Protagonista il sud

Cooperazione e informazione: ruoli, contrasti, sinergie. Una denuncia forte da parte del mondo della cooperazione. Quella di un sud dimenticato.
E di un’informazione manipolata.

Sergio Marelli (Direttore Generale Volontari nel mondo - FOCSIV e Presidente dell'Associazione ONG Italiane)

Nel contesto di un sistema mediatico che domina incontrastato, non è semplice cambiare il modo di agire dei grandi gruppi di comunicazione. Nel corso dei molti anni nei quali ci siamo occupati e continuiamo a occuparci di cooperazione e solidarietà internazionale, come operatori delle ONG e rappresentanti della società civile, abbiamo avuto non pochi motivi ricorrenti per denunciare e manifestare insofferenza nei confronti del sistema di informazione nazionale e internazionale. Tra questi, senza ombra di dubbio, quello della insopportabile leggerezza, o ancora peggio, della totale indifferenza per il destino dei tanti sud del mondo. Se vogliamo poi riferirci strettamente alla situazione italiana, abbiamo assistito negli ultimi anni a una prevalenza e una invadenza della politica e dell’ottica nazionale rispetto alle questioni internazionali, fenomeno che ha comportato una vera e propria marginalizzazione, direi quasi “scomparsa” del sud dal mondo della comunicazione italiana.
Le cronache e gli approfondimenti per avvenimenti riferiti al sud, nella stragrande maggioranza dei casi, conquistano uno spazio solo in concomitanza di catastrofi e drammi che, sebbene frequenti, oscurano completamente una quotidianità di speranza e di valori che le popolazioni di questi Paesi vivono. Nel corso di un costante lavoro dedicato a incentivare la qualità e la quantità dell’informazione abbiamo più volte annoverato tra i distorcenti fenomeni di cui i mezzi di comunicazione (italiana e non solo) rendono vittima la realtà, l’inaccettabile discriminazione, da alcuni veicolata, tra guerre e

Premio Ilaria Alpi
È alla sua XII il premio dedicato a Ilaria Alpi, la giovane giornalista Rai uccisa barbaramente il 20 marzo 1994 in Somalia a Mogadiscio, insieme al suo operatore Miran Hrovatin. Il concorso è riservato a servizi e inchieste giornalistiche televisive che trattano di impegno civile e sociale. Il bando scade il 12 aprile 2006, mentre la premiazione si svolgerà a Riccione dall’1 al 3 giugno.
Alla creazione del premio oltre che del sito dedicato a Ilaria (http://www.ilariaalpi.it), ha collaborato, tra gli altri, Francesco Cavalli, autore dell’articolo “Tutti in cammino” di questo stesso numero di Mosaico di pace. Il sito, la pubblicazione di articoli, ricerche, indicazioni bibliografiche e inchieste è un modo intelligente di tenere viva la memoria di Ilaria Alpi e aperta la ricerca della verità sulla morte sua e di Miran. Con il tempo gli obiettivi del sito si sono allargati alla difesa della libertà di stampa e di informazione.
conflitti di serie A e altri di serie B, meno degni di indignazione e condanna.
Pensiamo all’Africa: il tragico primato dei conflitti spetta tutt’oggi a questo continente. Lo affermiamo sulla base delle statistiche quantitative, ormai a tutti note, ma rispetto alle quali non è mai abbastanza ricordare i 4 milioni di vittime provocate nel corso degli ultimi anni dalla sola guerra nella Repubblica Democratica del Congo, vittime continuamente passate sotto il silenzio e l’indifferenza dei più; non è mai inutile rammentare che il numero dei conflitti accesi nel mondo, la maggior parte dei quali in Africa, supera la cinquantina. Raccontare i conflitti dimenticati, analizzando le cause e recuperando “il senso della storia”, è dunque il primo passo che una corretta informazione deve compiere per avvicinarsi e cominciare a conoscere, a far conoscere, la realtà del continente africano e dei tanti Sud dimenticati.

