CHIESA

Deus caritas est

Non riafferma un dogma. Non condanna un’opinione teologica. Un’enciclica sapienziale ed ecumenica. Così si apre un pontificato.
Rosario Giuè

Il titolo che papa Benedetto XVI ha scelto per a sua prima enciclica è “Deus caritas est”, Dio è amore. Si tratta di una citazione biblica tratta dalla prima Lettera di Giovanni (4,16): “Dio è amore; chi sta nell’amore dimora in Dio e Dio dimora in lui”. Il testo porta come data di pubblicazione, significativamente, il 25 dicembre (2005), giorno del Natale del Signore Gesù. Dopo l’introduzione, l’enciclica è divisa in due parti. La prima ha per titolo “L’unità dell’amore nella Creazione e nella storia della salvezza” (nn.2-18); la seconda ha come titolo “Caritas: l’esercizio dell’amore da parte della Chiesa quale ‘comunità d’amore’” (nn.19-39). La conclusione (nn.40-42) completa l’enciclica che, così, non risulta lunga. Se nella prima parte il Papa si sofferma a chiarire alcuni termini intorno al discorso dell’amore, nella seconda parte cerca di accompagnare i cristiani e la Chiesa nel loro fare propria l’esperienza dell’amore.

Prima di tutto l’amore
Il documento complessivamente si presta a una facile lettura da parte di tutti e di tutte, specialmente nella seconda parte. Si può affermare che non si tratta di un’enciclica politica, con tanto di enunciazioni o di richiami della dottrina sociale della Chiesa. Non si tratta nemmeno di un’enciclica dottrinale: scopo del documento non è quello di riaffermare un dogma, una dottrina tradizionale, né quello di condannare l’una o l’altra opinione teologica. “Deus caritas est” non è neanche, almeno immediatamente, come molti si aspettavano, un testo programmatico dell’inizio di un pontificato. Non vi sono indicazioni particolari in tal senso. È lecito, tuttavia, avanzare l’ipotesi che con la scelta del titolo per questa prima enciclica si voglia, forse, offrire un segnale, un’intenzione per un cammino e uno stile da sviluppare in seguito.
Ma è prematuro parlare di queste cose. Si può dire senz’altro che “Deus est caritas” è un’enciclica sapienziale, la sapienza che viene dalla fede

DIO È AMORE
Commento e guida alla lettura dell’Enciclica Deus caritas est di Benedetto XVI
AUTORI VARI, Collana A proposito di… n. 1 pp. 144, ED. PAOLINE, 2006
Redatto a più mani e a partire da una prospettiva ecumenica, il commento alla prima enciclica di Benedetto XVI approfondisce il concetto di Amore di Dio e amore del prossimo nell’Antico Testamento e nella tradizione ebraica e nel Nuovo Testamento, in particolare nella Prima lettera di Giovanni (Elena Lea Bartolinie Rinaldo Fabris). Marco Guzzi e Lidia Maggi si soffermano sull’importantissima distinzione eros/agape, dal punto di vista filosoficopsicologico il primo, dal punto di vista esperienziale la seconda. Don Virginio Colmegna e Giuliana Martirani, infine, analizzano la seconda parte dell’Enciclica dedicata all’esercizio dell’amore-carità da parte della Chiesa.
biblica che dà speranza e sostiene il cammino dei credenti e della Chiesa nel mondo nel segno importante, e non scontato, dell’amore. Sì, riproporre la questione dell’amore può sembrare un discorso quasi scontato, ma a pensarci bene non lo è. E non lo è perché, se preso responsabilmente sul serio da parte di tutti, e a tutti i livelli, la questione dell’a more può essere un principio generativo che può avere delle importanti conseguenze sull’essere Chiesa, sulla vita interna della Chiesa, sul rapporto della Chiesa cattolica con le altre Chiese, sulla testimonianza della Chiesa e dei cristiani nel mondo. In questo senso si può anche sostenere che la prima enciclica di Benedetto XVI è un documento ecumenico, proprio perché il linguaggio dell’amore e sull’amore è un linguaggio che tutti possono comprendere al di là delle appartenenze e delle diverse provenienze.

Vivere l’amore
Queste osservazioni sembrano confermate dallo scopo dell’enciclica che il Papa dichiaratamente non tralascia di indicare. Lo scopo dell’enciclica è quello di: “Vivere l’amore e in questo modo far entrare la luce di Dio nel mondo, ecco ciò a cui vorrei invitare con la presente enciclica” (n.39). E ciò è scritto quasi alla fine, non all’inizio del documento, come a volere dare una auto interpretazione alla luce della quale invitare tutti a comprendere tutto lo scritto. Mettere l’amore al centro, allora, della vita della Chiesa e dei cristiani: ecco lo scopo dell’enciclica. In questo senso si può dire che “Deus caritas est” non è un documento ecclesiocentrico, semmai è un messaggio, se così mi è permesso di proporre, amore-centrico. Del resto ciò è coerente, come scrive il Papa all’inizio dell’enciclica, con il fatto che il mistero dell’amore va considerato, più di altro, “con singolare chiarezza il centro della fede cristiana” (n.1).

