolici dell’Ira; così i gruppi terroristici giapponesi, tedeschi o americani. Non c’è un terrorismo ebraico, islamico o cristiano. C’è il terrorismo e basta. L’Islam, come il Cristianesimo e l’Ebraismo, condanna la violenza. Questo giudizio discriminante che fa dell’Islam una religione terroristica nuoce all’Occidente come all’Islam, e rompe tutti i rapporti creatisi, nel corso della storia, tra Oriente e Occidente. Ci sono gruppi musulmani che promuovono la violenza, ma questo non è l’Islam: è cattiva interpretazione dell’Islam, così come vi è una cattiva interpretazione del Cristianesimo e dell’Ebraismo da parte di alcuni cristiani ed ebrei. Secondo me il terrorista non è soltanto colui che uccide, ma anche chi, avendone facoltà, non dà una risposta vera alle cause del terrorismo nel mondo. Quello è il vero terrorista, perché nega i diritti umani di tutti i popoli, non cerca di rimuovere le cause della povertà, non arresta la corsa agli armamenti e il neocolonialismo economico e politico. Io condanno qualsiasi atto di violenza perché non credo che sia la via per raggiungere la pace e la giustizia. Solo tramite il dialogo e la giustizia si può dar spazio a una cultura in cui tutti possano vivere in pace e dignità.

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