Cosa proponiamo
Promuovere una comunicazione volta alla pace significa in primo luogo promuovere un’informazione che dia a tutti gli uomini e le donne del pianeta pari opportunità di espressione, un’informazione che si renda responsabile della comunicazione di tutti i giorni e non solamente di quella straordinaria, sviluppando la capacità di posare uno sguardo profondo sulla realtà.
Il secondo passo è poi far comprendere agli abitanti dei cosiddetti Paesi ricchi che occuparsi, meglio dire preoccuparsi, del destino dei 2 miliardi di persone che ogni mattina hanno come unica drammatica preoccupazione quella di inventarsi come garantirsi una vita minimamente umana con il loro reddito giornaliero inferiore ai 2 euro, significa assolutamente occuparsi del garantire un futuro anche per loro stessi. Un’informazione che si professi libera, accessibile a tutti, indipendente è elemento fondante di qualsiasi società che voglia dirsi democratica e non può quindi essere un’informazione che continua a mettere in secondo piano una realtà ormai fossilizzata e sotto gli occhi di tutti, quella di 850 milioni di esseri umani che ancora oggi non hanno accesso al cibo in quantità e qualità sufficiente.
Richiamare l’interdipendenza dei destini dell’umanità è uno dei compiti più ardui che l’informazione attuale deve prefiggersi se vuole cogliere la sfida a scardinare le sue regole fondanti, l’audience, lo scoop, la ricerca del sensazionale.
E deve farlo principalmente denunciando lo scandalo della povertà e la disattenzione da parte dei governi per gli impegni assunti con la Dichiarazione del millennio, in cui assumevano l’incremento dell’aiuto pubblico allo sviluppo pari allo 0,7% del PIL come sforzo comune per ottenere le risorse necessarie al dimezzamento della povertà entro il 2015.
Porre all’attenzione di tutti le recenti decisioni assunte da molti governi, Italia in testa, di ridurre drasticamente i fondi per la cooperazione internazionale, che ad oggi sfiorano lo scandaloso 0,1% del PIL, e far conoscere all’opinione pubblica l’ammontare della spesa militare che è di cinque volte superiore ai fondi necessari per dimezzare la povertà nel mondo, aiuterebbe ad interrogare le coscienze e a richiamare istituzioni e governanti ai propri impegni nei confronti della collettività, della comunità internazionale, del popolo africano e di tutti i poveri del mondo.

Fare lobby
Sempre con maggior forza e convinzione abbiamo ribadito la necessità di una maggiore coerenza delle politiche internazionali come pure di quella italiana, per la lotta alla povertà. Come Volontari nel mondo – FOCSIV lo abbiamo fatto dando vita nel 2005 alla Campagna Internazionale degli Obiettivi di Sviluppo del Millennio, che abbiamo promosso in Italia insieme alle principali associazioni del mondo cattolico, mobilitandoci in occasione degli appuntamenti internazionali che hanno caratterizzato l’anno appena conclusosi, per sfidare i governi a tradurre le loro promesse in azioni concrete.
Una dimostrazione che la lobbying funziona quando possiamo contare su un movimento di pressione sui nostri rappresentanti politici e anche una evidenza che sempre più cittadini vigilano per far si che la politica si assuma le responsabilità di promuovere giustizia sociale per tutti gli uomini e le donne del pianeta. Come operatori di una ONG ci troviamo costantemente a monitorare il grado di sensibilità relativo a tali problemi e abbiamo rilevato una accresciuta attenzione e mobilitazione dell’opinione pubblica, segni di un cambiamento in corso che gli stessi media non possono ulteriormente ignorare.
La sfida che lanciamo all’informazione è proprio questa: interpretare la realtà e formulare messaggi diretti alle istituzioni e alla politica, rendersi responsabile di un vero processo di costruzione della pace, supportare e sostenere chi mette in atto una pressione politica e una mobilitazione volta al raggiungimento della giustizia sociale e del bene comune. Perseguire la denuncia dello scandalo della povertà e la disattenzione da parte dei governi con la consapevolezza che è impossibile costruire una convivenza pacifica in un mondo diseguale, ingiusto e minacciato da crescente destabilizzazione e insicurezza.