Praticare l’amore
Dicevo che non ci è stata consegnata un’enciclica ecclesiocentrica, che mette la Chiesa al centro. Ma, tuttavia, “Deus caritas est” è un documento rivolto alla comunità ecclesiale, per offrirle una chiara indicazione per il suo essere nel mondo. In questo senso è, sì, un’enciclica ecclesiologica con la quale il Papa propone un’immagine di Chiesa specifica: quella di essere “nel mondo testimone dell’amore del Padre, che vuole fare dell’umanità, nel suo Figlio, un’unica famiglia” (n.19). L’effusione dello Spirito di Gesù, di quello spirito che egli emise sulla croce, lontano da ogni potere mondano, può trasformare la Chiesa e aiutarla a vivere questo compito. E se l’amore, scrive il Papa, è certamente un compito del singolo credente, è senz’altro “anche un compito per l’intera comunità ecclesiale, e questo a tutti i livelli”. Per questo “la Chiesa in quanto comunità deve praticare l’amore” (n. 20). Non si dice in quanto “struttura”, in quanto “organizzazione visibile”. Si dice “in quanto comunità”. In questo senso si può pensa re che il Papa intenda, forse, riferirsi anche alle forme storiche della Chiesa che essa assume o dovrà assumere come strumenti per testimoniare e “praticare l’amore”, già al suo interno, visto che l’amore per la Chiesa “è espressione irrinunciabile della sua stessa essenza” (n.25).

Giustizia e affini
In riferimento alla testimonianza cristiana nel mondo, “è doveroso ammettere – si dice nell’enciclica – che i rappresentanti della Chiesa hanno percepito solo lentamente che il problema della giusta struttura della società si poneva in modo nuovo” (n.27). Tuttavia la giustizia, “trattandosi di un compito politico, non può essere incarico immediato della Chiesa. Ma siccome è allo stesso tempo un compito umano primario, la Chiesa ha il dovere di offrire la purificazione della ragione e attraverso la formazione etica il suo contributo specifico, affinché le esigenze della giustizia diventino comprensibili e politicamente realizzabili” (n.28). Il Papa sente di dover precisare che “la Chiesa non può e non deve prendere nelle sue mani la battaglia politica per realizzare la società più giusta possibile. Non può e non deve mettersi al posto dello Stato. Ma non può e non deve neanche restare ai margini nella lotta per la giustizia. Deve inserirsi in essa per la via dell’argomentazione razionale e deve risvegliare le forze spirituali, senza le quali la giustizia, che sempre richiede anche rinunce, non può affermarsi e prosperare” (n.28).

Vincere la tentazione
Un aspetto sul quale il Papa sembra voler insistere è quello dell’atteggiamento interiore che i Cristiani devono avere nel vivere l’amore nel mondo. Di fronte “alla smisuratezza del bisogno”, la tentazione dell’inerzia è dietro l’angolo. “In questa situazione”, scrive Benedetto XVI con un linguaggio pastorale immediato, “il contatto vivo con Cristo è l’aiuto decisivo per restare sulla retta via: né cadere in una superbia che disprezza l’uomo e non costruisce nulla, ma piuttosto distrugge, né abbandonarsi alla rassegnazione che impedirebbe di lasciarsi guidare dall’amore e così servire l’uomo”. In questo senso il tempo della preghiera, come tempo dedicato a Dio, suggerisce papa Benedetto XVI, “non nuoce all’efficacia e all’operosità dell’amore verso il prossimo, ma ne è in realtà l’inesauribile sorgente” (n.36). L’esperienza della preghiera è essenziale, infatti, per non diventare vittime della tentazione dell’“attivismo” o del “secolarismo” (n.37).
Ma l’uomo e la donna cristiani nel mondo devono fare i conti con un’altra tentazione: quella del pensiero dell’impotenza o dell’assenza di Dio, una sensazione già sperimentata da Giobbe. Sì, di fronte al dolore, è vero, scrive il Papa, “spesso non ci è dato di conoscere il motivo per cui Dio trattiene il suo braccio invece di intervenire. Del resto, Egli neppure ci impedisce di gridare, come Gesù in croce:‘Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato?’ ( Mt.27,46)”. No, Dio non sta dormendo, incoraggia Benedetto XVI. E il nostro gridare, come Gesù sulla croce, è “il modo estremo e più profondo per affermare la nostra fede nella sua sovrana potestà”. Perciò, nonostante tutto, i Cristiani continuano, possono continuare a credere nella bontà di Dio.
A questo desidera spingere Benedetto . Essi, “pur immersi come gli altri uomini nella drammatica complessità delle vicende della storia, rimangono saldi nella certezza che Dio è Padre e ci ama, anche se il suo silenzio rimane incomprensibile per noi” (n.38). Ed è proprio la fede, non altro, che “ci mostra la vittoriosa certezza che è proprio vero: Dio è amore!. In questo modo essa trasforma la nostra impazienza e i nostri dubbi nella sicura speranza che Dio tiene il mondo nelle sue mani e che nonostante ogni oscurità. Egli vince, come mediante le sue immagini sconvolgenti – ricorda il Papa – alla fine l’Apocalisse mostra” (n.39).

Ultimo numero

Rigenerare l'abitare
MARZO 2020

Rigenerare l'abitare

Dal Mediterraneo, luogo di incontro
tra Chiese e paesi perché
il nostro mare sia un cortile di pace,
all'Economia, focus di un dossier,
realizzato in collaborazione
con la Fondazione finanza etica.
Mosaico di paceMosaico di paceMosaico di pace

articoli correlati

    Realizzato da Off.ed comunicazione con PhPeace 2.7.15