SANITÀ

La riscossa di Kenya e Brasile

Un’altra ricerca scientifica è possibile. Anzi necessaria. Proprietà intellettuale e sanità pubblica in discussione all’assemblea mondiale dell’OMS.
Nicoletta Dentico
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Maqbula ha sette anni, e da oltre un mese si porta dentro il parassita della leishmaniosi che le divora le viscere. Se ne sta immobile sul letto mentre la madre, Amina, racconta le peripezie del ricovero fin qui, alla clinica Kassab, con Maqbula senza forze e altri due dei suoi cinque figli, troppo piccoli per rimanere senza madre. Ora stanno tutti intorno al letto della sorella, ci dovranno rimanere un bel po’ visto, che la terapia è lunga e casa loro troppo lontana per prevedere sporadici ritorni. Ma sono fortunati. Maqbula è arrivata nel reparto giusto in tempo, ce la farà contro una malattia che ne falcidia in massa di bambini in questa regione del Sudan, lo stato di Gedaref, ormai endemica. Il parassita colpisce in prevalenza la popolazione povera e malnutrita, ma si accanisce sui bambini con particolare virulenza. Alla clinica di Kassab – un vecchio presidio sanitario di MSF divenuto oggi uno dei centri di eccellenza nella ricerca clinica di nuove terapie contro la leishmaniosi – i bambini riempiono il reparto.

La sanità pubblica

La sorte di Maqbula, e di milioni di pazienti semplicemente ignorati dalla logica di profitto che avvolge senza ritegno il modo in cui viene condotta la ricerca scientifica, è uno dei temi altrettanto roventi alla recente assemblea mondiale dell’OMS (Organizzazione Mondiale della Sanità), svolta lo scorso mese di maggio a Ginevra. Sono due controverse iniziative su proprietà intellettuale e salute pubblica, e su alcune proposte alternative all’attuale sistema brevettuale per produrre innovazione, a tenere banco. Un recente e contestato rapporto della Commissione dell’OMS su “proprietà intellettuale, innovazione e salute pubblica” ha diagnosticato le scabrose inefficienze dell’attuale regime dell’innovazione scientifica, imperniato com’è su incentivi di natura puramente commerciale. In particolare, l’accordo sulla proprietà intellettuale (Trips) non ha prodotto alcun beneficio per i pazienti nei Paesi in via di sviluppo. Il regime di prezzi imposto dal monopolio dei Trips rappresenta un ostacolo strutturale all’accesso ai farmaci per malattie globali, mentre la globalizzazione dei brevetti come strumento necessario per pagare il costo della ricerca medica sta riducendo pericolosamente il futuro approvvigionamento di farmaci generici. Che senso ha l’innovazione, se le persone che ne hanno bisogno non possono avvalersene? E che senso ha questa ricerca, quando l’obesità e l’impotenza prevalgono come priorità mediche sulla ricerca contro l’aids, la tubercolosi e la malaria, che ogni anno seminano milioni di vittime? Chi definisce i bisogni reali della gente? Come porre rimedio alla patologia strutturale di un sistema che scontenta progressivamente anche i pazienti dei paesi ricchi, costretti a pagare prezzi sempre più esorbitanti per farmaci sempre meno innovativi sotto il profilo terapeutico?

Kenya e Brasile

Sono queste domande che sottendono alla risoluzione presentata all’OMS da Kenya e Brasile per “Un quadro globale sulla ricerca essenziale in materia di salute”. La risoluzione, “un vero atto di coraggio “ secondo le parole del delegato italiano Francesco Cicogna, chiede la costituzione di un gruppo di lavoro degli Stati membri dell’OMS per la definizione di politiche innovative e più efficienti in grado di rispondere ai bisogni di un’agenda medica globale che fa acqua da molte parti. Solo poche settimane fa, il prestigioso Lancet pubblicava una ricerca secondo cui dei 1556 nuovi farmaci approvati tra il 1975 e il 2004, solo 21 (l’1,3%) sono destinati alle malattie tropicali e alla tubercolosi, che gravano sullo stato della salute del mondo con il 12% dei pazienti. Viceversa, secondo la Food and Drugs Administration (FDA), delle 1284 approvazioni per nuovi farmaci dal 1990 al 2004, solo 289 (il 22,5%) riguardano medicinali con qualche significativo avanzamento terapeutico rispetto a quanto già disponibile sul mercato, e solo 183 nuove entità molecolari. Uno squilibrio fatale, da non subire fatalisticamente, secondo Kenya e Brasile. Così i due Paesi si sono battuti con determinazione e lucidità negoziale per spingere i governi dell’OMS ad accettare la proposta, e a svegliarsi dal patologico stato di letargia grazie al quale, negli ultimi decenni, hanno demandato agli interessi delle multinazionali la definizione delle priorità della ricerca medica, e le condizioni della gestione della salute. La risoluzione, che è soprendentemente passata anche se con qualche inevitabile modifica al ribasso, invoca un nuovo meccanismo multilaterale coerente con il diritto alla salute, e sostenibile finanziariamente, che preveda la ricerca come bene pubblico globale. In buona sostanza, intende riprendere la battaglia degli anni Settanta a favore dei farmaci essenziali, ed estendere questo concetto alle scelte che la comunità scientifica dovrà operare nel futuro, a fronte delle sfide sanitarie imposte dalla globalizzazione (una per tutti, la febbre aviaria). Si tratta di un primo passo, l’avvio di un processo che dovrà snodarsi nel futuro, e farsi strada tra ostilità difficili a morire, e molto potenti. Ma con la risoluzione di Kenya e Brasile è passato il concetto che un’altra scienza è possibile: l’OMS ha un’occasione straordinaria per tornare a far valere il proprio mandato sulla salute, da troppo tempo dirottato su organismi come la Banca Mondiale o l’Organizzazione Mondiale del Commercio.

 

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