OBIEZIONE

Molto obbligato

Rendere il servizio civile obbligatorio. Per tutti.
La proposta molto provocatoria è in un disegno di legge dell’on. Realacci.
Ecco le obiezioni, non solo giuridiche, del prof. Venditti.
A cura di Luca Magosto

Prof. Venditti da tempo stiamo assistendo a un dibattito attorno alla proposta dell’ on. Ermete Realacci di un servizio civile obbligatorio per i giovani. Lei cosa ne pensa?
La prima reazione che mi sorge spontanea di fronte alla proposta di istituire un servizio civile obbligatorio è una reazione di sorpresa e di stupore: come fanno, quei proponenti, a non rendersi conto della enorme impopolarità a cui andrebbe incontro una simile legge? Da pochissimi anni i giovani italiani sono stati sollevati, per il tempo di pace, dal gravoso onere del servizio di leva, e si vorrebbe assoggettarli all’onere di un nuovo servizio di leva, che li sottrarrebbe alla vita ordinaria e che potrebbe intralciarli nella loro ricerca di un lavoro. È ben vero che quel nuovo servizio obbligatorio avrebbe una durata di soli 6 mesi: ma, a parte gli inconvenienti pratici che tale brevità comporterebbe e di cui dirò più avanti, anche un breve servizio civile obbligatorio, costituirebbe pur sempre una pesante intrusione nella vita privata del cittadino e un indiscutibile condizionamento del medesimo (condizionamento che urta inevitabilmente contro la Convenzione Europea sui Diritti dell’Uomo).

Esistono vincoli giuridici per la realizzazione di tale proposta?
Dal punto di vista giuridico le obiezioni che si possono rivolgere alla proposta Realacci si fondano anzitutto sulla normativa italiana. Quando esisteva il servizio militare obbligatorio, la legge sull’obiezione di coscienza contro tale servizio era stata dichiarata costituzionalmente legittima in base alla considerazione che il servizio civile sostitutivo prestato dall’obiettore di coscienza era riconducibile al dovere di difesa della Patria sancito dall’art. 52 della Costituzione. Infatti, con molta perspicacia, la Corte costituzionale aveva affermato che il dovere di difesa della Patria poteva essere adempiuto con modalità armate (cioè con il servizio militare obbligatorio) oppure con la prestazione di adeguati comportamenti di impegno sociale non armato, e aveva ricondotto il servizio civile dell’obiettore nell’alveo della difesa non armata (sentenza n. 164 del 1985).
Ora, la sospensione dell’obbligo del servizio militare in tempo di pace ha abolito, per il tempo di pace, la possibilità di un servizio militare

Rodolfo Venditti
Docente universitario e magistrato, ha pubblicato diversi libri in cui ha analizzato in chiave critica la legislazione penale militare alla luce dei principi costituzionali e ha dedicato ampio spazio allo studio dell’Obiezione di Coscienza al Servizio Militare.
Tra l’altro ha pubblicato: L’obiezione di coscienza al servizio militare (Giuffrè, Milano 1981); Le ragioni dell’obiezione di coscienza (Edizioni Gruppo Abele, Torino 1986); Giustizia come servizio all’uomo. Riflessioni di un magistrato sul lavoro del giudice (Elle Di Ci, Leumann-Torino 1995); La difesa popolare nonviolenta: storia, teoria, esempi concreti. Aperture dell’ordinamento giuridico italiano (Eirene Studi per la pace, Bergamo 1996); Legge e libertà. I giovani, la legalità, la giustizia (Fondazione Italiana per il Volontariato, Roma 1998).
obbligatorio e quindi la configurabilità di un servizio civile obbligatorio che sia sostitutivo di quel servizio militare, ora scomparso. I riferimenti al dovere di solidarietà sociale contenuti nella proposta Realacci non mi paiono sufficienti a fondare, oggi, l’obbligatorietà di un servizio civile.
Tanto più che la tesi dell’obbligatorietà contrasta palesemente con la Convenzione europea dei Diritti dell’Uomo. E qui il discorso si sposta dall’area della legislazione italiana all’area della legislazione internazionale, e precisamente europea.
L’art. 4 della predetta Convenzione sancisce il divieto di schiavitù e di lavoro forzato, escludendo dal novero dei lavori forzati soltanto il servizio militare obbligatorio nonché l’eventuale servizio civile prestato dagli obiettori in sostituzione di quel servizio militare obbligatorio. Quando si parla di “lavoro forzato” si pensa comunemente ad una determinata modalità, particolarmente dura, di espiazione della pena. È una visione ottocentesca (stavo per dire “romanzesca”), oggi completamente superata.
Per “lavoro forzato” s’intende oggi qualsiasi lavoro imposto obbligatoriamente dalla legge. Per tutelarsi contro le violazioni di tale divieto i cittadini degli Stati europei possono ricorrere direttamente alla Corte europea di Strasburgo, che venne istituita per la Convenzione stessa. Il “lavoro forzato” è vietato qualunque ne sia la durata. Ne consegue inevitabilmente la illiceità della impostazione di qualsiasi lavoro, anche di breve periodo.

