La Giustizia: un seminario ecumenico

16 dicembre 2005 - Simone Morandini (SAE, Segretariato Attività Ecumeniche)

Per continuare a “Osare la Pace per Fede”. Prosegue il percorso avviato dall’incontro ecumenico dello scorso gennaio, che ha riunito a Firenze oltre quattrocento giovani delle diverse chiese per una riflessione sui temi di “Giustizia, Pace e Salvaguardia del creato”.
Dal variegato team interconfessionale che aveva promosso l’appuntamento (ne fanno parte Chiese fiorentine, associazioni e movimenti del mondo cattolico, evangelico ed ecumenico, riviste) viene, infatti, anche l’organizzazione del piccolo seminario su “La giustizia”, svoltosi, ancora a Firenze, il 12-13 novembre.
La forma del seminario (aperto solo ad alcune decine di partecipanti) ha consentito un ampio lavoro di discussione tra i partecipanti, come pure una conoscenza ed uno scambio più approfonditi. Decisamente interconfessionale la composizione del gruppo, che vedeva presenze avventiste, cattoliche, ortodosse, valdesi, provenienti da aree diverse ed espressione tra l’altro delle chiese fiorentine, di Pax Christi, di Azione Cattolica, della FUCI, delle ACLI, della FGEI, di “Confronti”, del SAE.
La preziosa ospitalità della Casa per la Pace di Pax Christi ha favorito un clima di fraternità e di franchezza, di ricerca comune, nella quale anche le differenze – non solo quelle confessionali – potevano diventare ricchezze; la qualità delle relazioni ha stimolato un vivace dibattito tra i partecipanti. Particolarmente intenso anche il momento di preghiera ecumenica preparato da Nadia Toschi (diocesi di Firenze) e Fabio Traversari (valdese, FGEI), centrato sul “cercate il Regno di Dio e la giustizia”. Nella serata del sabato il progressivo accendersi delle luci nella cappella buia ha espresso simbolicamente quel rendersi presente del Dio che abilita i credenti alla giustizia

Parola di giustizia
Il sabato mattina ha visto un primo intenso momento moderato da Simone Morandini (SAE) dedicato all’ascolto della “Parola di giustizia”. La riflessione è stata avviata dalla densa relazione di Paola Palagi, docente di teologia morale alla Pontificia Università S. Tommaso in Roma, che ha disegnato un percorso ricco e stimolante attraverso quella nozione biblica di giustizia che è in primo luogo attributo di Dio. La Scrittura, infatti, narra in primo luogo di un Signore che salva, ama e riconcilia, in una generosità che va al di là della pur significativa umana istanza di equità. Alla sua sequela sono chiamati a porsi i credenti, accogliendone e facendone propria la chiamata nel rendere giustizia al povero ed al sofferente, nel cui grido la chiamata di Dio si esprime in tutta la sua forza.
Molti sono i volti che tale giustizia assume, ma ad accomunarli è quella capacità di creare nuove relazioni liberanti, che la caratterizza come giustizia recuperativa, capace di sanare le fratture: persino quella tra vittima e oppressore può essere trasformata, pur senza dimenticare la negatività che in essa si è espressa.
Alla sua relazione si affiancava il forte contributo del pastore Daniele Benini, presidente dell’Unione delle Chiese Avventiste Italiane, che si soffermava alcuni testi biblici che sottolineano in modo particolare la centralità dell’esigenza di giustizia. Essa appare punto qualificante della relazione con Dio, che non può in nessun modo essere surrogata dal culto; per Scrittura il Signore che vuole fare giustizia e a questo scopo dona la sua Legge, chiamando un popolo ad una pratica condivisa. C’è allora una responsabilità di autenticità evangelica per le comunità che si rifanno a tale Parola, nel segno dell’attenzione al povero ed allo straniero.

Pratiche di giustizia
I lavori sono ripresi nel pomeriggio con l’esplorazione di alcune dimensioni delle “Pratiche di giustizia”, introdotte da Max Ferè della Presidenza Nazionale di Pax Christi. L’intervento di don Fabio Corazzina, coordinatore nazionale di Pax Christi ha messo in evidenza l’inadeguatezza di alcuni modelli tramite i quali storicamente le comunità ecclesiali hanno cercato di rispondere alla domanda di giustizia.
Così la stessa sottolineatura della carità, troppo spesso intesa come elemosina, può avere effetti ambivalenti. Essa, infatti, rischia di tradursi in un depotenziamento della tensione verso una radicale trasformazione di quelle relazioni interumane, che il sistema della globalizzazione disegna oggi nel segno di una radicale asimmetria.
All’intervento di Corazzina si affiancava efficacemente il contributo dell’evangelico Paolo Naso, direttore della rivista “Confronti” che proponeva cinque icone positive, concrete indicazioni di buone pratiche possibili. Da Israele all’Irlanda, all’Italia, come è possibile proporre gesti dotati di senso in un contesto segnato dall’asimmetria crescente, da tensioni tra popoli e genti che sempre più assumono coloriture religiose, dall’incapacità di perdonare? Le esigenze di dialogo e una concreta pratica della riconciliazione (anche tra le fedi) divengono elementi costitutivi di un’azione per la giustizia.

