NONVIOLENZA

Quale difesa?

Una difesa civile e non armata è possibile.
Il principio della nonviolenza entra nelle istituzioni.
Il dibattito è aperto.
Pierluigi Consorti (Università di Pisa, Presidente del Comitato di consulenza per la difesa civile)

Lo scorso 24 marzo la sala stampa di Palazzo Chigi ha registrato un evento eccezionale. Il ministro Carlo Giovanardi, che ha la delega per il servizio civile, ha presieduto un incontro con i giornalisti per presentare il primo bilancio del lavoro svolto dal Comitato di consulenza per la difesa civile non armata e nonviolenta, insediatosi ormai quasi due anni fa. I giornalisti presenti, e in genere coloro che non sono dentro le dinamiche più interne al mondo nonviolento, sono rimasti impressionati dalle dichiarazioni del generale Biagio Abrate, capo di gabinetto del ministro della Difesa e componente del Comitato.
“All’inizio dei lavori del Comitato non ero molto convinto – ha detto il generale – ma la frequentazione con esponenti del mondo pacifista mi ha fatto molto riflettere. Io ho comandato per un periodo in Kosovo: posso affermare oggi che, nonostante la mia formazione, le armi non sono sempre essenziali in certi teatri di crisi, anzi, talvolta possono essere dannose”.

“L’evoluzione del principio costituzionale del sacro dovere di difesa della patria alla luce dell’evoluzione normativa e giurisprudenziale: la difesa civile non armata e nonviolenta”. È il lungo titolo di un seminario organizzato nel maggio 2005 dall’Ufficio Nazionale per il Servizio Civile e dal Comitato di consulenza per la difesa civile non armata e nonviolenta e di cui sono ora disponibili gli Atti. Sono così raccolti non soltanto gli interventi dei relatori (Consorti, Giovanardi, Dal Canto, Palombi) ma anche quelli di chi ha partecipato al dibattito e che rappresentava la società civile e il mondo pacifista.
Chiude la pubblicazione il Documento che il Comitato ha prodotto su “La difesa civile non armata e nonviolenta” e che costituisce una prima ipotesi di lavoro, proponendo una definizione del tema.
Il fascicolo può essere richiesto scrivendo a
segreteriacomitatodcnan@serviziocivile.it
Questa considerazione illustra bene la fatica del lavoro svolto all’interno del Comitato, nel quale siedono persone provenienti da culture e tradizioni diverse, alcune in rappresentanza di organismi istituzionali (Protezione Civile, ministero dell’Interno, Anci, Ufficio Nazionale del Servizio Civile), e altri esponenti della cultura pacifista e nonviolenta (Giovanni Grandi, Paolo Bandiera, Giorgio Bonini, Diego Cipriani, Angelo Cavagna, Sergio Giusti, oltre al sottoscritto che lo ha finora presieduto).
A mio avviso, il primo risultato significativo di questo lavoro consiste proprio nell’aver fatto entrare nel mondo delle istituzioni il principio della nonviolenza. È infatti la prima volta in assoluto, e non solo in Italia, che una sede istituzionale abbia visto alcune persone impegnate nella riflessione sulla difesa nonviolenta, alternativa a quella militare.

