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Il mondo è di tutti

Un’altra globalizzazione è possibile. Ridefinendo i termini del problema. Ridisegnando responsabilità ed equilibri.
Vanni Salvemini

È una domanda frequente quella riguardante la gestione della globalizzazione. Quali modalità di finanziamento definiscono e regolano i beni pubblici globali? Tale interrogativo, centrale nel tema che trattiamo, ruota intorno alle crescenti disuguaglianze prodotte da quelle che gli economisti definiscono considerevoli esternalità negative: la povertà degli uni intacca la prosperità degli altri. Bisogna quindi ridefinire l’equilibrio tra “privato” e “pubblico”, tra le attività degli attori “privati” nel quadro globale (che include sia gli stati che le grandi imprese, le ONG e i singoli individui) e il settore pubblico mondiale. Come spingere i diversi soggetti a essere più responsabili delle proprie azioni e soprattutto dei danni che possono provocare? Copertina libro Questa riflessione impone l’invenzione di nuovi strumenti intellettuali – termini e concetti che possano mostrare che, nell’era della globalizzazione, la risposta ai bisogni «privati» (fra cui anche gli interessi nazionali) è sempre più legata all’elaborazione di obiettivi comuni e alla cooperazione internazionale.

Cosa sono?

Particolarmente utile, a questo proposito, è il concetto di “beni pubblici globali”. Una prima categoria, tradizionale, di beni pubblici globali è costituita da quei beni che si trovano “al di fuori” degli Stati, o sulle frontiere, la cui regolamentazione è materia di ciò che viene solitamente definito “affari esteri”. Per molto tempo, abbiamo considerato i beni pubblici naturali (lo strato d’ozono) come beni gratuiti, e li abbiamo consumati a dismisura. Bisognerebbe ora applicare dappertutto, a livello dei singoli Stati, misure correttive, come una riduzione dell’uso dei clorofluorocarburi (Cfc) e delle energie non rinnovabili.

Kim Bizzarri, Andrea Baranes, Il mondo è di tutti. I Beni Pubblici Globali e il loro finanziamento, EMI, Bologna 2006
In un certo senso, tali beni pubblici globali, che consideravamo “al di fuori” degli Stati, sono diventati poste in gioco cruciali delle singole politiche nazionali. All’inverso, beni pubblici tradizionalmente considerati di interesse nazionale (sanità, gestione delle conoscenze, efficacia dei mercati, stabilità finanziaria) oltrepassano ormai la semplice sovranità nazionale. Se, ad esempio, la prevenzione nei confronti delle epidemie costituisce, da più di cent’anni, uno dei pilastri della cooperazione internazionale, il suo funzionamento non può più affidarsi alla semplice coordinazione dei sistemi nazionali d’allerta. Perché basta che uno Stato decida di esimersene per concentrare il suo bilancio su altre priorità (o per mascherare le proprie difficoltà sanitarie) che tutto il sistema ne esce indebolito. Detto in altri termini, tali questioni di politica mondiale non hanno tanto bisogno di accordi di principio (come quelli che assicurano la libertà di circolazione in alto mare delle navi straniere), quanto di un’armonizzazione delle singole politiche nazionali o di concreti cambiamenti sul campo. Nonostante il suo carattere pubblico, un bene globale non avrà mai lo stesso valore per tutti.

Per un’altra globalizzazione

Il contadino del Sud, invece, preferirà che ci si concentri sulla malattia piuttosto che sulla volatilità della moneta, che lo riguarda meno da vicino. Senza una giustizia che, per definizione, deve applicarsi a tutti i popoli e in tutte le regioni, così come tra tutte le generazioni, è inutile pretendere di voler difendere l’interesse generale. I tempi sono maturi perché questa idea rifiorisca, nella forma più attuale di “beni pubblici globali”. Tale nozione potrebbe avere un ruolo determinante nella concretizzazione politica di un’idea di gestione della globalizzazione che, per il momento, è ancora allo stato di visione utopistica o di incantesimo rituale.

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