EDITORIALE

Salviamo la Costituzione

Alex Zanotelli

Dobbiamo impedire a una maggioranza che non ha ricevuto alcun mandato a riguardo di mutare la nostra Costituzione. Si arrogherebbe un compito che solo una nuova assemblea costituente, programmaticamente eletta per questo e a sistema proporzionale, potrebbe assumere perché effettivamente rappresentativa di tutto il nostro popolo. Altrimenti sarebbe un autentico colpo di stato”. Così il monaco Giuseppe Dossetti, componente dell’allora Assemblea Costituente, si è espresso poco prima di morire. Con queste parole introduco questa mia riflessione perché esse ben esprimono tutta la serietà del momento e la preoccupazione per l’esito del prossimo referendum sulla cosiddetta riforma della Costituzione.
Perché questo giudizio così duro da parte di Dossetti - ma anche da parte di tutti noi - su questa riforma della Costituzione? È opportuno ricordare le sue origini. Essa è stata promulgata nel 1948 e in calce al suo testo sono apposte tre firme. Tre nomi che rappresentano l’intero arco politico e democratico: De Nicola, allora presidente della Repubblica e rappresentante dell’area liberale, De Gasperi, allora presidente del Consiglio e cattolico, Terracini, presidente della Costituente e marxista. La Costituzione è firmata da forze politiche che il fascismo aveva, per venti anni, emarginato dalla vita pubblica. Sono loro che hanno dato l’imprimatur finale alla Carta fondamentale che è alla base di un’Italia liberata e repubblicana. La Costituzione del 1948 è un miracolo della storia italiana, ora gravemente minacciato.
Oggi, all’opposto del tavolo della Costituente - dove hanno lavorato per 18 mesi 556 parlamentari e giuristi, democraticamente eletti e rappresentanti di un po’ tutte le culture del Paese - una maggioranza parlamentare, eletta nel 2001 solo dal 38% dei cittadini, ha affidato a 4 persone, cosiddetti saggi l’incarico di scrivere un disegno di legge che modifichi, o meglio scalfisca, la nostra Costituzione. Sono Calderoli, Nania, D’Onofrio e Pastore, scelti dalle segreterie dei rispettivi partiti (FI, UDC, Lega Nord, AN), ad aver scritto il testo di riforma della Costituzione, poi approvato definitivamente dal Parlamento. Una riforma che modifica 53 articoli su 138.
Già nelle origini del disegno di legge è riposta la pericolosità di questa riforma ed evidente la differenza tra la nascita della Costituzione del 1948 e quella odierna.
Esprimo dunque, senza alcuna esitazione, un giudizio duro e tranciante su questa modifica su cui siamo chiamati a esprimerci. La riforma prima di tutto, stravolge la funzione del governo e del Primo ministro (nuova istituzione), rispetto a quanto pensato nel 1948.
Al Primo ministro sono concessi grandi poteri e altrettanto grande discrezionalità, anche in atti istituzionali di estrema importanza per la vita del Paese, a dispetto di ogni principio di democrazia popolare e di pluralismo. Egli determina la politica generale del governo, nomina e revoca i ministri e determina le loro rispettive attività. Si tratta di un Primo ministro “assoluto”, legittimato di fatto da un’elezione diretta. Può sciogliere le Camere a suo piacimento, non ha più bisogno della fiducia del Parlamento, determina la politiche governative e sceglie automaticamente la formazione del governo.
Non posso entrare, in questa sede, nel merito delle singole modifiche della nostra Costituzione ma voglio ricordare che saranno lesi i diritti fondamentali. Essi non saranno più validi in modo universale ma varieranno da regione a regione; saranno accentuate (ed esasperate) le differenze tra Nord e Sud del Paese, già sin troppo evidenti!
Così dice l’on.le Franco Monaco: “Torna alla memoria quel monito di Dossetti che cercava di metterci in guardia da un nuovo fascismo, inteso come consolidamento di un potere esecutivo che non accetta alcun limite, né controllo di legalità, né pluralismo dell’informazione, né la sovranità del Parlamento, né le prerogative del Presidente della Repubblica. Le riforme della Costituzione devono essere compatibili con il Patto costituzionale e questo si può riassumere in un concetto: la necessità di sottoporre un potere a limiti e regole. Se poi si vuole uscire dallo stato di diritto, lo si dica”.
È in ballo quindi la nostra stessa democrazia ed è chiaro che dobbiamo esprimere un no chiaro e tondo a questa riforma della Costituzione che vuol proporre un cambiamento radicale di una Carta che è frutto della lotta strenue contro il fascismo.

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