Oltre ai problemi giuridici, lei non crede che anche dal punto di vista organizzativo un’esperienza di questo genere rischia di incontrare notevoli difficoltà?
Anche dal punto di vista pratico la proposta pare fuori luogo. Che senso avrebbe un servizio civile che durasse soltanto 6 mesi. Non ci sarebbe il tempo materiale di addestrare adeguatamente un giovane ad un tipo di servizio e di fargli fare un’esperienza significativa, facendo maturare in lui motivazioni valide e profonde e poi: si è valutato quale macchina organizzativa occorrerebbe per inquadrare ogni sei mesi centinaia di migliaia di giovani e di ragazze? E quali costi comporterebbe l’allestimento e il funzionamento di una simile macchina? E quale rapporto ci sarebbe tra quei costi e i risultati? Mi pare che si tratti proprio di una ipotesi campata in aria e non sufficientemente pensata.

Nella proposta Realacci non si parla di Difesa della Patria con mezzi non armati, non le sembra un passo indietro rispetto alla situazione attuale?
A me pare che la proposta trascuri completamente quel tipo di difesa che va sotto il nome di “difesa popolare nonviolenta”. Questo nome non è un semplice giro di parole vuote di senso. È un nome che esprime un fenomeno reale, che ha dato vita a fatti storici di notevole peso, che è stato ed è oggetto di studi profondi e autorevoli, e che è ormai entrato ufficialmente nella legislazione italiana attraverso le leggi n. 230/98 e n. 64/01. A quel fenomeno la proposta Realacci non dedica il minimo cenno; come non dedica alcun cenno all’art. 11 della Costituzione italiana, il quale ripudia la guerra come strumento di offesa alla libertà degli altri popoli e come mezzo di risoluzione delle controversie internazionali. Ridurre la “difesa non armata” al livello di mero adempimento del dovere di solidarietà mi pare molto riduttivo, poiché non dà il giusto rilievo all’impegno di costruire una “cultura della pace”: impegno ricavabile, a mio avviso, dagli artt. 11 e 52 della Costituzione e dalle citate leggi n.230/98 e n. 64/01.
Non sarà fuori luogo ricordare che nell’attuale situazione legislativa appare ben più urgente della proposta Realacci l’esigenza di emanare una legge che regoli l’obiezione di coscienza al servizio militare in tempo di guerra, cioè in situazioni in cui il servizio militare tornerà a essere obbligatorio per tutti i cittadini in età “militare” e in cui, pertanto, dovrà essere garantito agli obiettori il rispetto delle loro convinzioni di coscienza: e ciò perché le normative sin qui emanate in tema di obiezione di coscienza riguardano l’obiezione sollevata in tempo di pace e appaiono inidonee a regolare la materia nel tempo di guerra, caratterizzato da particolari esigenze di urgenza.

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