Dialogo necessario
Il percorso non è stato facile. Tuttavia, attraverso un dialogo franco e schietto, le parti hanno potuto confrontarsi dopo aver chiarito alcuni punti fermi: la difesa non appartiene solo ai militari, gli amici della nonviolenza sanno come affrontare i conflitti senza usare la forza; la pace non è solo frutto della sicurezza, ma anche della giustizia e della solidarietà.
Si tratta di principi che possono essere applicati sia nei contesti internazionali – dove troppe volte si è tornati a credere che la guerra possa essere uno strumento utile, causando i guasti sotto gli occhi di tutti – sia all’interno del Paese, a sua volta teatro di conflitti sociali gestiti in modo violento (si pensi, ad esempio, alla resistenza dei valligiani della Val di Susa).
Ma veniamo al bilancio delle attività suggerite dal Comitato, che sono appunto state presentate al pubblico il 24 marzo scorso. Il Comitato non ha carattere operativo, e la sua attività – secondo il decreto che lo ha istituito – è limitata a suggerire all’Ufficio Nazionale per il Servizio Civile attività relative alla Difesa civile non armata e nonviolenta (Dcnan). Il suo lavoro si è svolto su due piani principali: ricerca e sperimentazione.
In ordine al primo punto, il risultato più significativo è la pubblicazione degli atti di un seminario sull’evoluzione del “dovere di difesa” costituzionalmente stabilito, svoltosi a Roma lo scorso anno.
Nel fascicolo (che può essere richiesto scrivendo a segreteriacomitatodcnan@serviziocivile.it ) è pubblicato anche un documento ufficiale che illustra e tenta di definire gli aspetti significativi della Dcnan. A conferma della distanza che ancora esiste tra le posizioni in campo, alcuni passaggi del documento sono stati contestati dalla componente militare, che ha espresso una formale dissenting opinion. Il dialogo è comunque risultato proficuo.
Se la guerra si combatte per vincere un nemico, il dialogo si affronta per convincere l’interlocutore, non per vincerlo. Questo metodo ha prodotto un documento ampio che presenta le diverse opinioni, ma tutti hanno sottoscritto alcuni passaggi significativi: ad esempio quello che vede la difesa nonviolenta assolutamente alternativa e non complementare rispetto a quella militare.
La nonviolenza vorrebbe che fossero abolite sia le armi sia gli eserciti. Una prospettiva condivisibile, che deve però confrontarsi con i dati reali, specie ora che assistiamo a una “rivincita della guerra”: il confronto con le Forze

Sul sito dell’Ufficio Nazionale per il Servizio Civile, all’indirizzo:
http://www.serviziocivile.it/area_istituzionale/comitato_consulenza.asp
si trovano le pagine dedicate al Comitato di consulenza per la difesa civile non armata e nonviolenta.
Oltre ai comunicati emessi dal Comitato, si può trovare un’utile sezione con materiali di approfondimento.
Armate appare perciò non solo utile, ma necessario.
Sentire che il capo di gabinetto della Difesa ha maturato una contrarietà all’uso delle armi in certe circostanze, mi sembra un primo risultato su cui insistere.

Difesa nonviolenta
Il documento in questione si presenta pertanto come un dato di partenza sul quale continuare il dibattito. Per renderlo sempre più concreto, sono state già avviate altre ricerche, e si è in attesa di un bando per il finanziamento di un’importante ricerca pluriennale, tesa ad approfondire i contenuti e le tecniche della difesa nonviolenta.
Insomma, lo Stato comincia a intravedere la necessità di approfondire il tema.
Quanto alla sperimentazione, il Comitato ha proposto l’avvio di progetti sperimentali di servizio civile all’estero nell’ambito della difesa nonviolenta. L’intento è quello di promuovere alcune esperienze già in corso – ad esempio, quelle dei caschi bianchi –, e possibilmente valutarle scientificamente, rendendole ripetibili nel tempo. I lavori del Comitato sono poi stati disseminati nell’ambito del sistema del servizio civile nazionale. Attraverso relazioni con la Consulta nazionale per il servizio civile e con la Conferenza nazionale degli Enti, si può dire che il tema della difesa nonviolenta sia diventato di casa. I Corsi centrali di formazione per formatori offerti dalla Presidenza del Consiglio prevedono ormai sempre un modulo relativo alla difesa nonviolenta. Nei programmi formativi destinati ai volontari e agli Enti è stata a sua volta inserita una parte dedicata alla difesa nonviolenta. In questo modo si vuole tener fermo il collegamento dell’attuale servizio civile nazionale con quello svolto in passato dagli obiettori di coscienza.
Insomma, si cerca di consolidare l’idea che la pace si costruisce attraverso mezzi pacifici e che il servizio civile è anche uno strumento di difesa alternativa a quella armata. In questa prospettiva già lavorano alcuni progetti di servizio civile che vogliono contrastare le mafie, la criminalità o la violenza negli stadi.
A parere del Comitato queste esperienze devono essere sostenute e ulteriormente promosse.
Si tratta di un lavoro appena iniziato. La conclusione della legislatura mette in dubbio la prosecuzione dei lavori del Comitato.
Tuttavia ci auguriamo che le istituzioni abbiano metabolizzato che “non c’è ragione per cui giovani militari e giovani pacifisti non possano collaborare, dato che il fine della pace è comune a tutti”, come ha detto il ministro Giovanardi.
Tutto sta a intendersi sugli strumenti che si vogliono utilizzare per raggiungere questo scopo comune. Il nostro augurio è che questa esperienza non cada nel dimenticatoio ma trovi le strade per proseguire e, se possibile, crescere.

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