Ecumenismo e giustizia
La sottolineatura della dimensione ecumenica ritornava nella tavola rotonda conclusiva della domenica mattina, moderata da Eva Valvo di “Confronti”. Antonella Visintin, valdese, della Commissione “Globalizzazione e Ambiente” della Federazione delle Chiese Evangeliche Italiane si è soffermata ampiamente su alcune tappe del cammino che le chiese stanno percorrendo in questi anni su questi temi.
Il primo riferimento è stato alla confessione di fede espressa dall’Alleanza Mondiale Riformata nel suo Concilio Generale, tenutosi ad Accra nell’estate 2004, al termine di un ampio processo di riflessione critica sulla globalizzazione.
Nella stessa direzione va anche il documento AGAPE (Alternative Globalization Adressing People and Earth) elaborato in vista della prossima Assemblea generale del Consiglio Ecumenico delle Chiese (febbraio 2006). Anche l’ECEN (Ecumenical Christian Environmental Network) ha sottolineato con forza lo stretto legame negativo che la globalizzazione istituisce tra giustizia e salvaguardia del creato.
Un approccio diverso quella di p. Sapun Viorel, della Chiesa Ortodossa Rumena, che ha offerto un originale contributo che attingeva alla tradizione orientale, ma anche alla riflessione etico-filosofica elaborata in Occidente. Certo, nella prospettiva ortodossa la giustizia si radica in una intensa esperienza spirituale, ma non per questo rinuncia ad esprimersi nella concretezza di forme storiche.
In questo senso acquista particolare rilevanza il testo di Rom. 12, 1-2, con l’invito a offrire la proprie membra (il proprio corpo, l’esistenza tutta), mettendole concretamente a disposizione del Dio di giustizia.
Luca Jahier, della Presidenza Nazionale delle ACLI, si è assunto il compito di disegnare uno stimolante quadro, che intrecciava alcune tappe del cammino ecumenico europeo (le Assemblee Ecumeniche di Basilea 1989 e Graz 1997, la firma della Charta Oecumenica nel 2001) con il cammino di allargamento dell’Europa comunitaria.
L’orizzonte del suo intervento è stato, quindi, quello della terza Assemblea Ecumenica Europea di Sibiu, in Romania (paese dell’Est Europa, paese a maggioranza ortodossa). Il 2007 è, infatti, una data importante per l’Europa ed i cristiani europei sono chiamati ad assumere una positiva responsabilità per la crescita di un’Europa dei diritti, davvero capace di farsi promotrice di giustizia e non di adeguarsi ad una globalizzazione al ribasso.

Il dibattito
Prospettive differenti, dunque, ma accomunate dall’esigenza di un’attenzione rinnovata per la giustizia da parte delle comunità cristiane, chiamate a farsi laboratori di pratiche efficaci, in un tempo in cui la globalizzazione neoliberista tende invece ad accentuare le disuguaglianze. Prospettive che hanno pure stimolato tra i partecipanti un ricco dibattito tra i partecipanti, efficacemente condotto da Serena Noceti (Diocesi di Firenze).
Proviamo a richiamare alcuni tra i temi emersi - spesso più in forma di domanda che tramite proposte organicamente strutturate:
· Un primo gruppo di interventi ha evidenziato l’esigenza di una predicazione e di uno stile ecclesiale che sappiano prendere sul serio tali temi, evitando lo spiritualismo e valorizzando invece la concretezza della pratica liberatrice di Gesù. È un’istanza che occorra imparare a tradurre anche in pratiche ecumeniche, individuando spazi di testimonianza comune, pur nella coscienza delle differenze confessionali. Le chiese sono chiamate ad ascoltare assieme il grido del povero, rispondendovi con coerenza: è un’esigenza che nasce dalla stessa fede.
· Un’attenzione particolare è stata pure dedicata al complesso rapporto tra Chiese e spazio pubblico: come esprimere in modo incisivo la profezia di giustizia senza cadere in un’invasività fondamentalista, che negherebbe la laicità? Come costruire una dinamica dialogica realmente attenta alla pluralità dei soggetti ecclesiali e culturali, ma anche capace di cercare convergenze su ciò che è comune? Come esprimere l’esigenza del perdono nei confronti dell’ingiusto, senza per questo lasciar cadere l’istanza di un cambiamento strutturale delle situazioni di ingiustizia?
· Ancora, diversi interventi si sono interrogati sul rapporto tra la giustizia di Dio con la sua radicalità e le forme culturali in cui l’umanità ha espresso l’esigenza di giustizia. Ci si è soffermati in particolare sui diritti umani: il problema della loro universalità attraversa il dibattito interculturale di questi anni, impedendo la loro appropriazione da parte di singole culture, ma anche la pretesa di farne un codice etico predeterminato, che dovrebbe essere accolto in ogni ambito.
· Certamente forte è poi l’esigenza di un discernimento delle situazioni concrete, che invita a chiamare per nome l’ingiustizia nella sua valenza idolatrica. Certo, a questo livello possono emergere anche consistenti differenze di valutazione che andranno anch’esse ripensate in un dialogo aperto.
· Non casuale, ad esempio, è stata l’intensità assunta dal dibattito quando esso si è volto alla considerazione del ruolo assunto dall’Europa in questi anni, tra possibilità di pace e di giustizia e il rischio di una deriva neoliberista. Aldilà delle differenze, è chiaro, comunque, che si tratta di uno spazio importante, in cui i credenti del nostro continente sono chiamati ad esprimere una testimonianza a servizio di una speranza di giustizia.

Al termine la sensazione di un momento intenso, ricco nei contenuti come nelle relazioni createsi tra i partecipanti; nel salutarsi, il desiderio di proseguire il cammino, con altri momenti di confronto ecumenico. Per “Osare la Pace” ancora…

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