Verso un percorso comune
Se è sempre vero poi che la realtà va mostrata nella sua inquietante complessità e verità, è altrettanto vero che la via da percorrere non deve sempre essere affidata a una rappresentazione dei drammi umani nella loro dimensione più tragica e disperante: si rischia in tal senso solo di provocare l’effetto “assuefazione”; abituarsi cioè a convivere con situazioni di ingiustizia e violenza, che i dati confermati dalle statistiche delle principali istituzioni internazionali denunciano senza possibilità di giustificazioni. La comunicazione deve dare spazio e voce ai processi in atto e alle manifestazioni della società civile, innanzitutto del sud, laddove prendono vita appuntamenti e incontri che tentano di costruire percorsi nuovi di discussione.
Negli ultimi anni abbiamo assistito a un mutamento del volto della guerra, che ha imposto alle organizzazioni di volontariato e solidarietà internazionale un nuovo ruolo: cooperanti, volontari, operatori umanitari sono sempre più chiamati a supplire i giornalisti tenuti lontani dalle aree pericolose o da quelle considerate prive di attenzione mediatica. Qui diventa importante il ruolo delle organizzazioni umanitarie, delle ONG, delle associazioni, di quanti sperimentano metodi di copertura delle informazioni raccolte sul campo dai propri operatori, sebbene non facciano “notizia”.
In diverse occasioni i volontari lavorano in situazioni di contrasti, a volte nel corso di vere e proprie guerre civili; in altre ancora ci si deve rapportare a governi locali tutt’altro che democratici e rispettosi dei fondamentali diritti umani, compreso il diritto a un’informazione libera. Esiste l’impegno sul campo dei volontari che porta a “sporcarsi le mani” e a vivere le cose, le persone e i progetti come scoperte, incontri, occasioni per mettersi al servizio della comunità umana, conoscerne in profondità il contesto sociale, politico, economico. Solo se l’informazione entra in contatto con questa logica può veramente dirsi al servizio della verità.
Una strada volta a produrre sinergie tra cooperazione e comunicazione appare allora quella che rende accessibile all’informazione di tutti i giorni, l’esperienza dei tanti volontari e cooperanti che hanno prestato e prestano ancora oggi servizio in tante aree buie del pianeta: intravedere quindi un percorso comune tra operatori dell’informazione e della comunicazione e operatori di pace, senza però alcuna sostituzione dei reciproci ruoli, che vanno tenuti distinti per garantire che gli effetti si amplifichino.
Infine oltre trenta anni di esperienza intrapresa, ci ha portato a constatare che il diritto a una informazione libera e democratica è ancora molto lontano dall’essere assicurato in tutti i luoghi del pianeta: in alcuni Paesi in Via di Sviluppo esistono fattori che determinano carenze molto serie nello sviluppo dei mezzi di comunicazione indipendenti, lasciando così tutto il settore in mano alle poche fonti istituzionali o di regime.
Un passo ulteriore potrebbe essere nella costruzione di reti concrete con mezzi di informazioni locali, soprattutto quelli che faticano a rendersi autonomi e indipendenti nei nuovi Paesi dell’Africa e dei sud del mondo. Occorre pertanto invertire i termini dei nostri sistemi mediatici, sostenere la costituzione di reti dei giornalisti del sud, promuovendo lo sviluppo di capacità di informazione corretta che abbia una forte ricaduta sul nord, continuando a sostenere che l’unica via alla pace e alla sicurezza comune è il rafforzamento deciso della cooperazione tra i popoli. E infine raccontare i tanti sud del mondo, consapevoli che l’unico modo per farlo davvero e in modo corretto è dando loro la parola.

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