'Banche armate', risparmiatori mettono a segno un primo 'disarmo'

Il bilancio della campagna sulle transazioni degli Istituti sull'import-export di armi: nel 2005 il primo gruppo affarista Capitalia ha ridotto del 65% l'attività nel settore.
15 gennaio 2006 - IGN

Roma, 15 gen. - (Ign) - Nel 2004 Capitalia era il primo gruppo bancario a fare affari con la vendita di armi, fornendo i suoi servigi nelle transazioni per operazioni di import/export. Ora invece - parola del direttore generale Carmine Lamanda - il gruppo ha ridotto di oltre il 65% la sua attività in questo settore.

È uno dei risultati ottenuti in sei anni dalla campagna Banche armate promossa dalle riviste 'Missione Oggi', 'Nigrizia' e 'Mosaico di pace' (rispettivamente dei missionari saveriani, comboniani e di Pax Christi) che dal dicembre 1999 promuove un controllo attivo da parte dei cittadini-risparmiatori sulle operazioni di appoggio degli istituti di credito al commercio di armamenti.

Sotto lo slogan "non con i miei soldi" i promotori hanno infatti indotto centinaia di migliaia di persone a esercitare, in questi anni, una pressione sulle banche coinvolte in queste operazioni, invitando i correntisti a chiedere conto, attraverso una lettera (di cui un facsimile è disponibile on line) ai direttori dei vari istituti di credito.

Ma come si fa a sapere se la propria banca è coinvolta in operazioni finanziarie per la vendita di armamenti a Paesi stranieri? Basta consultare la dettagliata che ogni anno (entro il 30 marzo), in base alla legge 185 del 1990 il presidente del Consiglio è tenuto a presentare al Parlamento, al cui interno viene reso noto anche l'elenco delle banche autorizzate alle transazioni. Un elenco che si è modificato negli anni anche grazie agli effetti della campagna. Unicredit, che nel triennio 1999-2001 disponeva di un terzo delle autorizzazioni all'export di armi rilasciate dal ministero dell'Economia, ha ridotto nel 2002-2004 la propria partecipazione al 5,7%. Mentre Banca Intesa è scesa da quota 18,5% al 6,7%, in seguito ad una direttiva dell'amministratore delegato, "con una significativa ulteriore riduzione nell'ultimo anno".

A tirare le somme sul lavoro svolto e su quello ancora da fare sono stati ieri a Roma, al convegno 'Cambiare è possibile, dalle banche armate alla responsabilità sociale d'impresa' (patrocinato da Comune, Provincia di Roma e Regione Lazio), gli organizzatori insieme all'Associazione Finanza Etica.

"La nostra campagna - spiega il coordinatore Giorgio Beretta - ha avuto un'attenzione seria da parte delle banche che hanno deciso di dotarsi di comitati etici, magari all'inizio solo di facciata ma che poi piano piano hanno iniziato a funzionare e alcuni istituti hanno scelto di non appoggiare più il commercio di armi o di limitare le transazioni verso Paesi europei".
Ma per evitare che il tirarsi indietro da parte di banche italiane costringa il ministero della Difesa a fare affidamento su istituti stranieri, "c'è bisogno che questo diventi - spiega Beretta - un ragionamento comune sia al livello europeo sia globale. Da Spagna, Belgio e Olanda ci hanno già contattato. Si deve lavorare insieme per migliorare la normativa". Un imperativo che deve fare i conti con il fatto che nella Ue non esiste una vera e propria legge in materia ma soltanto un codice di condotta.

Per quanto riguarda il nostro Paese, comunque, Beretta punta a un "marchio di qualità etica" da poter conferire alle banche in modo che i cittadini possano scegliere con maggior cognizione di causa a chi affidare i propri risparmi.

La lezione che arriva dal successo di 'Banche armate' è infatti proprio il ruolo di primo piano che hanno potuto ricoprire i singoli cittadini dotati "di strumenti per un dialogo critico con le banche" nel cambiare le cose. "La campagna 'Banche armate' - sottolinea il presidente di Microfinanza, Francesco Terreri - è stata la maggior campagna di finanza critica mai fatta in Italia. Questa risorsa può essere sviluppata anche su altri temi, anche in relazione ai recenti scandali finanziari, e su ambienti allargati all'Unione europea".

Dal convegno è anche emersa la proposta che banche, sindacati, enti locali e società civile si mettano insieme per la realizzazione di in un osservatorio permanente su istituti di credito ed esportazione di armamenti. Proposta che ha trovato una prima disponibilità nello stesso direttore di Capitalia Lamanda che ha inoltre ringraziato la campagna per aver chiarito il principio che nell'ambito delle operazioni legittime possono esistere operazioni non etiche. "Le banche cercano qualcosa di etico, non solo di legittimo. Tutte le banche italiane - ha affermato - hanno l'ambizione di essere etiche ma discernere tra etico e legittimo spesso non è facile. Qualcuno non ci riesce e allora si tira indietro".

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