FIRENZE

Forum Sociale Europeo. La sfida del cambiamento

A novembre l’appuntamento è in Toscana: diversi ma uniti dalla volontà di nuovi rapporti economici, sociali e politici.
Luca De Fraia (Responsabile Analisi e Strategie di Azione Aiuto, già portavoce della Campagna Sdebitarsi)
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Firenze si candida a diventare la capitale sociale dell’Europa. Tra il 6 e il 10 novembre, almeno 10mila persone provenienti da tutto il mondo animeranno il Forum Sociale Europeo: trenta grandi conferenze, centinaia di seminari e workshops, attività culturali e una grande manifestazione per lo sviluppo e la pace che coinvolgerà la città. Sarà un percorso di discussione e confronto che attraverserà tre principali temi: globalizzazione e liberismo, guerra e pace, diritti-cittadinanza- democrazia, che racchiudono un ragionamento sull’Europa considerata per il suo ruolo di grande potenza politica ed economica e per la fase di mutamento interno che mette a rischio le conquiste sociali acquisite nell’ultimo secolo.

A partire da Porto Alegre

Ci vorrà ancora qualche settimana per conoscere il dettaglio del programma: infatti il confronto per la scelta degli interventi è solo ora nella sua fase decisiva, e chi vorrà potrà seguire questa passaggio delicato attraverso il sito www.fse-esf.org. Alcune scelte sono però chiare sin d’ora e confermano che bisogna evitare di trasformare questo incontro in un “carosello” di pensatori e accademici e cercare invece di dare voce a chi vive nei movimenti e nella realtà sociale. Il Forum di Firenze non si concluderà con l’adozione di un documento comune, nel rispetto della complessità dei movimenti che si riconoscono nella Carta dei Princìpi di Porto Alegre; molto probabilmente saranno presentati appelli, proposte per iniziative e Campagne dai tanti e diversi segmenti di questo movimento dei movimenti, a partire dall’Assemblea dei Movimenti Sociali, che si riunirà a Firenze proprio in coda al Forum Sociale Europeo. Il grande laboratorio di costruzione di questo evento ha iniziato a lavorare con la conclusione del Forum di Porto Alegre, dove è stata presa la decisione di sostenere lo svolgimento di Forum continentali e regionali. È una trama organizzativa che deve la sua complessità all’obiettivo irrinunciabile di dare vita a un’esperienza di vero profilo europeo e che sia anche rispettosa della ricchezza culturale della società civile. Un percorso fatto di conferenze preparatorie internazionali, che alla fine saranno state quattro e la “carovana” dell’organizzazione si sarà spostata dal Belgio all’Austria, alla Grecia e alla Spagna; a questi incontri poi bisogna aggiungere una serie di riunioni più o meno ristrette.

Una babele di lingue e di popoli, un fatto che non va dimenticato. L’Europa, sotto questo punto di vista, è molto meno unita di quanto si possa pensare e quindi le discussioni e le proposte devono essere rielaborate in inglese, francese, spagnolo, greco e russo. Durante i giorni del Forum, per gli incontri è prevista la traduzione in sei diverse lingue e si pone un enorme problema di finanziamento che, pur volendo, non si può minimizzare, con tutti i problemi di reperimento delle risorse (rapporti con le istituzioni locali, sponsorizzazioni) e di discriminazione che comporta. Questo è solo uno degli elementi del fitto lavoro organizzativo necessario per lo svolgimento del Forum: stabilire un rapporto positivo con le istituzioni e la città, trovare le strutture per centinaia di eventi oltre che l’ospitalità per migliaia di persone.

La pazienza di costruire

L’elemento nazionale rischia anche di influenzare la definizione del programma degli interventi, dove è riemersa l’esigenza di trovare uno spazio adeguato per ogni raggruppamento nazionale. Gli italiani in questo percorso hanno dimostrato una maggiore flessibilità rispetto a quella di altri compagni di viaggio e, ad esempio, ci siamo sempre sforzati di esprimerci in una lingua diversa dalla nostra. È una sfida per il futuro e bisognerà verificare se il nostro impegno all’internazionalizzazione troverà nei prossimi anni degli eredi all’altezza. È un processo di respiro internazionale che presenta ovvi limiti, fra i quali sicuramente quello dei tempi e dei costi e quindi quello del rischio dello scivolamento verso la politica di professione e cioè l’esclusione delle forze più genuine della società. Si tratta di un’esperienza che mette a dura prova la capacità di autorganizzazione della società civile e, se dobbiamo riconoscere i limiti, bisogna anche essere chiari nel dire che la critica che viene mossa della mancanza di trasparenza o della presunta segretezza è ingenerosa. La scelta di svolgere tutte le riunioni in modo aperto, alle quali hanno partecipato diverse migliaia di persone, è la migliore dimostrazione di una scelta nel senso dell’apertura, che però si scontra con un muro di difficoltà materiali. Nelle riunioni plenarie e dei gruppi di lavoro - programma, organizzazione ed allargamento della rete - si deve costantemente fare un lavoro faticoso e paziente per ricostruire gli equilibri fra organizzazioni e culture. Sono equilibri instabili messi a rischio dai molti interessi che mettono in dubbio la rappresentanza e le legittime aspettative dei tanti che vogliono partecipare. Il gruppo di lavoro italiano sembra essere quello più complesso e ricco di esperienze culturali e politiche, cha vanno dai partiti di sinistra al movimento dei forum sociali e ai movimenti di base laici e di ispirazione religiosa; una ricchezza che è difficile ritrovare negli altri paesi.

Vecchi e nuovi compagni di strada

La costruzione dell’evento è forse più importante dell’evento stesso. In quattro giorni di incontri e discussioni si può raggiungere poco senza aver investito risorse, tempo e ragionamento nell’esperienza di costruzione di reti e di alleanze. Si tratta di imparare a conoscersi e a lavorare insieme intorno a comuni obiettivi. Si può dire che questa esperienza è forse la più larga fra quelle che abbiamo vissuto negli ultimi anni. All’interno di questo percorso ad esempio troviamo sicuramente molti dei protagonisti dell’esperienza di Genova - alcune grandi associazioni nazionali, il sindacalismo di base - ai quali si accompagna la presenza vitale di alcune reti che questa volta hanno deciso di puntare su un evento complesso e difficile con il Forum Sociale. Penso in particolare alla Tavola della Pace e al Forum Permanente del Terzo Settore, che hanno trovato un modo proficuo di lavorare insieme alla Rete Lilliput; forse non poteva essere diversamente visto il legame che queste esperienze hanno con il Forum di Porto Alegre. Importantissimo anche il riavvicinamento delle organizzazioni sindacali più grandi, presenti attraverso la confederazione europea dei sindacati. Siamo tutti animati dalla spinta al cambiamento, dall’impegno per la costruzione di rapporti economici, sociali e politici più equi e capaci di rispondere ai bisogni dell’umanità. Firenze è il luogo dove rafforzare le premesse per questo cambiamento. La sfida sarà quella di fare entrare queste risorse ed energie nel circuito dei processi politici e istituzionali dove le decisioni vengono prese. Questa è la sfida che bisogna tener in mente percorrendo la strada che ci porta a Firenze e che ci vedrà probabilmente ancora uniti quando dovremo difendere la pace o affermare i diritti dell’umanità.

 

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