Dialogo, riconciliazione e nonviolenza

Note a margine della Conferenza mondiale sulla missione.
23 giugno 2005 - Giusy Baioni

Riconciliazione e guarigione: questi i temi su cui si sono confrontati oltre 600 delegati di tutte le confessioni cristiane, riuniti ad Atene dal 9 al 16 maggio scorsi per la Conferenza Mondiale sulla missione, promossa dal CEC, il Consiglio Ecumenico delle Chiese. Il CEC (World Council of Churches in inglese) ha sede a Ginevra e raduna le Chiese riformate; la Chiesa Cattolica non ne fa parte, ma quest’anno per la prima volta ha inviato una delegazione ufficiale. La scelta del luogo, la Grecia, ha permesso un forte convolgimento della Chiesa Ortodossa. E, non da ultimo, per la prima volta in assoluto si è deciso di aprire alla partecipazione delle Chiese pentecostali e carismatiche, che negli ultimi anni hanno avuto una crescita esponenziale ma sono ancora spesso guardate con sospetto.
Tutte occasioni per inventare nuovi percorsi di riconciliazione tra le Chiese. In particolare con la Chiesa ortodossa. L’Arcivescovo di Atene e di tutta la Grecia, Sua Beatitudine Christodoulos, nella sua relazione ha enfatizzato la «determinazione a unire le forze con gli altri cristiani nel dialogo e nella testimonianza comune» rispetto alle «passata amara esperienza dovuta ad attività missionarie aggressive e ad azioni ostili» sofferte dalla sua Chiesa. Oggi serve una nuova articolazione sia dell’identità cristiana che della missione. I crescenti effetti della globalizzazione, l’aumento di spostamenti e migrazioni, il fatto che ovunque le società siano divenute multireligiose, senza trascurare le conseguenze del terrorismo e della guerra al terrore: «Tutto ciò sfida le Chiese a riscoprire la loro voce profetica. Laddove i popoli sono sempre più impoveriti, mentre i ricchi stanno diventando più ricchi», laddove le decisioni economiche e politiche sono presentate come «storicamente inevitabili», la Chiesa deve essere «dalla parte della pace, dei poveri, dei marginalizzati e degli impotenti».
«Chiamati a ripensare la geografia della missione»: così ha esordito nel suo intervento il reverendo Samuel Kobia, Segretario generale del CEC. «Nel nostro contesto globale, siamo chiamati a una triplice conversione nel pensiero e nelle azioni. Innanzitutto, ripensare i nostri assunti sulla geografia della missione. Il centro demografico della cristianità sta scivolando da Nord a Sud». Nel primo secolo il cuore del cristianesimo era Gerusalemme; nei secoli successivi si è spostato in Europa, dove è rimasto per lungo tempo. «Ma le statistiche ora localizzano il centro di gravità della cristianità vicino a Timbuktu nel deserto del Sahara, ed esso continua a migrare verso sud. L’Africa si è mossa dalla periferia della consapevolezza della Chiesa fin nel suo centro. La nostra visione deve dunque sottoporsi a una corrispondente conversione, se vogliamo prestare attenzione a ciò che Dio sta compiendo oggi nel mondo».
«In secondo luogo – ha proseguito il reverendo Kobia –, questo mutamento nelle dinamiche globali non è puramente geografico, ma comporta implicazioni spirituali, morali, teologiche e missiologiche. Le modalità espressive della nostra fede, sviluppatesi dalla cultura europea, non sono più normative; la spiritualità pentecostale e carismatica sta ora fiorendo sia al Sud che al Nord. La vita delle comunità cristiane nel Sud non è necessariamente definita da concetti ereditati dal Grande scisma europeo dell’undicesimo secolo, né dalla Riforma del sedicesimo secolo». Questi fratelli e sorelle «dallo Spirito hanno ricevuto doni mai monopolizzati da intermediari europei o nordamericani».
«Terzo punto, diventare consapevoli delle nuove manifestazioni dello Spirito in regioni non abituali del mondo non deve significare distaccarsi dalla verità, dalla tradizione e dalla teologia delle comunità che storicamente hanno servito Dio per 2000 anni».
Un altro aspetto interessante è stato ripreso ad Atene. Qui in Italia se ne sa poco, proprio perché viviamo in un panorama cattolico omogeneo e non siamo abituati a prestare attenzione alle altre Chiese. Non c’è da stupirsi, dunque, se non sappiamo che il CEC ha dichiarato gli anni 2001-2010 il “Decennio per vincere la violenza”. L'idea di dedicare dieci anni all’obiettivo di sensibilizzare e agire sul tema della nonviolenza è stata lanciata durante l'ottava assemblea del CEC a Harare, in Zimbabwe. La Campagna è stata inaugurata a Berlino nel 2001 e si protrarrà fino al 2010, dando attenzione ai diversi continenti. La Conferenza di Atene è stata, tra l’altro, l’evento di medio periodo del decennio e col tema “comunità per riconciliare e guarire” si è inserita bene nel percorso “against violence”. I relatori hanno sottolineato l’importanza per le Chiese di non chiudere gli occhi di fronte alle situazioni di violenza, di riconoscere le proprie responsabilità riconoscendo la relazione ambigua che a volte si instaura o si è instaurata tra vita cristiana, missione e violenza e togliere qualsiasi giustificazione teologica alla violenza, operando una chiara scelta di riconciliazione.

Per approfondimenti, si veda http://www.overcomingviolence.org

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