Subdola tentazione

Rileggiamo don Lorenzo Milani. Per riscoprire il valore della disobbedienza.
Per affermare il primato della coscienza. Dov’è finita l’Obiezione?
Andrea Bigalli

Affrontare dal punto di vista storico l’esperienza disegnata dalla legge della Repubblica italiana che, nel 1972, decretava la possibilità di servire il proprio Paese senza ricorrere all’uso delle armi, prestando un servizio civile alternativo, significa anche ricostruire la memoria di coloro che hanno reso possibile questa svolta, pagando spesso un prezzo non indifferente. Da Ernesto Balducci a Giorgio La Pira, da Aldo Capitini a Danilo Dolci, transitando per molti altri, noti o anonimi, si ripercorre una evoluzione di pensiero che ha educato a sognare e costruire una dimensione diversa della convivenza civile. In questo ricordare, un passaggio particolare per significato ed efficacia spetta al priore di Barbiana, don Lorenzo Milani. In due lettere – una composta, in scrittura collettiva dall’intera Scuola, in risposta al comunicato dei Cappellani militari della Toscana, l’altra di Lorenzo stesso, come memoria di difesa al processo che conseguì alla prima – si traccia un percorso di riflessione, sia storico che etico, su cosa significa tracciare le linee di distinzione tra la singola persona, la collettività a cui appartiene, l’ente che la governa, la legge di cui esso si serve per farlo e la coscienza individuale della persona stessa.

Formare la coscienza
Mi capita di provocare ancora un sussulto negli uditori quando, in conferenze e dibattiti, ricordo che in realtà, come emerge chiaramente dalla prassi concreta con cui Milani affrontava il problema del servizio militare che erano chiamati a svolgere i suoi ragazzi, il tema centrale di questi documenti non è l’obiezione all’uso delle armi. Certo, lo status di pacifista di Milani non è in discussione: in tutta la sua opera di educatore il messaggio a riguardo è limpido. Ma suggerendo ai suoi di fare pure servizio militare, aggiungendo di essere sicuro che di fronte a un ordine ingiusto il primato della loro coscienza fosse garantito dalla formazione ricevuta presso la Scuola, Milani fa intendere che la questione si pone in uno scenario più ampio. La libertà pone la necessità di trovarne un indirizzo, un significato: la coscienza è capace di indicare l’uno e l’altro ma deve essere ascoltata e, prima ancora, formata. Sia il Vangelo o la legge che scaturisce dall’evolvere umano (in grado comunque di relativizzare le leggi presenti che devono adattare i principi di fondo al mutare dei contesti sociali), a far risuonare negli esseri umani l’appello a quanto è giusto fare e affermare, il singolo non può rinunciare a consentire

Ricordiamo Massimiliano obiettore
“Fabio Vittore, esattore fiscale, è introdotto con Valeriano Quinziano, funzionario imperiale, e con il giovane abile al servizio militare Massimiliano, figlio di Vittore; poiché è arruolabile, chiedo che Massimiliano, figlio di Vittore; poiché è arruolabile, chiedo che Massimiliano sia passato allo statimetro”.
Il proconsole Dione domandò: “Come ti chiami?”. Massimiliano rispose: “Perché vuoi sapere il mio nome? Non mi è lecito prestare il servizio militare, poiché sono cristiano”. […] “Non posso prestare il servizio militare, non posso fare del male. Sono cristiano ”. […] “Non faccio il soldato. Tagliami pure la testa, io non milito per il mondo, ma milito per il mio Dio.
Il proconsole Dione riprese: “Chi ti ha messo queste idee in testa?”.
Massimiliano rispose: “La mia coscienza e colui che mi ha chiamato”. Dione si rivolse a suo padre Vittore: “Consiglia tuo figlio”. Vittore rispose: “Lui sa quello che deve fare; sa decidere da sé in coscienza”. […]
Dione si rivolse all’incaricato: “Gli sia messa la piastrina di riconoscimento”. Opponendosi, Massimiliano disse: “Non accetto il segno di riconoscimento del mondo; se me lo metterai, lo spezzerò, poiché non ha nessun valore. Io sono cristiano, non mi è lecito portare appesa al collo una piastrina di piombo, poiché io porto il segno di salvezza del mio Signore Gesù Cristo, figlio di Dio vivente, quel Gesù che tu conosci, che ha sofferto per la nostra salvezza, quel Gesù che Dio ci ha mandato per la redazione dei nostri peccati. Tutti noi cristiani serviamo lui, seguiamo lui, principe della vita, autore della nostra salvezza”. […]
Rivolto al funzionario, Dione disse: “Cancella il suo nome”. Dopo che fu cancellato, Dione continuò: “Poiché hai rifiutato il servizio militare con animo ribelle, ricevi la condanna che ne consegue, come esempio per gli altri”. Quindi lesse la sentenza: “Si decreta di punire con la decapitazione Massimiliano, perché con atteggiamento ribelle ha rifiutato il giuramento militare”.

La traduzione della Passio S. Maximiliani è a cura di Anselmo Palini ed è tratta dal suo testo Testimoni della coscienza, ed. Ave, Roma 2005
liberamente o contestare quanto gli viene proposto dalle autorità, le gerarchie, le strutture del pensiero dominante, pena lo smarrire il senso di sé e la propria dignità. Dalla circostanza storica che nel 1965 lo conduce a occuparsi di questi giovani che per un principio superiore finiscono in carcere per testimoniare la realtà delle proprie verità, Lorenzo Milani tira le fila di un intero percorso educativo, in cui ha teorizzato (e dimostrato) che la cultura è la condizione essenziale di un’autentica libertà, la possibilità di sconfiggere la povertà e tutto ciò che limita l’umano, il presupposto per esprimere se stessi: e quest’ultima dimensione, in particolare, definisce ciò che è veramente umano. Chi compie tali passaggi educativi acquisisce spirito critico, è capace di fare analisi compiute delle situazioni che sta vivendo e le sa esporre: non contano i livelli accademici e della cultura istituzionalizzata raggiunti, è significativa la capacità di vivere secondo verità e, di conseguenza, qualità.

Il tempo del servizio civile
Quando quanti di noi che in questi anni si sono occupati di formazione a una cultura di pace, anche secondo questa particolare e feconda dimensione del servizio civile, hanno assistito al transito verso il termine del servizio di leva, l’esercito professionale, la fine (dichiarata, anche se non vera) dell’obiezione di coscienza al militare e la conseguente trasformazione dello stesso servizio civile, si sono ricordati della lezione del priore di Barbiana. Da essa e dal contesto fecondo della sua stagione abbiamo tratto gli elementi necessari a una critica serrata a quanto abbiamo dovuto vedere: il ritorno di una mentalità militarista, che sembrava non certo sconfitta ma di sicuro ridimensionata. Con il grimaldello dell’idea di intervento umanitario, si torna ad affermare la liceità della guerra, con la conseguente impunità di fatto dei militari per ogni genere di crimine che non sia l’unico ammesso dal potere militare, cioè la disobbedienza agli ordini dei superiori; e adoprando il poco nobile concetto dell’utilità, per una minoranza, di ciò che ne garantisce il tenore di vita e di consumi, si taccia quanto meno di sprovvedutezza, se non addirittura di acquiescenza di fronte al male, chi si oppone a questo tipo di interventi. I media fanno la loro parte nel celare, manipolare, strumentalizzare: a riguardo la vicenda dell’Iraq farà tristemente da caso emblematico, secondo un processo però già avviato da tempo (qualcuno si ricorda del Kossovo, che nominato irrita così violentemente buona parte del centro-sinistra italiano?). Il potere politico appare ormai succube dei peggiori interessi del mercato e degli enti, più o meno palesi, che ne regolano le logiche. Non è un caso se il mercato sta molto lavorando, anche su di un piano teorico, per relativizzare e narcotizzare le coscienze personali: e duole constatare che in tale processo una buona parte delle Chiese (quella cattolica inclusa, in alcune sue realtà) sta svolgendo un ruolo molto negativo.

Una voce collettiva
È molto facile pensare che la volontà dei singoli, anche quando raggiunge il dato complessivo di una componente non certo minoritaria come è accaduto durante le manifestazioni globali del 15 febbraio 2003, non conti più e che le decisioni politiche siano soltanto formalmente frutto dell’esercizio della democrazia… Si può rispondere soltanto con un lavoro paziente, che si serve dei mezzi poveri ma tutt’altro che inefficaci del rapporto umano, dei rapporti di base anche tra i popoli, della comunicazione diretta o condotta con mezzi alternativi. Soprattutto bisogna continuare a credere nella formazione, quella rivolta ai più giovani e la permanente, reciproca, cosciente autoformazione. La sfida resta quella di una proposta culturale che chieda ragione della sofferenza e ne postuli con chiarezza l’ingiustizia, che susciti sensibilità e chieda cambiamento, per poter vivere davvero, senza adeguarsi ai simulacri di vita che sperimentiamo qui da noi, in Occidente: la nonviolenza, la sobrietà, l’intelligenza della speranza come affermazione di ciò che rende possibile il futuro, un futuro che sarà impossibile se non emergerà dal contributo di tutti e non sarà per tutti. Si tratta di osservare, capire, registrare: agire per smascherare, controllare il potere e le sue strategie, esser sempre capaci di mostrare il prezzo di molti modelli di vita propostici per fornire alternative. Non cessare di credere nella possibilità di toccare la coscienza altrui e credere fino in fondo alle sua potenzialità, a quella delle persone stesse: è un atto di fede non necessariamente religioso, di sicuro con un alto significato sul piano umano. È inevitabile concludere con un noto brano della “Lettera ai giudici” di don Lorenzo: per quanto lo sia già letto e riletto, se ne apprezzi una volta di più bellezza e incisività, per poter raccontare quanto sia importante ascoltare la propria interiorità, avere il coraggio di credere in quanto si è provocati a vedere della realtà quando si adopera la coscienza come ottica di lettura del presente.
A dar retta ai teorici dell’obbedienza e a certi tribunali tedeschi, dell’assassinio di sei milioni di ebrei risponderà solo Hitler. Ma Hitler era irresponsabile perché pazzo. Dunque quel delitto non è mai avvenuto perché non ha autore. C’è un solo modo per uscire da questo macabro gioco di parole. Avere il coraggio di dire ai giovani che essi sono tutti sovrani, per cui l’obbedienza non è più una virtù, ma la più subdola delle tentazioni, che non credano di potersene far scudo né davanti agli uomini né davanti a Dio, che bisogna che si sentano ognuno l’unico responsabile di tutto”.

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